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Ippoterapia e senso di benessere.

È ben noto, da sempre perché già gli egizi e i greci l’avevano nelle loro tradizioni, che l’andare a cavallo porta con sé una quantità di sensazioni benefiche: produce senso di indipendenza, offre stimoli acustici, visivi, tattili ed olfattivi particolari, stimola l’attenzione e la volontà, rafforza il senso di sé, induce sentimenti di rispetto e di collaborazione oltre che molte vibrazioni affettive e timologiche.
Proprio per queste considerazioni è quasi lapalissiano che una “buona cavalcata” sia benefica per tutti, dai bambini ai vecchi e che possa essere utile a migliorare disturbi come svogliatezza, riduzione dell’umore, vaghe ansietà, spunti nevrotici e psicastenici.
Parlando di cavallo dobbiamo anche sottolineare che:
- il movimento sinusoidale e nelle tre direzioni dello spazio può risultare utile in casi di deficit motori e muscolari (soprattutto del tronco e del collo), in situazioni neuromuscolari che vanno dalle paraplegie a vere e proprie paralisi, spasmi, disarmonie e clonie;
- l’equitazione può anche risultare un ottimo mezzo per attivare relazioni interpersonali, per far conoscenze ed amicizie, per dilatare la coscienza ed il proprio Sé al futuro, alla programmazione, alla ….

vitalità ed alla vita.
È evidente che questi benefici possono essere ottenuti se il cavaliere possiede un buon funzionamento psico-mentale e psico-motorio, oltre che un adeguato atteggiamento affettivo (rispetto) verso di sé, verso l’animale ed anche verso l’ambiente naturale o del maneggio.
Molto diversa è la situazione quando il cavaliere non è collaborante, è passivo, distratto, abulico o, addirittura, oppositivo.
In questi casi dobbiamo parlare di patologia e, quindi, il discorso dell’equitazione che fa bene acquista valenze del tutto particolari.
Possiamo riferirci a quando: l’andare a cavallo risulta un comportamento del tutto passivo o alla stregua di uno stimo o libidico (auto-erotico). Questo si osserva in casi di autismo o di disturbi dello sviluppo, oltre che in molte patologie come la sindrome di Down, la paralisi cerebrale, in tutte quelle forme psico-patoplogiche nelle quali può essere evidenziato uno stato di funzionamento da Io-debole.
In questi casi bisognerebbe valutare attentamente le possibili conseguenze perché gli stimoli regressivi possono indurre peggioramenti comportamentali, ma, soprattutto, accentuare i deficit dello sviluppo e favorire l’insorgere di una cronicizzazione irreversibile dei deficit:
- l’attività equestre può indurre una stimolazione neuro-psichica capace di attivare foci epilettogeni, crisi di opposizione e di aggressività, momenti di auto-emarginazione e di isolamento. Anche in questi casi la pratica può essere rischiosa, anche perché si possono attivare stati o attacchi di panico;
- l’uso del cavallo può anche risultare negativo nei casi di X-fragile, di ACC (atresia del corpo calloso) o di Dandy Walker, nei quali una particolare situazione di emotività libera e incontrollabile può anche peggiorare.

