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marco

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Dichiarazione hiv

DICHIARAZIONE GIURATA
Io, VALENDAR FRANCIS TURNER di Dalkeith, Australia occidentale, PRESTO GIURAMENTO E
DICO quanto segue:
1. Sono un medico professionista iscritto al collegio dei medici nello stato dell’Australia occidentale.
2. Mi sono laureato in Medicina all’Università di Sidney nel 1969.
3. Mi fu concessa la carica di Fellow del Reale Collegio dei Chirurghi Australiano-asiatico nel 1977.
4. Sono stato nominato Fellow della Fondazione del Collegio Australiano-asiatico per la Medicina di
Emergenza nel 1983.
5. Sono medico di emergenza consulente decano e dal 1978 ho esercitato in tutti gli ospedali
universitari di Perth così come in diversi ospedali della periferia.
6. Le mie attività professionali comprendono incarichi clinici e amministrativi, insegnamento a
studenti di medicina e a personale ospedaliero praticante, conferenze all’Università dell’Australia
Occidentale, nonché Capo del Dipartimento dell’ ospedale Reale di Perth e di quello del Distretto di
Swan e presenza a conferenze ed incontri nazionali ed internazionali.
7. Sono autore e co-autore di svariati studi di riviste scientifiche recensite dai colleghi (Parte 2).
8. Il mio attuale datore di lavoro è il Dipartimento della Sanità, Australia Occidentale, dove sono
co-direttore medico del Centro di Chiamata Sanitario australiano occidentale.
9. Da quando l’AIDS fece la sua comparsa nel 1981, appartengo ad un gruppo di scienziati conosciuto
come “Gruppo di Perth” capeggiato dalla biofisica Eleni Papadopulos-Eleopulos.
10. Durante i passati 25 anni il Gruppo di Perth ha ricercato ampiamente la letteratura scientifica
dell’HIV/AIDS e ha pubblicato diversi studi in riviste scientifiche recensite dai colleghi (incluse nella
Parte 2) così come sulla stampa popolare e su Internet (Parte 3 ed il sito del Perth Group
www.theperthgroup.com ).
11. Sono membro invitato del Comitato Consultivo sull’AIDS Presidenziale del Sudafrica e parlai a
questa conferenza a nome del Gruppo di Perth nel luglio 2000.
12. La mia relazione è allegata (Parte 1).
13. Le opinioni espresse in questa relazione sono le mie proprie e non riflettono quelle dei miei datori
di lavoro precedenti o attuali.
14. Le affermazioni fatte in questa dichiarazione giurata sono la mia opinione basata nello studio della
letteratura scientifica e sono corrette per quanto sappia, mi informi e creda.
GIURATO dal Teste
A Perth
Il giorno del mese 2006
Davanti a me
Giustizia della Pace
Australia Occidentale
PARTE 1 DELLA DICHIARAZIONE GIURATA di VALENDAR FRANCIS TURNER
A. ISOLAMENTO DEL VIRUS
I. Secondo gli esperti dell’HIV/AIDS la teoria dell’HIV dell’AIDS è come segue a continuazione:
Esiste un singolo virus, classificato come retrovirus e che va sotto il nome di virus
dell’immunodeficienza umana (HIV). Questa entità viene trasmessa da una persona all’altra
principalmente attraverso il sangue, il contatto sessuale e dalle madri infette ai loro nascituri. Quando
l’HIV raggiunge il corpo a) infetta e provoca la morte di un sottoinsieme di leucociti del sistema
immunitario chiamati linfociti CD4; b) fa sì che il sistema immunitario rilasci anticorpi che reagiscono
con costituenti biochimici (proteine) della particella di virus. Si adopera il rilevamento di siffatti
anticorpi per diagnosticare individui infetti con l’HIV. Dopo l’infezione e comunemente durante
diversi anni, i numeri delle cellule CD4 diminuiscono gradualmente portando ad una condizione
conosciuta come deficienza immunitaria acquisita (“AID”). L’AID a sua volta è seguito dallo sviluppo
di un numero di diverse malattie (“indicatrici dell’AIDS”) che costituiscono la sindrome dell’AID
clinico (“S”). Perciò un soggetto ha l’AIDS quando lui o lei ha l’HIV e sviluppa una o più di queste
malattie. L’HIV non provoca direttamente le circa 30 diverse malattie indicatrici dell’AIDS ma lo fa
indirettamente a causa del suo effetto sul sistema immunitario.
2. La ricerca condotta dai miei colleghi e da me durante le ultime due decadi mi porta a concludere che
questa teoria non è stata dimostrata.
3. Un virus è una particella microscopica (un piccolo frammento di materia) costituito da una “copia”
genetica di acido nucleico (RNA o DNA) e da alcune proteine. Essendo i virus talmente piccoli
mancano dello spazio necessario per contenere i materiali grezzi dai quali ricavano le sostanze e
l’energia richiesta per la loro replicazione (riproduzione). Perciò, i virus, per replicarsi, diversamente
dai batteri, ad esempio, sono parassiti obbligati delle cellule viventi.
4. Le particelle che hanno le apparenze di un virus non vengono considerate come virus a meno che ci
sia la prova che si replicano in questa maniera. Le particelle che assomigliano ad un virus che
rispettano questo requisito vanno sotto il nome di “particelle infettive” e poi e solo poi siffatte particelle
possono essere considerate come un virus.
5. I retrovirus appartengono ad una famiglia di particelle di virus che hanno in comune il RNA come
copia genetica ed un enzima proteico (un catalizzatore biologico che accelera la velocità delle reazioni
chimiche) chiamato transcriptasi inversa (RT). Il ruolo di questo enzima è quello di copiare il RNA
virale a DNA, un processo conosciuto come transcriptasi inversa. Va sotto il nome di “inversa” perché
scorre in direzione contraria a quel previamente ritenuto “dogma biologico” ma che non è più accettato,
cioè, che nei sistemi biologici l’informazione scorre solo in una direzione. Cioè, dal DNA al RNA.
6. Le particelle di retrovirus hanno una forma sferica ed un diametro di approssimativamente 100nM.
Dieci mila di siffatte particelle potrebbero stare una a fianco dell’altra nella lunghezza di un millimetro.
7. Le particelle retrovirali possono essere visualizzate e si può studiare la loro morfologia solo con
l’uso del microscopio elettronico (EM). Quest’ultimo è uno strumento nel quale un fascio di elettroni,
piuttosto che la luce, viene usato per “illuminare” l’oggetto che si sta studiando. Il vantaggio dell’EM è
la sua capacità di visualizzare e di definire la struttura cristallografica di oggetti e le caratteristiche di
quegli oggetti che non è possibile eseguire col microscopio che adopera la luce. Il potere di risoluzione
dell’EM è di circa 0,2 nanometri, circa la stessa distanza che separa due atomi in un oggetto solido.
