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Alzheimer e cannella: nuove prospettive di prevenzione e terapia

Sembra incredibile, ma recenti ricerche hanno dimostrato che l'estratto contenuto in una spezia potrebbe aiutare a prevenire l'Alzheimer. E non si tratta di una spezia rara e difficilmente reperibile, bensì di semplice cannella, nota da secoli e molto utilizzata sia in cucina, che nella medicina popolare.
L'autore della scoperta è il Professor Michael Ovadia, dell'Università di Tel Aviv (Dipartimento di Zoologia e Neurobiologia), che ha pubblicato la scoperta sulla rivista scientifica "PloS One".
La sostanza estratta dalla cannella, denominata CEppt, sarebbe in grado di agire proprio a livello degli ammassi neurofibrillari e degli aggregati della proteina beta amiloide, principali responsabili della degenerazione dei neuroni colinergici nell'Alzheimer.

Il morbo di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa attualmente molto diffusa; l'OMS stima che in tutto il mondo circa 18 milioni di persone siano affette da tale patologia e che entro il 2025 questo numero sia destinato ad aumentare ulteriormente.

La malattia deve il suo nome ad un neurologo tedesco, Alois Alzheimer, che per primo (nel 1906 durante un congresso) assieme allo psichiatra Emil Kraepelin, ne descrisse in maniera dettagliata le caratteristiche principali.
Alzheimer effettuò degli studi sul tessuto cerebrale di una sua paziente deceduta, Auguste Deter, che intorno ai 50 anni aveva cominciato a manifestare sintomi di una grave forma di demenza, caratterizzata da disturbi della memoria, del linguaggio e delle funzioni cognitive.
Ciò che il medico osservò fu una grave perdita neuronale a carico di diverse aree implicate nelle principali funzioni cognitive, accompagnata da una riduzione della massa corticale e dalla presenza di ammassi neurofibrillari e  placche (placche amiloidi) costituite da aggregati proteici.
La comparsa di questa patologia è strettamente correlata all'età; diversi studi mostrano che la percentuale di malati è maggiore nella fascia di età superiore agli 85 anni rispetto alla fascia di età compresa tra i 75 e gli 84 anni e quella tra i 65 e i 74 anni, dove l'incidenza è ancora più bassa.
Tre sono le caratteristiche principali:
- La presenza di placche amiloidi;
- Gli aggregati neurofibrillari;
- La perdita neuronale.
La costituzione delle placche amiloidi è dovuta alla formazione di aggregati insolubili della proteina beta amiloide, in seguito ad errati processi di ripiegamento proteico o a mutazioni genetiche a carico del gene che codifica per la proteina beta secretasi, enzima responsabile del taglio del precursore dell'amiloide.
Si formano in questo modo quantità eccessive di vari frammenti proteici aventi lunghezza di 40 o 42 amminoacidi (A-beta 40 e A-beta 42) , che possono facilmente associarsi, formando aggregati insolubili responsabili di gravi danni a carico dei neuroni.
La presenza di ammassi neurofibrillari è, invece, dovuta ad una proteina, la proteina Tau, che, una volta fosforilata, è in grado di formare degli aggregati a livello dei microtubuli neuronali (strutture indispensabili per il trasporto di nutrienti e altre molecole).
Entrambi questi fenomeni sono responsabili di gravi danni a carico di neuroni (specialmente colinergici) aventi diversa localizzazione, con conseguente perdita irreversibile degli stessi.
I siti maggiormente interessati sono rappresentati dal Nucleo basale del Meynert, l'ippocampo e vari siti corticali coinvolti nelle principali funzioni cognitive, quali memorizzazione delle informazioni, la memoria spaziale, l'arousal (prerequisito essenziale per l'attenzione), l'apprendimento associativo, la fomazione delle memorie a lungo termine e il richiamo delle informazioni acquisite.
La progressiva degenerazione neuronale è responsabile dei sintomi (via, via più gravi) della patologia.
Questi possono essere distinti in sintomi cognitivi e sintomi comportamentali e diventano evidenti solo 10 o 20 anni dopo la comparsa di lesioni a carico delle cellule cerebrali.
Nell'Alzheimer lieve questi sintomi sono meno evidenti: il paziente può mostrare difficoltà a ricordare alcune informazioni, a maneggiare il denaro, a orientarsi o a svolgere attività normalmente compiute.
Man mano che la degenerazione neuronale progredisce si ha una graduale riduzione delle capacità cognitive. Nell'Alzheimer moderato, il paziente mostra un aumento della perdita di memoria, difficoltà nell'esprimersi con il linguaggio, difficoltà a riconoscere parenti o amici e a ragionare.
Questi sintomi sono accompagnati spesso dalla comparsa di allucinazioni, comportamenti maniacali, sintomi di depressione, aggressività, ansia e paranoie.
Infine nell'Alzheimer grave, il tessuto cerebrale risulta gravemente compromesso e il paziente mostra un progressivo peggioramento delle sue condizioni fino alla morte.