Da queste considerazioni risulta evidente che bisogna differenziare con molta precisione l’andare a cavallo come pratica ludico-ricreativa che ha sempre i suoi aspetti positivi, facilitatori e capaci di far “sentirsi bene” da quando l’uso del cavallo ha scopi terapeutici e/o riabilitativi (consideriamo anche che una cavalcata benefica non è quasi mai strutturata in forma continuativa come lo è invece una ippoterapia).
Nei casi di riabilitazione per mezzo del cavallo è evidente che l’esercizio deve essere praticato sotto controllo, con l’ausilio di terapisti che per lo più sono medici, psicologi, psicoterapeuti, educatori che si sono specializzati nell’ippoterapia.
Con queste caratteristiche l’uso del cavallo diventa, sulla base di decennali esperienze, una pratica di “medicina alternativa”, capace di indurre non solo miglioramenti, ma anche recuperi funzionali e globali o, addirittura, il superamento di quei deficit che possono sottendere a disabilità e/o a handicap.
Da queste osservazioni risulta chiaro che bisogna distinguere la pet-therapy dalla riabilitazione equestre in quanto questa attività ha lo scopo di indurre miglioramenti e/o guarigioni in molti casi di disturbi psico-fisici e psico-mentali.
Se un medico o un neurologo possono consigliare l’ippoterapia in casi di:
- coxartrosi in fase iniziale;
- displasia lieve delle anche;
- esiti da traumi cranio-encefalici;
- paraparesi con spasmi e/o clonie;
- scoliosi di diverso grado,
è di fronte alle psicopatologie dello sviluppo e a quelle regressive che accompagnano altre malattie che la riabilitazione per mezzo del cavallo ha le sue enormi possibilità terapeutiche.
La nostra esperienza quasi ventennale ci fa ricordare:
- autismo di Kanner;
- forme ipercinetiche di varia entità e gravità;
- blocchi psico-mentali non autistici;
- comportamenti oppositivi, sindromi da disagio ed anche mutismo elettivo;
- ritardo dello sviluppo come sindrome reattiva o post traumatica;
- sindrome di Down;
- X-fragile;
- ACC – atresia del corpo calloso;
- Sindrome di Dandy Walker;
- Sindrome di Joubert.
In tutti questi casi l’ippoterapia deve essere applicata insieme ad una specifica psicoterapia e a programmi riabilitativi di tipo globale perché solo una programmazione integrata, monitorata e multidisciplinare è stata capace di portare al superamento della disabilità.
Questo è tanto più confermato dal fatto che in molti casi i ragazzi hanno recuperato completamente:
- i prerequisiti scolastici e quindi hanno sviluppato le loro potenzialità sino a poter ri-considerarli del tutto normali;
- le capacità volitive ed applicative che hanno permesso l’integrazione in squadre di calcio e/o in equipe di volley;
- le qualità competitive tanto da poter essere iscritti in gare di equitazione (di gimkana e di salto) con risultati rilevanti anche perché in diverse occasioni hanno superato i coetanei normo-dotati;
- le valenze necessarie per partecipare a passeggiate di country di lunga durata e che richiedono volontà, tenuta, sopportazione della fatica, capacità di superare piccoli e grandi ostacoli anche imprevisti;
- le potenzialità personologiche globali (affettive, cognitive, di adattamento, di problem solving, di controllo del comportamento) che ci hanno portato a programmare la “libera scuola per istruttori cadetti”.

Queste conquiste non sono frutto del caso né delle favole, ma progressi ottenuti dai nostri ragazzi con fatica, applicazione e spirito di autocritica. Sono stati anche divulgati e discussi con i genitori, i docenti, gli psicologi, i neuropsichiatri infantili e tutti gli interessati che hanno partecipato a convegni, programmi radio e televisivi ed anche in due congressi mondiali sviluppati via internet.

Commento

I fattori benefici dell’andare a cavallo (applicazione ludico-addestrativa) e di godere della sua cullante andatura (applicazione ludico-ricreativa) sono ben dimostrabili oltre che molteplici tra cui:
- il rafforzamento della tonicità muscolare e della coordinazione dei movimenti;
- la stimolazione dell’attenzione e della tenuta sul compito;
- la necessità di imparare gli ordini da trasmettere con precisione all’animale;
- la fermezza nel prendere le decisioni;
- il coraggio per affrontare le situazioni difficili ed impreviste;
- la necessità di saper orientarsi nello spazio, nel tempo e nella velocità;
- in bisogno di memorizzare con esattezza le strategie per districarsi da situazioni imposte dall’esercizio;
- aumentare l’equilibrio.
Anche nel “lavoro a terra” (accudire ai bisogni dell’animale) il cavaliere deve sviluppare doti importanti come:
- riconoscere i bisogni dell’altro e rispettare le sue idiosincrasie;
- prestare attenzione ai propri movimenti ed alle proprie azioni che possono anche provocare reazioni poco piacevoli;
- imparare a usare movimenti ben coordinati e precisi;
- saper dedicarsi all’altro con un atteggiamento si servizievole aiuto;
- capire di dover investire nel benessere dell’altro per ottenere dei vantaggi;
- raggiungere una sicurezza in se stessi.