Sotto questo aspetto l’EM funziona circa mille volte meglio di un microscopio normale.
8. La morfologia è la branca della biologia che si interessa della forma e della struttura degli
organismi. Per quanto riguarda i retrovirus siffatto studio delucida la grandezza, forma e caratteristiche
generali e peculiari delle particelle virali.
9. I virologi affermano di dimostrare l’esistenza dei virus eseguendo una serie di protocolli di
laboratorio chiamati collettivamente “isolamento dei virus”. Riguardo l’“HIV”, l’interpretazione di
queste informazioni come prova dell’isolamento del virus è altamente problematica. Ciò è dovuto al
fatto che (a) ciascun fenomeno ha altre cause note e accettate oltre quella di un retrovirus. Alcune sono
state scoperte decadi prima dell’era dell’AIDS da alcuni scienziati che adesso sono esperti dell’HIV;
(b) gli esperimenti di “isolamento” non furono accompagnati da controlli corretti o talvolta persino da
nessun esperimento di controllo. Questi ultimi sono esperimenti eseguiti contemporaneamente su
materiale che proviene da pazienti che sono malati con simili anormalità cliniche, biochimiche ed
immunologiche che i pazienti di AIDS ma che non hanno l’AIDS e nemmeno sono nel gruppo a rischio
di AIDS. Gli esperimenti di controllo sono una componente essenziale degli esperimenti di isolamento
dei retrovirus perché potrebbero presentarsi dei “fenomeni retrovirologici”, persino spontaneamente,
nel materiale che si sa che non è infetto da un retrovirus.
10. Si ritiene che il professore Luc Montagnier ed i suoi colleghi siano stati gli scienziati che
isolarono per primi l’HIV e perciò che lo abbiano scoperto. I loro esperimenti furono pubblicati
nell’edizione del 20 maggio del 1983 dello Science ed esemplificano i problemi elencati nel punto (8).
L’articolo di Montagnier è intitolato “Isolamento di un retrovirus linfotropico T [HIV] da un paziente a
rischio di sindrome di immunodeficienza acquisita (AIDS)”. Tuttavia, ciò che Montagnier riferì come
“isolamento” era la scoperta di un’attività enzimatica, cioè, transcriptasi inversa, non la purificazione di
particelle simili a virus che si dimostrarono infettive. Difatti Montagnier non purificò l’“HIV”.
11. Successive ricerche non hanno eseguito esperimenti sostanzialmente diversi da quelli riferiti da
Montagnier e dai suoi colleghi. Perciò, basati sulle risultanze che sono attualmente disponibili non è
possibile affermare che sia stato isolato un singolo retrovirus dai tessuti dei pazienti con l’AIDS.
B. TEST ANTICORPALI
12. Nondimeno, l’isolamento dei virus non è il metodo di routine per diagnosticare l’infezione da HIV
perché è tecnicamente impegnativo, lento, e caro.
13. Dal 1983/84, ossia, dal momento in cui le relazioni sulla scoperta dell’HIV apparirono nella
letteratura scientifica, gli scienziati hanno cercato di adoperare dei test per scoprire anticorpi per
diagnosticare l’infezione da HIV. Siffatti test si resero disponibili generalmente nel 1985 e la loro
diffusa disponibilità e uso attuali dipendono in larga misura dai prodotti forniti dalle aziende di
biotecnologia.
14. Gli individui che soddisfano i criteri che vengono ritenuti tali da un risultato di test positivo, (che
differiscono considerevolmente), vengono considerati come se fossero “positivi all’anticorpo HIV”.
Questo termine è sinonimo di “positivo all’HIV” e nessun termine significa che delle particelle “HIV”
siano state isolate da un soggetto.
15. Gli anticorpi non sono dei virus. Gli anticorpi e perciò un test anticorpale positivo potrebbero
essere la dimostrazione indiretta di un'infezione virale ma se e solo se gli anticorpi dimostrano di essere
specifici. Un test anticorpale che è 100% specifico significa che un virus è l’unica causa di un test
positivo. Nient’altro che il virus è capace di procurare un test positivo. Gli esperti dell’HIV/AIDS
affermano che i loro metodi di test anticorpali siano effettivamente specifici al 100% per l’infezione da
HIV.
16. Gli anticorpi si sviluppano perché il sistema immunitario ha la capacità inerente di distinguere tra
“proprio” e “non proprio”. Cioè, il sistema immunitario può rilevare la presenza di materiale estraneo
come batteri e virus che raggiungono il corpo. Qualsiasi sostanza che causa la formazione di anticorpi è
conosciuta col termine generico di “antigene” (da GENeratore di ANTicorpi). Di conseguenza quando
una persona o un animale viene infettato da una sostanza estranea, come una proteina da un virus, si
può predire che si svilupperanno degli anticorpi. Ad esempio, si formano anticorpi a seguito di
infezioni naturali come il morbillo e la varicella. Lo stesso avviene a seguito di immunizzazioni per i
medesimi virus. Gli anticorpi sono rilevabili nel circolo sanguigno circa dieci giorni dopo un’infezione
e raggiungono la loro concentrazione massima entro circa tre settimane.
17. Di conseguenza dopo pochi giorni da un’infezione naturale o da un’immunizzazione si può
anche predire che se si ricava del siero da un soggetto e lo si mescola con le proteine virali avrà luogo
una reazione.
18. Il siero è il fluido giallastro dove i globuli rossi galleggiano e dove sono in sospensione tutti gli
anticorpi della persona. Il siero forma circa la metà del volume del sangue e viene separato dai globuli
rossi centrifugando il campione del sangue in una centrifuga. A causa del fatto che il siero viene
adoperato per rilevare anticorpi, l’uso di anticorpi per diagnosticare delle infezioni fa parte della
procedura conosciuta come sierologia.
19. Perciò la presenza di anticorpi viene dimostrata dal fatto che reagiscono con l’antigene causale. Lo
scienziato di laboratorio rileva il verificarsi di una reazione perché causa un’alterazione fisica e
rilevabile della miscela di reazione. Comunemente si tratta di un cambiamento di colore che può essere
quantificato adoperando un apparecchio come lo spettrofotometro. In alcuni test anticorpali il
cambiamento di colore viene notato ed interpretato dal tecnico di laboratorio.
20. Due cose vengono richieste per eseguire un test per determinare se ci sono anticorpi che reagiscono
con l’”HIV”: (a) le proteine dell’”HIV”. (b) un campione di siero della persona che viene sottoposta al
test.