Da un punto di vista terapeutico, non esistono attualmente dei farmaci in grado di curare la malattia e ripristinare la funzionalità neuronale. Si interviene, dunque, con dei farmaci che ne rallentino il decorso e preservino quanto più a lungo possibile le funzioni cognitive del paziente.
Accanto a questi possono anche essere utilizzati dei farmaci per il trattamento dei sintomi comportamentali, quali ansiolitici, sedativi, antidepressivi e antipsicotici.
Chiaramente è fondamentale una diagnosi precoce, che permetta di intervenire immediatamente sul decorso della malattia.
Tra i farmaci attualmente più utilizzati possiamo citare innanzitutto gli inibitori dell'acetilcolinesterasi.
L'acetilcolinesterasi è l'enzima responsabile della degradazione dell'acetilcolina ad acetato e colina; quest'ultima viene ricaptata dai terminali assonali e può essere riutilizzata per la sintesi di nuova acetilcolina.
L'inibizione di questo enzima provoca un aumento dei livelli di acetilcolina disponibile nello spazio sinaptico (non essendo degradata) e, di conseguenza, un miglioramento delle attività che comportano un coinvolgimento dei neuroni colinergici (memoria a breve e lungo termine, memoria spaziale, apprendimento, ecc.).
Questi farmaci (tra i quali possiamo citare donepezil, rivastigmina e galantamina) permettono di rallentare il decorso della malattia e di migliorare le condizioni generali del paziente. Tuttavia, hanno un'efficacia limitata a pochi mesi.
Un altro farmaco utilizzato è la Memantina, che agisce come antagonista dei recettori NMDA per il glutammato.
La memantina è l'unico farmaco che agisce con questo meccanismo approvato per il trattamento di pazienti affetti da Alzheimer. Questo perché agirebbe riducendo livelli patologicamente elevati di glutammato, laddove negli individui sani, l'inibizione degli stessi recettori provocherebbe una riduzione delle capacità di apprendimento e memorizzazione.
Altri farmaci utilizzati, sono i vasodilatatori, che, incrementando l'apporto ematico a livello cerebrale, ne migliorano la funzionalità e i farmaci nootropi, che, migliorando l'apporto di ossigeno al cervello e stimolando la crescita nervosa, aumentano il rilascio di neurotrasmettitori.
Vista l'efficacia marginale di questi farmaci, non stupisce che la ricerca sia indirizzata all'individuazione di sostanze che abbiano una migliore attività e una minor tossicità.
Studi recenti riguardano:
- farmaci antiossidanti, che porterebbero ad un miglioramento delle condizioni paziente, riducendo la produzione di specie ossidanti responsabili di fenomeni di tossicità cellulare;
- Farmaci antiinfiammatori, che sarebbero in grado di limitare la formazione delle placche amiloidi e ridurre la reazione infiammatoria attorno alle placche stesse;
- Sali di litio, che, agendo come inibitori delle chinasi ridurrebbero la fosforilazione della proteina Tau e, di conseguenza, la formazione dei tangles o gomitoli neurofibrillari;
- Estrogeni, che avrebbero un ruolo neuroprotettivo.


La scoperta del Professor Ovadia, riguarda non solo le proprietà della cannella nella prevenzione dell'Alzheimer, ma anche le sue proprietà di riduzione della progressione dalla malattia.
Esistono due diverse piante della cannella: la Cinnamomum Zeylanicum e la Cinnamomum Cassia; entrambe appartenenti alla famiglia delle Lauracee.
La Cannella Regina (Cinnamomum Zeylanicum) è quella responsabile delle proprietà curative, mentre la Cannella Cinese (Cinnamomum Cassia) è meno pregiata.
La spezia viene ricavata dalla corteccia, la quale, una volta essiccata viene privata delle parti più esterne, fino ad ottenere la parte più interna.
Tra i principali componenti si possono citare, acqua, proteine, zuccheri, fibre, amminoacidi (leucina, glutammato, lisina, valina, treonina, triptofano), vari minerali (calcio, ferro, potassio, manganese, selenio) e vitamine (B1, B2, B3, B5, B6, vitamina C, E, K).
La cannella vanta origini antichissime. Nel 3000 a.C. gli Egizi la utilizzavano per le imbalsamazioni e i medici Greci e Romani ne vantavano le proprietà afrodisiache.
Queste proprietà vennero esaltate fino al Cinquecento, quando le proprietà aromatiche della pianta assunsero una maggiore rilevanza.
Già nel Medioevo la cannella era uno dei doni più pregiati che potevano essere fatti, anche grazie alle numerose proprietà curative (per tosse e mal di gola) note già a quei tempi; mentre nell'Ottocento era considerata tra le quattro spezie citate nei libri di cucina quando si parlava di "un pizzico di spezie o di droghe" (assieme a noce moscata, chiodi di garofano e pepe).
Tra le proprietà curative principali della pianta si possono citare:
- Proprietà digestive;
- Proprietà antisettiche nei confronti di batteri, virus e funghi;
- Proprietà antiiperglicemiche (utili per diabetici e iperglicemici)
- Proprietà stimolanti negli stati di spossatezza;
- Proprietà antidolorifiche;
- Proprietà anticongestionanti;
- Proprietà astringenti;
- Proprietà di riattivazione della circolazione.