Non dobbiamo dimenticare poi i benefici che si possono trarre dal vero e proprio cavalcare:
- vedere il mondo da un’altra prospettiva temporo-spaziale che aiuta ad allargare la propria coscienza;
- saper acquisire visibilità che è saper osservare ed anche farsi vedere dall’altro;
- vivere sensazioni di soddisfazione nel raggiungere gli obiettivi mediati dalla guida del cavallo;
- capire di essere in grado di affrontare anche i comportamenti imprevedibili del “compagno” che è pur sempre un animale;
- imparare la tolleranza oltre che la volontà necessaria per raggiungere le proprie mete;
- comprendere come un determinato obiettivo si può raggiungere solo facendo collimare e coordinare i movimenti propri con quelli del “proprio destriero”;
- riconoscere la necessità di vivere nel qui e ora, lasciando perdere elucubrazioni, fantasie, insognazioni e distrazioni pericolose;
- scoprire il vero senso dell’equilibrio psichico e della capacità di orientarsi nello spazio e nel tempo, oltre che la metafora che vuole che la via più breve non è quasi mai quella diritta.

È evidente che tutte queste osservazioni portano a far concludere che l’equitazione, nel suo complesso, può risultare veramente utile per ritrovare e migliorare quel senso di rapporto con se stessi che è fondamentale per saper governare il proprio corpo e sviluppare la propria mente.
tutti questi benefici sono però raggiungibili solo quando interviene la guida della mente umana che sa scegliere, pianificare, progettare, promuovere, indirizzare, prevedere, valorizzare, desiderare, volere, ecc. ecc.
quando il cavaliere è una persona “normale”, cioè con le proprie capacità psico-mentali attive ed intatte, è la sua mente che genera l’efficienza e l’efficacia; ben diverso è il tema quando il cavaliere non possiede tutte le qualità necessarie per “creare” i benefici dell’andare a cavallo.
Il tema della disabilità (soprattutto quella temporanea) impone il “bisogno del terapeuta” (in questo caso dell’ippoterapista) che deve stare attento a:
- osservare le dinamiche emotive del cavallo e del cavaliere;
- considerare la situazione operativa offerta dal setting (tipo di terreno, intensità di illuminazione, qualità degli stimoli accessori come la musica, partecipazione degli ausiliari, ecc.);
- predisporre la qualità e la quantità di ogni intervento;
- leggere le modificazioni emotivo-affettive del bambino e considerare le risposte del cavallo,
- scegliere il cavallo adeguato per la situazione personale di ogni singolo paziente;
- determinare in ogni momento il tipo di applicazione pratica (velocità, intensità, complessità degli esercizi) in rapporto agli obiettivi, alle possibilità reali della coppia cavaliere-cavallo, al livello attentivo e di impegno dimostrati dal bambino;
- decidere se è necessario salire in groppa al cavallo insieme al piccolo paziente quando è piccolo (anche prenderlo in braccio, se necessario) o quando sia necessario per trasmettere un “pensiero concreto”;
- far vivere ogni sessione terapeutica con un atteggiamento sereno, disteso, impegnato, caratterizzato da stimoli seducenti, distensivi e piacevoli, però sempre finalizzati al risultato terapeutico.
- utilizzare ogni momento della terapia per procedere ad una accurata analisi delle situazioni e all’adattamento costante degli interventi per raggiungere gli obiettivi.