21. Per ottenere le proteine dell’HIV prima di tutto è necessario purificare le particelle del virus. Ciò è
dovuto al fatto che i virus si replicano solamente nelle cellule, e le cellule stesse, come i virus e la
materia vivente in generale, sono anche costituite da RNA e proteine. Luc Montagnier, lo scopritore
dell’HIV, è d’accordo con questo requisito di buon senso. Durante un’intervista nel 1997, come
risposta ad una domanda riguardo ciò che era necessario per definire le proteine dell’HIV, rispose
“…l’analisi delle proteine del virus richiede produzione massiccia e purificazione. E’ necessario farlo”.
22. Tuttavia nel loro articolo su Science del 1983, nel quale Montagnier ed i suoi colleghi affermavano
di aver per primi isolato e purificato l’HIV, non pubblicarono nessuna micrografia elettronica a
dimostrazione che il materiale che chiamavano “virus purificato” contenesse particelle che avevano la
morfologia dei retrovirus. O che contenesse qualsiasi particella di qualsiasi tipo, sia retrovirale che non
retrovirale. Nella stessa intervista del 1997, quando gli fu chiesto riguardo questa omissione,
Montagnier rispose che siffatte Ems sono state scattate ma che, nonostante uno “sforzo romano”,
nessuna dimostrò delle particelle “con la morfologia caratteristica dei retrovirus”.
23. Anche nella stessa intervista, Montagnier precisò ripetutamente che non aveva purificato l’HIV. E
secondo la sua opinione nemmeno il gruppo principale di ricerca americano capeggiato dal dott. Robert
Gallo lo aveva fatto quando il suo gruppo riferì il loro isolamento dell’HIV il 4 maggio 1984.
24. Di conseguenza, lo scopritore dell’HIV non aveva nessuna prova dell’isolamento o della
purificazione di un nuovo retrovirus, facendo sì che fosse impossibile, adoperando lo stesso metodo,
che Montagnier o qualsiasi altro riuscisse a caratterizzare speciali proteine come quelle di un retrovirus
che infetta soggetti con l’AIDS.
25. Le ricerche pubblicate da quel momento confermano che le particelle che dichiarano di essere HIV
non sono state purificate.
26. Le ricerche pubblicate da quel momento dimostrano che le proteine ritenute proprie dell’HIV
potrebbero essere trovate nelle cellule “non infette dall’HIV”.
27. Ciò nonostante, gli esperti dell’HIV credono apparentemente che ci siano proteine che
appartengono ad un retrovirus HIV e affermano di adoperarle per trovare “anticorpi HIV” e in questo
modo dimostrare l’infezione da “HIV”.
28. Anche se ci fosse la prova che quelle proteine sono quelle di una particella infettiva e purificata che
dimostrò di essere un retrovirus, il fatto che dei pazienti abbiano anticorpi che reagiscono con quelle
proteine non è prova che gli anticorpi siano causati dall’infezione da HIV. Ciò è dovuto al fatto che gli
anticorpi indotti da uno speciale antigene reagiscono non solo con quell’antigene ma anche potrebbero
reagire con altri antigeni. Questo è un argomento criticamente significativo e che credo che sia stato
trascurato nell’inchiesta per scoprire la causa dell’AIDS. Le implicazioni di questo fatto vengono
spiegate nei seguenti esempi (29, 30, 33).
29. Gli esseri umani che appartengono al gruppo sanguigno A hanno anticorpi che reagiscono con i
globuli rossi di persone che appartengono al gruppo sanguigno B. E viceversa. Se viene trasfuso
involontariamente il sangue di ciascuna persona all’altra, gli anticorpi nel ricettore reagiranno con i
globuli rossi del donante, e perciò provocheranno coaguli intravascolari e chiuderanno la circolazione
del ricettore. Il risultato potrebbe essere funesto. Tuttavia, nessuno scienziato metterebbe in discussione
il fatto che gli anticorpi siano causati dall’”infezione” del sangue di un’altra persona né affermerebbe
che la loro presenza dimostra un’“infezione” del sangue umano. Difatti gli scienziati credono che
siffatti anticorpi si sviluppino appena il neonato lascia i confini sterili dell’utero e viene esposto ad una
ampia gamma di sostanze estranee provenienti dall’ambiente, compresi i germi. Tuttavia, gli anticorpi
prodotti come conseguenza di questi stimoli antigenici rilasciano casualmente anticorpi che reagiscono
con gli antigeni presenti nei globuli rossi di altri esseri umani. Da qui l’assoluto bisogno di analizzare il
sangue prima di iniziare le trasfusioni.
30. Una malattia comune causata dall’infezione col virus Epstein-Barr è la mononucleosi. L’infezione
di questo virus non solo ha come conseguenza anticorpi che reagiscono col virus Epstein-Barr ma
anche anticorpi che reagiscono con i globuli rossi di pecore e cavalli. Difatti, quando ci si confronta
con un paziente la cui storia, sintomi e segni suggeriscono la mononucleosi, i medici clinici ordinano
test per quest’ultimo piuttosto che per gli anticorpi del virus Epstein-Barr. Tuttavia siffatti pazienti non
sono infettati da sangue animale e nemmeno il sangue animale è la causa della malattia.
31. Perciò dobbiamo concludere che non è possibile affermare ipso facto che una reazione tra un
anticorpo ed un antigene dimostri che il soggetto è stato esposto o infettato da questo antigene. O da un
batterio o da un virus che ha quest’antigene.
32. Quando un anticorpo reagisce con un antigene oltre all’antigene che lo aveva indotto, la reazione
viene chiamata “reazione incrociata”. Una caratteristica risaputa di tutte le molecole di anticorpi è la
possibilità di produrre reazioni che sono sconcertanti e perciò fuorvianti. “Reazioni” (desiderate) e
“contro reazioni” (non desiderate) possono essere considerate analoghe alle droghe che hanno “effetti”
(desiderati) e “effetti collaterali” (non desiderati). In entrambi i casi ciò che è “non desiderato” limita la
capacità di raggiungere i risultati desiderati. Questo è il motivo per cui la sierologia è stata descritta
come “qualcosa di simile a determinare le forme esatte delle nubi dalle ombre che proiettano per terra”.
33. Un esempio pertinente è il fatto che il 62% dei pazienti che vengono colpiti da un attacco di
morbillo sviluppano anticorpi che reagiscono con sei delle dieci cosiddette proteine dell’”HIV”. Gli
esperti dell’HIV ammettono che questi non sono anticorpi causati dall' infezione da “HIV". Sono
anticorpi di morbillo che hanno una reazione incrociata con le proteine presenti nei prodotti dei test
anticorpali dell’“HIV”.