Lo studio condotto dal Professor Ovadia, assieme al suo gruppo di ricerca dell'Università di Tel Aviv, riguarda un particolare estratto della cannella, denominato CEppt, che sarebbe in grado di inibire la formazione di oligomeri tossici della proteina beta amiloide (responsabile della formazione delle placche amiloidi), prevenendo in questo modo gli effetti tossici provocati dagli aggregati stessi.
Gli esperimenti sono stati effettuati in due step:
• il primo, in vitro, ha dimostrato che il CEppt è in grado di inibire la formazione di oligomeri di beta-amiloide tossici e distruggere le fibre amiloidi in provetta, risultato che ha permesso di sperare nella possibilità di utilizzarlo per contrastare il decorso della patologia già in atto, oltre che prevenirla.
• Nel secondo step, la sostanza è stata testata su mosche geneticamente modificate in modo tale da produrre la proteina beta-amiloide e su topi nei quali era stato indotto il morbo di Alzheimer in seguito a mutazioni genetiche. Questi animali sono stati trattati per un periodo di circa quattro mesi con una soluzione di cannella e acqua, che ha permesso, di rallentare il decorso della malattia e condurre ad un'aspettativa di vita paragonabile a quella degli animali sani. Oltre questo, è stato possibile osservare una remissione completa dei difetti motori, un miglioramento delle funzioni cognitive e la completa eliminazione di specie tetrameriche di beta amiloide nel cervello degli animali trattati.

Questo è quanto affermato dal Professor Ovadia a proposito dei suoi studi:
• Professor Ovadia, come mai ha deciso di intraprendere degli studi proprio sulla cannella?
"Diversi anni fa, ho partecipato all'Israel's National Bible Quiz for Youth e una delle domande del quiz riguardava l'unguento sacro con cui il sacerdote, il Kohanim, si ungeva prima di compiere i sacrifici animali. Sul momento ho avuto un blackout, ma fortunatamente sono riuscito a ricordarmi i componenti citati nella parte del Ki Tisa e ho risposto correttamente.
Ripensandoci, un giorno, mi sono detto che doveva esserci un motivo valido se il Kohanim si proteggeva proprio con quell'unguento dalle infezioni che poteva contrarre venendo in contatto col sangue degli animali durante i sacrifici, e ho ripensato ai componenti che lo costituivano. Molti di questi sono ancora sconosciuti, quindi mi sono concentrato sulla cannella e infatti siamo riusciti a isolare da questa spezia una sostanza con interessanti proprietà medicinali. Inizialmente abbiamo osservato che questo estratto era in grado di inibire l'infettività di diversi virus (influenza, herpes, HIV e altri); successivamente siamo riusciti a scoprire che lo stesso estratto era in grado di inibire anche l'accumulo di beta amiloide".
• Pensa che questa scoperta aprirà nuove strade per la terapia dell'Alzheimer?
"E' quello che mi auguro! Chiaramente proseguiremo con altri studi in questa direzione e speriamo portino dei buoni risultati".
• Esistono degli aspetti negativi riguardo l'utilizzo della cannella per queste sue proprietà?
"Un problema è che la cannella contiene anche sostanze epatotossiche (come la cinnamaldeiede). In ogni caso, si possono consumare diversi grammi al giorno senza danneggiare il fegato; una persona dovrebbe assumerne circa 20 grammi/die perché questa diventi dannosa. Proprio per questo motivo sarebbe necessario isolare l'estratto dagli altri componenti".
A questo proposito, per evitare effetti spiacevoli è sufficiente, come suggerito dal Professor Ovadia, non eccedere nel consumo di cannella e non superare i 6-10 grammi giornalieri.

La scoperta delle proprietà del CEppt nella profilassi e nella terapia dell'Alzheimer rappresenta indubbiamente un grande passo avanti; sicuramente altri studi sperimentali verranno effettuati in futuro, anche su altri animali, sebbene risulti difficile programmare una sperimentazione umana per via del lento decorso della malattia.
In attesa di nuovi risultati, quindi, perché non provare a sfruttare le proprietà di questa spezia bevendo ogni tanto un delizioso tè aromatizzato alla cannella?

                                                                                                                     Carmen Cristina Piras






BIBLIOGRAFIA:
- Annunziato, Di Renzo, "Trattato di farmacologia" I vol., CE Idelson Gnocchi;
- Fumagalli, Clementi, "Farmacologia generale e molecolare", UTET;
- Sunderland T., "Decreased Beta-Amyloid and Increased Tau levels in cerebrospinal fluid of patients with Alzheimer Disease", in "Journal of American Medical Association";
- Stampfer M.J., "Cardiovascular disease and Alzheimer's disease: common links", in "Journal of Internal Medicine";
- Frydman-Marom A, Levin A, Farfara D, Benromano T, Scherzer-Attali R, Peled S, Vassar R, Segal D, Gazit E, Frenkel D, Ovadia M., "Orally administrated cinnamon extract reduces β-amyloid oligomerization and corrects cognitive impairment in Alzheimer's disease animal models", in "PLoS One", Genn. 2011.
- www.creafarma.ch
- www.erboristeriaedaltro.com








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