Quanto evidenziato sottolinea come sia importante il lavoro dei terapisti che devono:
· elargire cura e di conseguenza sapere quali e come sono gli interventi che, attraverso il cavallo, possono essere applicati per risolvere problemi di postura, di equilibrio, di deficit motori, di limitazioni osteo-articolari;
· capire i bisogni, le ansie ed i desideri (attraverso una sottile osservazione degli atteggiamenti) per poter raggiungere gli obiettivi, utilizzando gli stimoli istintivi alla crescita ed allo sviluppo psico-affettivo;
· creare un setting piacevole, in costante equilibrio tra il ludico-ricreativo ed il terapeutico-riabilitativo;
· essere un polo pedagogico perché l’allievo acquisti comportamenti sempre più adeguati e corretti, tanto da potersi sentire “felicemente” inserito, non per spinte libidico-istintive (infantili), ma per cognizione deduttiva;
· preparare i cavalli ad un lavoro delicato, preciso e continuo, sapendo usare le mescole alimentari più idonee e facendo “sgroppare” i focosi destrieri e condurli quindi ad un livello esatto di capacità operativa;
· assumere il ruolo di istruttore di equitazione per ottenere una corretta postura in groppa al cavallo, esatte manovre di disimpegno temporo-spaziale, la massima integrazione tra cavaliere e destriero.

Dalle nostre osservazioni si desume che è da confutare espressioni azzardate e false ed inoltre è importante che non vengano create confusioni sui risultati positivi che si possono ottenere con l’ippoterapia.

§ “… per riabilitazione si intende un complesso di tecniche educative che mirano al superamento di un danno motorio, cognitivo o comportamentale”.
La riabilitazione è una pratica medica alternativa (non farmacologica) che si struttura sui dettami deontologici assistenziali che certificano il recupero funzionale o globale del soggetto disabile.
Compito dell’educazione non è quello di risolvere problemi medici, ma di dare o ridare al soggetto quelle qualità psico-affettive e psico-cognitive che supportano il senso di sé, il senso di valere e di potere, l’auto-soddisfazione, le capacità analitico-deduttive, il rispetto degli oggetti e delle persone, lo spirito di collaborazione, l’altruismo, la generosità, l’equità e la riconoscenza.

§ Non è vero che “il cavallo può essere usato come strumento terapeutico” e neppure che esista una “… potenzialità terapeutica del cavallo”.
Il cavallo non è mai terapeuta in quanto può solo essere considerato un mezzo (vivo e vitale) utilizzato dal terapeuta (medico, psicologo, educatore, riabilitatore, ecc.) per creare situazioni psicomotorie, emotive, affettive e cognitive, con le quali cercare di risolvere problematiche che inducono disabilità. L’ippoterapia o la riabilitazione per mezzo del cavallo sono tecniche di una “medicina alternativa” che deve essere applicata da professionisti specializzati ed anche (è sempre augurabile) in un regime di intervento multidisciplinare.

§ Bisogna sempre tenere ben differenziati gli obiettivi offerti da che propone una attività equestre:
a) se deve essere ludico-ricreativa, pre-sportiva o sportiva ha solo una finalità piacevole, di benessere psico-fisico e, se si vuole, di miglioramento della qualità della vita;
b) se si vuole fare cavalcare un disabile nello spirito della pet-therapy bisogna ricordare che momenti regressivi (autoerotici o libidico istintivi), seppure siano piacevoli (questo è benefico nei casi di malattie gravi e/o irrecuperabili) possono risultare molto pregiudizievoli se applicati (soprattutto se in forma regolare e continuativa, capace di creare “aspettative libidiche”) in bambini o in giovani che presentano una sintomatologia riferibile ad un Io-debole o ad un ritardo-blocco dello sviluppo psico-mentale. In questi casi, l’ippoterapia va integrata con altri interventi riabilitativi per produrre recupero e/o cura, tenendo in conto che “… non c’è tempo da perdere!”;
c) se si vuole fare della terapia o della riabilitazione, bisogna scegliere centri, programmi e terapeuti preparati, addestrati e che seguano i criteri medici del trattamento, della prognosi, della valutazione scrupolosa dei risultati ottenuti in rapporto con le finalità considerate nella programmazione.