34. Gli immunologi credono che gli esseri umani siano capaci di elaborare forse una quantità di un
milione di molecole di anticorpi diverse. Dato questo repertorio e la loro dimostrata tendenza naturale
alle reazioni incrociate, è impossibile concludere, solamente sulla base delle reazioni, che ciò dimostri
l’identità degli anticorpi partecipanti.
35. L’unico mezzo per il quale si può dimostrare che le reazioni degli anticorpi siano specifiche di un
presunto agente, è quello di confrontare le reazioni con quell’agente. Questo è un esercizio puramente
empirico che può essere illustrato meglio da un altro esempio conosciuto.
36. I test di gravidanza sono test di anticorpi. Per dimostrare l’accuratezza di un test del sangue per
rilevare la gravidanza si confrontano dei risultati di test positivi e negativi riguardo la presenza o
assenza di bambini nati. Nel caso di un test preciso al 100%, si potrebbe sperare che tutte le donne che
ebbero bambini diano un risultato positivo al test e che tutte le donne che non ebbero bambini diano un
risultato negativo al test. In altre parole, i parametri dei test, compresa la specificità per rilevare la
gravidanza, vengono dimostrati adoperando il bambino come “gold standard”. Nel caso dell’“HIV”, si
afferma che i test anticorpali dimostrino l’infezione da HIV. Di conseguenza il gold standard per un
siffatto test deve essere l’HIV stesso, come dimostrato dall’isolamento del virus. In questo caso l’HIV è
“il bambino” che stabilisce la validità che le reazioni tra gli anticorpi e le proteine del prodotto del test
siano causate dall’infezione da “HIV”. Questo principio del gold standard viene usato per controllare
dei test in tutta la medicina clinica ma non è stato preso in considerazione dagli esperti HIV/AIDS
riguardo la determinazione di parametri di test anticorpali per l’infezione da HIV. Non c’è alcuna
relazione in tutta la letteratura scientifica di test anticorpali che siano stati verificati indipendentemente
da una reazione anticorpo/antigene riguardo un gold standard d'isolamento di virus.
37. Visto che l’isolamento stesso dell’HIV è problematico, al momento presente questa verifica del
gold standard non può essere fatta.
38. Perciò considero che non ci siano ragioni scientifiche per affermare che un soggetto che è “positivo
all’anticorpo HIV” sia infettato da un retrovirus HIV.
39. Questa conclusione non nega i fatti che (a) gli anticorpi siano presenti; (b) qualsiasi sia la loro
genesi, predicono la presenza o sviluppo di malattia dentro i gruppi di rischio di AIDS.
40. Gli esperti dell’HIV/AIDS sono consapevoli che i soggetti possono avere anticorpi che reagiscono
con una o con svariate proteine “HIV” e tuttavia non essere infetti dall’HIV. Difatti spiegano questi
casi come “falsi positivi biologici” provocati da anticorpi “non HIV” che hanno reazioni incrociate.
41. Gli esperti dell’HIV dichiarano che possono distinguere tra “veri anticorpi” (causati dall’HIV) e
“reazioni incrociate” (non causati dall’HIV) adoperando test anticorpali di seconda, terza e quarta
generazione e sistemandoli in svariati algoritmi di test. Con lo sviluppo di siffatti metodi affermano che
l’infezione da HIV può essere diagnosticata con la massima accuratezza. Rifiuto siffatte affermazioni
perché nessuna quantità di “rattoppo tecnologico” può ovviare alla necessità fondamentale di
controllare tutti i test anticorpali, indipendentemente dai metodi usati e dall’organizzazione con la quale
sono condotti, in confronto con il gold standard dell’isolamento dei virus.
42. Un siffatto algoritmo di analisi, che viene adoperato nella maggioranza dei paesi compresa
l’Australia, comprende un test anticorpale conosciuto come Western blot. Si ritiene che questo test
agisca da test “supplementare” per “confermare” altri test di “screening” di anticorpi positivi che gli
stessi esperti dell’HIV considerano meno che idealmente specifici per diagnosticare l’infezione da
HIV. Nella procedura del Western blot le dieci o più proteine “HIV” vengono imbevute in punti
indipendenti lungo la lunghezza di una striscia di nitrocellulosa. I punti dove ciascuna proteina è
presente vengono identificati da ‘p’ (che sta per proteina) seguita da un numero (che è il peso
molecolare di quella proteina in migliaia). Ad esempio, p18 o p24. Tre delle proteine vengono
etichettate gp’ (che sta per glicoproteina) perché quelle proteine (gp41, gp120, gp160) incorporano
frazioni di zucchero nella loro struttura. Quando si aggiunge del siero ed i nastri hanno sviluppato i
punti per reazioni di anticorpi/proteine, appaiono come bande colorate. Il tecnico di laboratorio
visualizza queste bande e di conseguenza determina quali proteine hanno anticorpi che reagiscono con
loro. Si fa una relazione del test Western blot a seconda del numero e del tipo di banda che appaiono
sulla striscia. Gli esperti dell’HIV affermano che certi risultati di bande del Western blot dimostrano
l’infezione da HIV e che solamente questi risultati vengano riferiti come positivi. In Australia, un
Western blot negativo è quello che non ha bande. Qualsiasi risultato che non è né positivo né negativo
viene riferito come indeterminato. Si ritiene che la maggioranza di questi risultati indeterminati non
siano dovuti ad infezione da HIV.
43. Dovrebbe essere noto che il 40% dei donatori di sangue in buona salute hanno almeno una banda
del Western blot. Gli esperti dell’HIV affermano che queste bande non sono causate da anticorpi HIV
ma da anticorpi “non HIV” che hanno reazioni incrociate. Di conseguenza gli anticorpi che reagiscono
con “le proteine dell’HIV ma che non sono causati dall’”HIV” sono altamente ricorrenti nelle persone
in buona salute che non sono a rischio di sviluppare l'AIDS.
44. Le persone in buona salute hanno relativamente meno anticorpi che i pazienti di AIDS che hanno
comunemente, in generale, elevati livelli di anticorpi. Quanto più è alto il numero di anticorpi,
maggiore è la possibilità di reazioni incrociate. Perciò, uno scienziato dovrebbe aspettarsi che i soggetti
malaticci che comprendono i pazienti con l’AIDS, abbiano una molto più elevata ricorrenza di
anticorpi “non HIV” che reagiscono nei test dell’HIV rispetto ai soggetti in buona salute. Senza
risultanze del gold standard dell’isolamento virale, è impossibile accertare quale proporzione, semmai,
di soggetti “positivi all’HIV” reagiscono a causa di anticorpi HIV piuttosto che a causa di anticorpi
“non HIV”.
45. Anche se accettiamo che le proteine nelle bande del Western blot fossero in origine HIV ci sono
svariati problemi con questo “test di conferma”. Il più significativo è che, come tutti i test anticorpali
adoperati soli o in combinazione, la specificità del Western blot non è stata determinata usando un gold
standard di isolamento di virus.
46. Il Western blot non è standardizzato. Cioè, le combinazioni di bande che “confermano” l’infezione
HIV in un laboratorio, istituzione o paese possono non “confermarlo” in un altro. Ad esempio, i
principi che definiscono i risultati di un test Western blot positivo nella città di New York non sono gli
stessi di quelli usati in Australia o Africa. Per adoperare una analogia, nessun medico accetterebbe
l’esistenza di diversi criteri elettrocardiografici per diagnosticare un attacco al cuore in tutto il mondo.
Un paziente non può avere un “attacco al cuore ECG positivo” nella città di Nuova York che non sia un
“attacco al cuore ECG positivo” a Sydney, Australia (Parte 4).
47. La variazione globale nei criteri per un Western blot positivo fa sì che sia impossibile affermare che
possa persino essere determinata la specificità del siffatto test.
48. Per le ragioni sopra nominate credo che non ci sia un fondamento nei test anticorpali per ritenere
che Parenzee fosse infettato da un retrovirus.
49. Quindi giungo alla conclusione che non ci sia una prova scientifica che Parenzee abbia trasmesso
un retrovirus ai suoi partner sessuali.
C. TEST DI CARICA VIRALE
1. Secondo gli esperti dell’HIV/AIDS l’HIV è un retrovirus con un singolo genoma a RNA. Il termine
genoma viene definito come l’insieme di geni ed il genoma è necessario affinché la particella HIV
riproduca le particelle di virus.
2. Uno scienziato, per identificare il RNA come appartenente ad un retrovirus, deve prima purificare le
particelle virali. Ciò è dovuto al fatto che le cellule nelle quali si replicano i virus hanno anche RNA.
Visto che le particelle che si ritiene siano “HIV” non sono state purificate, non è possibile affermare
che uno speciale RNA sia quello dell’”HIV”.
3. Gli esperti dichiarano che sono capaci di determinare il numero di molecole di RNA in un campione
di sangue adoperando svariati test metodologicamente diversi fondati su una tecnica biochimica
conosciuta come la reazione a catena polimerasica (PCR). La PCR è una tecnica che utilizza un piccolo
frammento del RNA per moltiplicarlo velocemente e rilevare se lo stesso RNA è presente nel materiale
del test. Gli esperti chiamano il numero ricavato dai test PCR la “carica virale dell’HIV” e affermano
che siffatte misurazioni sono essenziali per la gestione clinica di pazienti che sono positivi all’HIV. Si
ritiene che la “carica virale” sia l’indicatore diagnostico più affidabile per gli individui infetti dall’HIV
e si ritiene che guidi anche la scelta e determini l’efficacia della terapia con farmaci “antiretrovirali”.
4. Nel 1996 un esperto dell’HIV di importanza internazionale pubblicò uno studio su Science nel quale
affermava “Nel volume di sangue totale, il numero di virioni può eguagliare 106 [un milione] di
particelle per millimetro, o uno stimato 109 [1 bilione] di particelle HIV per millimetro”.
5. Tuttavia, (a) non sono state pubblicate correlazioni tra la “carica virale” (numero di molecole di
RNA) ed il numero di particelle ritenute “HIV” nel sangue. Ciò è dovuto al fatto che fino a oggi nessun
ricercatore dell’HIV ha pubblicato nemmeno una micrografia elettronica a dimostrazione dell’esistenza
di nemmeno una delle siffatte particelle nel sangue di nemmeno un paziente di AIDS; (b) le molecole
di RNA non sono particelle virali e è necessario che ci siano particelle virali affinché abbia luogo
l’infezione. Perciò il termine “carica virale” è sia infondato che fuorviante.
6. Gli esperti dell’HIV ammettono che ci sono dei problemi per misurare la reale “carica virale”.
Diversi laboratori e diversi test PCR ottengono risultati notoriamente diversi della medesima “carica
virale” su identici campioni (Parte 5 e 6).
7. Queste informazioni sulla “carica virale” confermano, ad esempio, che in un test speciale la “carica
virale” potrebbe essere del 60% inferiore o superiore rispetto al valore medio; (b) se viene adoperato un
altro test sullo stesso campione la media ottenuta viene dimezzata con una variazione del 30% intorno
alla media. Nelle informazioni di un altro test una “carica virale” potrebbe essere 295.000 o meno di
400 (considerata zero) a seconda di quale procedura venga usata per ottenere la misurazione. Questa
gamma (295000/0) è matematicamente infinita.
8. La variabilità esistente tra i laboratori e tra i test viene usata per giustificare le raccomandazioni degli
esperti affinché i pazienti siano testati dallo stesso laboratorio usando la stessa procedura. In altre
parole, agli esperti dell’HIV non interessa il valore reale della “carica virale”. Ciò porta a domandarsi
come sia possibile (a) rilasciare dichiarazioni generali e categoriche riguardo la rilevanza biologica
della “carica virale”; (b) trasporre siffatte affermazioni a pazienti individuali la cui “carica virale” viene
controllata per gli stessi motivi. Cioè, prendere decisioni gestionali riguardo la terapia “antiretrovirale”
e consigliare sulla prognosi. Se l'affidabilità delle misurazioni della chimica dell’organismo fosse tanto
irrilevante quanto la “carica virale”, sarebbe impraticabile la gestione dell’equilibrio liquido ed
elettrolitico. Ad esempio, se un metodo di misurazione del sodio del siero producesse un risultato che
fosse la metà di quello di un altro, l’ultimo non avrebbe alcun senso perché sarebbe incompatibile con
la vita.
9. Roche, il produttore della procedura Amplicor HIV-1, che è uno dei test di “carica virale” di RNA
più comunemente usati , ha ritirato il proprio test dal commercio.
10. Per essere in grado di contare molecole di RNA uno scienziato deve avere un test capace di
distinguere tra RNA dell’“HIV” ed altri RNA. Per usare una analogia, se si desidera contare il numero
di mele in un frutteto dove crescono tutti i tipi di frutta, si deve per prima essere capaci di riconoscere
una mela.