§ Non bisogna ingannare i genitori di bambini autistici (parliamo di autismo di Kanner) con frasi come “… gli stimoli sensoriali, offerti dall’integrazione con il cavallo, producono una sollecitazione delle risposte relazionali e (così) … si crea un collegamento con il medico curante”.
L’autismo è il disturbo più grave che la paido-psichiatria deve affrontare, è l’Everest della psicopatologia infantile ed è difficilissimo ottenere dei risultati con pratiche molto specialistiche, multidisciplinare ed applicate pere diversi anni.
Se un bambino autistico viene messo sul cavallo senza che riceva le sue terapie riabilitative e capaci di ripristinare i pre-requisiti per un buon funzionamento psico-affettivo e psico-cognitivo, non solo non supererà la fase di essere trasportato come un sacco di patate, ma potrà rischiare di chiudersi ancor di più nel suo isolamento autoerotico, rischiando di perdere le possibilità di recupero che, tra l’altro, diventano veramente esigue dopo i 9 anni.

§ Quando si dice che l’andare a cavallo serve per curare “malattie psicosomatiche” sembra quasi di sentire evocare i benefici di una “auto-medicazione”, di sognare che basta un “nulla”, una “sciocchezza” per risolvere patologie che coinvolgono il corpo, le organizzazioni emotive, affettive ed anche cognitive. È ora di smettere di vendere illusioni. È molto più conveniente indirizzare con rispetto, coscienza e senso di responsabilità a qualche medico, psicologo o psicoterapeuta che magari potranno utilizzare le magnifiche sensazioni ed i profondi vissuti per aiutare una psicoterapia o un programma serio che potrà anche risolvere il problema, ridare felicità e far sparire tante e terribili esperienze di angoscia e di disperazione.

Conclusioni

Quando si procede ad applicare una ippoterapia scientifica che ha la prerogativa di essere una tecnica di medicina alternativa di tipo riabilitativo (funzionale e globale) dobbiamo pensare ad un bambino o ad un giovane che supera, con l’aiuto del suo terapista, quelle dinamiche regressive (anche se piacevoli), lieto di “lasciarsi cullare”, di cercare il proprio piacere emotivo-istintivo (caratteristiche della pet-therapy).
Nella riabilitazione, un soggetto disabile comincia a riconquistare un senso di sé sostenuto da un “narcisismo secondario” che è espressione dell’entrata in funzione del cosiddetto “Nome del Padre”, prerequisito per superare le dinamiche edipiche e per conquistare il proprio Sé.
Vedremo questi bambini che prendono in mano le redini e cominciano a guidare il loro cavallo con sempre maggior sicurezza, affrontando trotto, galoppo, evoluzioni. Gimkane e salti.
Se da un punto di vista psicologico si sottolineano:
- contenimento delle scariche emotive;
- sviluppo delle funzioni affettive e timologiche;
- elaborazione di processi legati alla visibilità;
- abbandono dei bisogni vincolanti di tipo simbiotico;
- superamento delle stigmate regressive dell’onnipotenza e dell’egocentrismo;
- acquisizione di valori affettivi relativi alla generosità, alla compartecipazione, all’altruismo ed alla riconoscenza;
- ricompattazione delle forse adattive dell’Io;
- organizzazione delle dinamiche del Sé;
- apprendimento delle qualità del problem solving;
- recupero delle funzioni superiori analitico-deduttive,
per altro alto, nel piano pratico e comportamentale, scopriamo l’emozione di ritrovare dei soggetti, degli individui, delle persone rispettose, integrate, capaci di esprimere i loro bisogni, ma anche di difendere i loro diritti;
gioiamo con i loro genitori per aver potuto percorrere una strada irta e difficile, ma finalmente luminosa, proiettata al futuro, al vero benessere, alla felicità e pervasa dalla certezza che “insieme si può”.




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