11. Se, come affermano gli esperti dell’HIV, la carica virale misura il RNA dell’“HIV”, allora questo
test dovrebbe essere capace di distinguere tra l'RNA dell’”HIV” ed altri RNA. Cioè, per il fatto di
riconoscere RNA dell’”HIV”, per quel fatto stesso il test dimostra l’infezione da HIV. Tuttavia,
secondo i Centri Americani per il Controllo delle Malattie (CDC), i test di acidi nucleici di RNA
virale di plasma invece dei test di screening dell'HIV autorizzati (ad esempio, l'immuno enzimatico
ripetutamente reattivo” (sottolineato nell’originale) NON dovrebbero essere adoperati negli adulti,
adolescenti, e bambini infettati da altri fattori oltre l’esposizione perinatale. (I "test di screening
autorizzati” e l’“immuno enzimatico” sono test anticorpali).
12. Tuttavia, secondo gli esperti dell’HIV, il ruolo della “carica virale” è limitato alla misurazione della
“quantità di virus” nei pazienti la cui infezione da “HIV” è stata prima dimostrata dai test anticorpali.
13. Un gruppo di esperti dell’HIV afferma che “I test di carica [RNA] virale del plasma non sono stati
né sviluppati né valutati per la diagnosi dell’infezione da HIV”.
14. Roche, l’azienda che produsse e vendette il test MONITOR RNA HIV-1 AMPLICOR incluse la
seguente dichiarazione nel foglietto illustrativo della confezione del test: “Il test v1.5 MONITOR
HIV-1 AMPLICOR COBAS non intende essere adoperato come test di screening per il sangue o
prodotti del sangue per la presenza dell’HIV-1 o come un test diagnostico per confermare la presenza
dell’infezione HIV-1”.
15. Così, il test che gli esperti dell’HIV affermano che sia capace di contare molecole di RNA
specifiche dell’”HIV” non viene ritenuto capace di diagnosticare l’infezione da “HIV”.
16. Giungo alla conclusione che questi test non abbiano senso nei termini della loro capacità per
identificare il RNA come appartenente all“HIV”, tanto meno per misurare la “carica virale”.
D. IMMUNODEFICIENZA ACQUISITA (BASSO NUMERO DI CELLULE CD4)
1. I medici clinici che trattano i soggetti positivi all'HIV e i pazienti di AIDS controllano il numero di
cellule CD4 nel sangue periferico. Una diminuzione del loro numero è interpretata come prova del fatto
che le cellule sono distrutte in conseguenza della infezione da HIV.
2. Il fatto che le cellule CD4 sono in diminuzione nel circolo sanguigno non prova che sia in atto un
processo distruttivo delle stesse. La loro scomparsa non prova la loro morte più di quanto la scomparsa
di quote di popolazione dalle città a Pasqua provi che i loro cittadini siano morti.
3. Le cellule CD4 sono conteggiate per mezzo di anticorpi che si legano ad una molecola posta sulla
superficie della cellula e conosciuta come ‘recettore’ della cellula CD4. I dati pubblicati da esperti dell'
HIV mostrano che la diminuzione registrata nei conteggi di cellule CD4 può non essere dovuta alla loro
distruzione selettiva, ma alla perdita dei loro recettori di superficie che non sono più disponibili per
legarsi alle molecole degli anticorpi.
4. In colture di cellule CD4 alcuni agenti chimici inducono cambiamenti simili senza uccidere le
cellule.
5. L’esperimento in vitro (ossia nella vaschetta di laboratorio, non un esperimento in vivo) eseguito
per dimostrare che l’HIV uccide le cellule CD4 risente del fatto che non è possibile aggiungere HIV
puro alle colture cellulari di CD4. Ciò per via del fatto che ad oggi nessun ricercatore ha isolato l’HIV.
In tal modo siffatti esperimenti, anche se hanno mostrato un numero in calo di cellule poste in coltura,
non sono in grado di distinguere tra l’”HIV” come causa effettiva e le molte altre sostanze che
contaminano l’”HIV”.
6. I dati mostrano che anche se si aggiunge “HIV non puro” alle colture, l’”HIV” non produce una
diminuzione più significativa del numero di cellule CD4 rispetto a quella osservata in colture di
controllo alle quali sono state aggiunte sostanze prive di “HIV”.
7. Secondo alcuni dati nei gruppi a rischio AIDS, ad esempio consumatori di droga ed emofiliaci, i
soggetti possono avere bassi numeri di CD4 ancor prima di diventare positivi all'HIV. In altre parole, la
presunta causa (HIV) segue l’effetto (ridotto numero di cellule CD4).
8. Montagnier ha affermato:”Questa sindrome [AIDS] si presenta in una minoranza di soggetti infetti
che hanno generalmente in comune un passato di stimolazione antigenica e di immunodepressione
prima dell’infezione da LAV [HIV]” (la sottolineatura è mia).
E. TRASMISSIONE SESSUALE
1. Le malattie infettive sono causate da microbi trasmessi da persona a persona. Quindi una persona
infetta con un particolare microbo trasmette il microbo ad un’altra persona non infetta, che a sua volta
lo trasmette ad altre persone.
2. Ciò che distingue le infezioni trasmesse sessualmente dalle altre infezioni, è che i microbi che le
causano, sono presenti nel liquido seminale e in quello cervico-vaginale.
3. Non c’è in nessun paese del mondo un solo studio concernente la trasmissione sessuale di HIV
fondato su qualche evidenza della presenza di HIV nelle secrezioni genitali.
4. L’unica evidenza portata per dimostrare la trasmissione eterosessuale è quella epidemiologica, ossia
l’esame della relazione che intercorre tra un test anticorpale positivo e il comportamento sessuale. Tali
studi poggiano su deduzioni tratte da associazioni statistiche tra gruppi di osservazioni.
5. In tutti gli studi pubblicati sulla trasmissione sessuale relativi ad individui omosessuali, così come a
casi eterosessuali, i partners sessuali non sono collegati da contatti sessuali reciproci conosciuti (traccia
di contatto) oppure da contatti sessuali con individui di cui è noto lo stato anticorpale, positivo o
negativo.
6. La maggior parte degli studi che proverebbero la trasmissione eterosessuale sono a sezione
incrociata. Ciò è a dire, se ambedue i partners sessuali risultano essere positivi all’HIV e
l'epidemiologo ritiene che non ci sia altra ragione che spieghi l’esito positivo del test, si assume che un
partner abbia trasmesso il virus HIV all’altro per mezzo di un contatto sessuale. La direzione della
trasmissione (da maschio a femmina o da femmina a maschio) è assegnata in modo arbitrario.
7. Ci sono alcuni studi su partners sessuali di cui uno è positivo all'HIV e l’altro no. Le coppie sono
state seguite per un certo tempo al fine di accertare quel che accade allo stato anticorpale del partner
negativo all'HIV. Questi studi sono conosciuti come studi longitudinali o prospettici.
8. La Prof.ssa Nancy Padian del Dipartimento UCSF di Ostetricia, Ginecologia e Scienze della
Riproduzione ha condotto i migliori studi disponibili e più prolungati sulla trasmissione eterosessuale
dell'HIV. Dalla sezione incrociata del suo studio durato 10 anni Padian ha calcolato che “l’infezione
dovuta alla trasmissione per contatto da maschio a femmina è bassa, circa 0,0009” e che “essa è circa
otto volte maggiore di quella da femmina a maschio”. In altre parole, la probabilità della trasmissione
per contatto da maschio a femmina è pari ad 1 su 1111 e quella da femmina a maschio è pari ad 1su
8888. Questi rischi per contatto sessuale sono in marcato contrasto con il caso della gonorrea ad
esempio, dove il rischio per contatto è pari a ½ nella trasmissione da maschio a femmina e a ¼ nella
trasmissione da femmina a maschio. Da notare che il tasso di probabilità della trasmissione da femmina
a maschio era basato su due soli casi, la cui validità era messa in dubbio dalla stessa Padian. In realtà
ella ha sottolineato i limiti degli studi a sezione incrociata e ciò fu il motivo per cui iniziò uno studio
prospettico.
9. Da notare altresì che Padian accetta un test anticorpale positivo come prova sufficiente
dell’infezione da HIV e quindi dell’avvenuta trasmissione. Tuttavia i criteri che ella e i suoi colleghi
accettano per concludere che un test Western Blot e’ positivo e per la 'conferma' dell’infezione da HIV,
non sono considerati sufficienti nella maggioranza dei paesi, istituzioni e laboratori, ivi inclusi quelli
australiani.
10. La seguente tabella confronta le probabilità di una donna di contrarre l’infezione dal suo partner
maschio infetto sia per l’ HIV, sia per la gonorrea dopo un dato numero di rapporti sessuali.
Probabilità cumulativa di infettarsi
Numero
di contatti
Probabilità di Infezione
Gonorrea ‘HIV’
0 0% 0%
1 50% 0.09%
2 75% 0.18%
3 88% 0.27%
4 94% 0.36%
5 98% 0.45%
777 50%
3333 95%
La seguente tabella confronta la probabilità di una donna di non contrarre l’infezione sia per la
gonorrea, sia per l’”HIV”
Probabilità cumulativa di non infettarsi
Numero
di contatti
Probabilità di nessuna infezione
Gonorrea ‘HIV’
0 100% 100%
1 50% 99.9%
2 25% 99.8%
3 13% 99.7%
4 6% 99.6%
5 2% 99.6%
777 50%
3333 5%
In media per avere una probabilità del 50% di infezione da “HIV” una donna dovrebbe avere 777
rapporti sessuali con il partner maschio. Per avere una probabilità del 95% occorrerebbero 3333
rapporti. Supponendo che i due partner siano capaci di avere un rapporto ogni tre giorni per un tempo
indeterminato, occorrerebbero rispettivamente 6,3 e 27,4 anni perché l’infezione da HIV sia trasmessa
ad una donna. Per quanto riguarda la trasmissione da donna ad uomo (che la Padian calcola essere otto
volte inferiore) in media occorrerebbero rispettivamente 6.200 e 27.000 rapporti e un periodo di 51 e di
222 anni perché un uomo sia infettato dalla sua partner donna.
11. La parte prospettica dello studio di Padian ha registrato il risultato riferito a coppie di cui un partner
era negativo al HIV e l’altro già positivo. Questa parte dello studio è durata sei anni durante i quali i
partecipanti sono stati intrattenuti in sedute regolari ed intensive sul tema dei loro rapporti sessuali
sicuri. Ciò nonostante anche dopo sei anni il 25% delle coppie ancora non usavano praticamente il
condom. E tuttavia nessuno di essi ha trasmesso o e’ stato contagiato dall’HIV.
12. L’uso regolare del condom non significa assenza di esposizione a secrezioni genitali. Secondo il
Centro di Controllo delle Malattie (CDC) il normale tasso di mancata prevenzione di indesiderata
gravidanza con condom maschili è stato del 15% nel primo anno di uso, mentre utenti più ‘assidui’ del
condom maschile hanno un tasso di errore del 2%. Per quanto riguarda il condom femminile, “Il tasso
stimato di errore in ordine alla prevenzione della gravidanza è stato su 147 donne pari al 26% nell’arco
di 12 mesi. Per le 86 donne che usarono questo condom regolarmente e correttamente, il tasso di errore
stimato è stato dell'11% sempre nell’arco di 12 mesi.
13. In Africa, dove si ritiene che il principale canale di trasmissione dell'HIV è il rapporto
eterosessuale, uno studio retrospettivo ha concluso che “La probabilità di trasmissione dell'HIV per
rapporto sessuale nell’Uganda è della stessa percentuale registrabile presso altri popoli”.
14. Gli esperti dell’infezione da HIV asseriscono che la presenza di patologie “non-HIV” trasmesse per
via sessuale facilita la trasmissione del virus “HIV”. E tuttavia in uno studio a largo raggio, ben
progettato ed eseguito sull’effetto del comportamento sessuale sulla trasmissione del virus “HIV” in
Uganda, gli autori hanno riferito di una ridotta incidenza del virus herpes simplex del tipo 2 (“HSV2-
una misura indiretta di contatto sessuale non protetto”), e così pure di una significativa riduzione nel
gruppo d’intervento dei casi di sifilide acuta, di gonorrea, di sesso casuale non protetto. Né c’era alcun
effetto sull’incidenza dell'HIV nonostante il fatto che un “intervento apparentemente appropriato “che
riducesse significativamente altri STD fosse stato implementato su larga scala con grande cura ed
impegno”.
15. Questi dati pongono la questione della trasmissione eterosessuale dell'HIV. In altre parole non v’è
prova che l'HIV si trasmetta per via sessuale.
16. Questi dati epidemiologici sono compatibili col fatto di non costituire alcuna prova dell’ipotesi che
un retrovirus sia stato isolato da pazienti affetti da AIDS.
PARTE 2 DELL’AFFIDAVIT DI VALENDAR FRANCIS TURNER
Pubblicazioni di opere scientifiche del Gruppo di Perth
PARTE 3 DELL’AFFIDAVIT DI VALENDAR FRANCIS TURNER
Pubblicazioni su periodici, stampa divulgativa e online del Gruppo di Perth
PARTE 4 DELL’AFFIDAVIT DI VALENDAR FRANCIS TURNER
Variazione generale dei criteri che ritengono positivo un test Western blot
*Le bande non sono in ordine elettroforetico
NOTE:
I. “L’Associazione dei Laboratori della Sanità Pubblica raccomandano ora di dire ai pazienti che
hanno risultati appena positivi al test Western blot, ad esempio soltanto p24 e gp160, oppure soltanto
gp41 e gp160, che tali risultati sono stati riscontrati in soggetti non infetti con l'HIV e che è necessaria
un’ulteriore serie di test per determinare la reale situazione infettiva”.4
II. Nel febbraio 1993 la Food and Drug Administration degli Stati Uniti allargò i suoi criteri al fine
di “ridurre il numero delle interpretazioni del test Western blot ad esito sieroindeterminato”, ossia per
aumentare il numero degli individui positivi all'HIV.5
Note: Ogni banda orizzontale sulla striscia del Western blot (la parte più a sinistra della tabella)
rappresenta una proteina dell'HIV. Si aggiunge siero di un paziente e quando le strisce sono sviluppate,
appaiono bande colorate sui punti in cui gli anticorpi hanno reagito con le singole proteine dell'HIV. Il
numero e la posizione delle bande che determinano la risposta positiva o meno di un test variano
secondo i laboratori, le istituzioni mediche, ed i paesi. Nemmeno oggi esistono criteri internazionali
condivisi su ciò che costituisce un riscontro positivo al test Western blot. Di qui la circostanza che,
per fare un esempio, un soggetto positivo a New York sulla base dei criteri del Center of Disease
Control, può non essere considerato positivo a Sydney in Australia. Oppure un australiano positivo con
bande p41, p32, p24 e p18 può non ritenersi positivo in Africa. Oppure ancora un africano positivo con
banda p41 e p120 può non risultare positivo in Australia, o in varie parti degli Stati Uniti o dell’Europa.
Una certa confusione circa la reattività agli anticorpi è confermata dai manuali diagnostici dei
laboratori. Il manuale d’istruzioni per l’esame del Western blot Genelabs Diagnostic HIV BLOT 2.2
avverte: ”Linee guida specifiche per l’interpretazione dei risultati possono differire secondo le politiche
locali; Genelabs raccomanda di seguire l’indirizzo corrente per uniformarsi alle disposizioni locali”.
Tale raccomandazione è seguita da sette differenti criteri per ritenere positivo un Western blot emessi
da “differenti corpi normativi internazionali”. Genelab aggiunge: ”Raccomandiamo le seguenti linee
guida per l’interpretazione del Genelabs Diagnostic HIV BLOT 2.2” ed elenca un ottavo gruppo di
criteri per l’individuazione di un Western blot positivo. Ciò significa che a determinare gli esiti di
reattività agli anticorpi ritenuti sufficienti a provare l'infezione retrovirale non sono i presunti elementi
patogeni presenti, ma “i differenti corpi normativi internazionali” o “politiche locali”. Il produttore
Bio-Rad avverte: ”Ogni laboratorio che esegue un test col Western blot dovrebbe sviluppare i suoi
propri criteri per l’interpretazione delle bande. In alternativa la detta interpretazione può essere lasciata
ai clinici” (Manuale del Laboratorio Bio-Rad del 1993).
Tabella simile alla precedente basata sul foglietto informativo della Genelabs
Variazione generale dei criteri che ritengono positivo un test Western blot
Fonte: Foglietto illustrativo del test Western blot HIV Blot 2.2 della Genelabs Singapore e della Genelabs Diagnostics.
PARTE 5 DELL’AFFIDAVIT DI VALENDAR FRANCIS TURNER
Misurazioni della ‘Carica virale’ dell'‘HIV’
Le tre procedure usate più di frequente per quantificare la ‘carica virale’ sono la reazione a catena
polimerasica a transcriptasi inversa (RT-PCR), l’amplificazione basata sulla sequenza dell’acido
nucleico (NASBA) e il DNA a catena ramificata (bDNA). Per giudicare l’impatto dei test usati e della
“quantificazione della variabilità genetica nel RNA dell'HIV-1”, i ricercatori francesi “hanno valutato
tre prodotti commerciali usando una lista di parti di HIV-1 rappresentanti elementi da A a H … Queste
parti sono state incrementate in colture. Il virus è stato raccolto a mezzo di centrifugazione e di nuovo
sospeso in un plasma sieronegativo all'HIV. Per ridurre a misure standard le quantità di virus di ogni
preparato, è stato individuato l’antigene p24 e il volume regolato in modo che ogni campione
contenesse approssimativamente 10pg di antigene p24 per ml”. Le “copie di RNA dell'HIV-1” ottenute
per ogni ml di plasma sono le seguenti (sotto a 400 il RNA è considerato pari a zero):
Se il detto test misura una sola cosa e sempre la stessa, ossia la quantità di RNA dell'”HIV” presente
nel plasma di un paziente, allora tutti i numeri delle tre colonne di destra dovrebbero essere dello stesso
ordine di cifra. E la loro vistosa variabilità non dovrebbe essere giustificata dal fatto che “la
quantificazione del RNA dell'HIV-1 è fortemente influenzata dal ceppo di HIV-1” o dal tipo di
prodotto usato. Sarebbe incomprensibile che si usino test per quantificare esattamente qualunque cosa
ma che non abbiano la stessa affidabilità per un microbo considerato letale. Se un test di gravidanza o
un test degli enzimi cardiaci conseguenti ad un infarto fosse dello stesso genere di quello che accerta la
‘carica virale’, i clinici non saprebbero che farne.
PARTE 6 DELL’AFFIDAVIT DI VALENDAR FRANCIS TURNER
Test su campioni di RNA dell'‘HIV’ registrati dal National Reference Laboratory di Victoria
NUMERO DI COPIE DI RNA DELL'HIV X 1000
Questi risultati sono le medie dei campioni di “HIV” usati come controllo della qualità (QC) misurate
da parecchi laboratori in Australia. Ogni campione QC contiene la stessa quantità di RNA dell'HIV e i
dati forniti non contengono “esiti invalidi”.
All’interno di tali esami la variazione dei valori medi ottenuti va da 16 a 86,9%.
In un solo esperimento (dati non registrati) quasi un terzo dei laboratori non è riuscito ad ottenere un
valore compreso in deviazioni standard dal valore medio di due misure.
Considerando ad esempio i dati riferiti per QC101 e QC106 una ‘carica virale’ media di 40,8 oppure
421,9x1000 copie si è ridotta di circa la metà o di due terzi rispettivamente misurando lo stesso
campione con due differenti tipi di test. E per i dati riferiti per QC108P cambiando tipo di test la ‘carica
virale’ media si è ridotta di quasi 7 volte. Questi dati possono essere compresi solo usando la metafora
che essi rappresentino gli introiti giornalieri di un supermercato depositati in due diverse banche che
usano differenti metodi di contabilizzazione del contante. Ma così facendo rimane un mistero quale sia l’introito effettivo.

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