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Sara, biotecnologa

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Inserito il 01/03/2006 11:41:17   Segnala contenuto non adatto   Rispondi Quotando  Nuovo Commento 
Perchè questa avversione agli ogm, cattiva informazione?

La posizione dei consumatori è soprattutto dettata dalla cattiva informazione che gli ambientalisti e i movimenti politici hanno promosso mediante slogan esagerati e privi di fondamento scientifico: cibi Frankestain, allarmismi sulla salute, minaccia alla biodiversità....
Qualcuno si è preoccupato di capire quale sia la verità? No, ultimamente si sta sviluppando una cultura basata sulla condanna morale della scienza e della ricerca! E' giusto garantire libertà di scelta ma è giusto anche fornire informazioni corrette.
I prodotti tradizionali sono considerati dall’opinione pubblica prodotti naturali e per questo sani, sicuri, di qualità. Vengono quindi promossi e sponsorizzati dai mass-media e dagli anti-transgenici come mezzo per salvare l’umanità che è minacciata dagli alimenti OGM, cibi Frankenstein, innaturali in quanto ottenuti con le tecniche del DNA ricombinante e quindi in grado di causare catastrofi per la salute umana e ambientale.Ma qual è la verità? Il binomio Prodotti tradizionali- Prodotti OGM sarà nemico perenne? Innanzi tutto è importante precisare cosa si intenda dire con “Io mangio cibi naturali perché sono sicuri”: l’agricoltura di per sé non può essere definita naturale perché da sempre l’uomo è intervenuto su essa per incrementare le rendite, la digeribilità e la conservazione dei prodotti, la resistenza dei vegetali a patogeni; ha anche sfruttato risorse naturali per sviluppare alimenti nuovi, come ad esempio la fermentazione microbica. I salumi, i formaggi, il vino e la birra, ottenuti con queste tecnologie, non sono considerati prodotti tradizionali? Essi sono al tempo stesso prodotti biotecnologici in quanto, per definizione le biotecnologie tradizionali, sono un insieme di procedimenti che impiegano agenti biologici: colture cellulari, enzimi, microrganismi, per produrre cibi, bevande o molecole d’interesse. Il pomodoro, il frumento, il riso, il mais e tutte le altre piante a noi familiari sono il risultato di incroci, mutazioni e selezioni operate dall’uomo nel corso del tempo. L’agricoltura è sempre stata in evoluzione: varietà nuove hanno soppiantato quelle vecchie. L’Italia è famosa per la ricchezza di varietà vegetali, apprezzate in tutto il mondo per le loro proprietà organolettiche, considerate prodotti di nicchia ma derivate dal gran bel lavoro fatto dai genetisti vegetali nell’ultimo secolo.
“Io mangio cibi naturali perché sono sicuri” significa presumere che la natura sia intrinsecamente giusta e buona, ma ciò, comporta un duplice errore:
1) Se così fosse, ogni intervento dell’uomo sulla natura dovrebbe essere considerato moralmente sbagliato: dalla semina, alla lavorazione dei campi, all’impiego dell’energia elettrica, all’uso dei cellulari. Non si può dunque giustificare il perché di tanto accanimento nei confronti delle biotecnologie in ambito alimentare, e non verso quelle applicate al settore farmaceutico o medico, da sempre viste come una conquista positiva;
2) Se così fosse si ritiene valida la correlazione “cibo naturale = assenza di rischi”, affermazione scientificamente infondata. In natura infatti, gran parte delle piante produce veleni, tossine e sostanze cancerogene per difendersi dai patogeni che le attaccano. Tutto ciò ha un significato biologico ed evolutivo. La patata ed altre solanacee contengono glico-alcaloidi; giovani piantine di basilico accumulano alte dosi di metil-eugenolo, un noto cancerogeno (Miele et al., 2001); kiwi, riso, frumento, arachidi contengono sostanze allergeniche, e così via. E’ errato dunque affermare che la natura è buona di per sé.
L’uomo, nel corso del tempo, ha selezionato piante in modo da renderle innocue nei suoi confronti e commestibili. Oggi si mangia sicuramente più sano di 20 anni fa e 20 anni fa si mangiava più sano di cent’anni prima. Questo grazie alla ricerca scientifica che ha eliminato i pericoli del passato.La produzione agricola ed agroalimentare italiana, come già detto, è nota nel mondo per la qualità dei suoi “prodotti tipici”: il pomodoro San Marzano, il riso Carnaroli, il broccolo romanesco, il radicchio rosso di Rovigo, il peperone Corno di Carmagnola sono solo alcuni illustri esempi. Qualità ed innovazione tecnologica tuttavia non sono valori alternativi: solo con la loro associazione è possibile tutelare la competitività di questi prodotti nel medio e lungo periodo. L’innovazione genetica è una componente efficace e determinante per salvaguardare e migliorare la qualità, la tipicità e il territorio. E’ preoccupante il tentativo italiano di salvare i prodotti tipici impedendone il miglioramento genetico: “Al nostro paese, ricco di prodotti tipici, il transgenico non conviene economicamente. Dobbiamo difendere la nostra specificità e la nostra qualità!”. Infatti, così facendo si rischia di portare alla scomparsa lo stesso “prodotto tipico” italiano: stiamo perdendo, anno per anno, molte delle varietà che vorremmo salvare. “Il pomodoro San Marzano, re delle conserve, il principale condimento per pizza e pasta, non si coltiva quasi più perchè decimato dal virus CMV; la produttività del riso Carnaroli, considerato il migliore riso da risotto nel mondo, è drasticamente ridotta da un fungo parassita contro il quale l’unica soluzione è il pesante intervento con fungicidi; il peperone Corno di Carmagnola è particolarmente suscettibile a Ostrinia nubilalis, la piramide del mais; la vite Nero d’Avola, molto importante nel sud Italia, è indebolita da un virus; le viti dell’Oltrepò Pavese sono decimate dalla flavescenza dorata; la coltivazione del melo in Valle d’Aosta è minacciata dalla larva dell’insetto Melolontha, che ne divora le radici”, (Sala). E' possibile effettuare incroci della varietà di interesse con una varietà della stessa specie che porta geni per i caratteri di resistenza; gli ibridi selezionati però non saranno più il vero prodotto di nicchia italiano ma nuove varietà, probabilmente sempre di ottima qualità. Ma si sa, il nome ha spesso un valore commerciale irrinunciabile.
Secondo Sala: “Il futuro dell’agricoltura biologica sta nell’ingegneria genetica” e, anche se oggi questa affermazione sembra una provocazione, in realtà ha una sua logica. Il trasferimento di geni è infatti particolarmente utile nei casi in cui si voglia conferire ad una varietà vegetale tipica un gene che corregga un difetto genetico (ad esempio, sensibilità ad un parassita o alla siccità) senza alterarne le qualità organolettiche e commerciali.
Le nostre varietà tipiche possono essere coltivate con successo solo mediante drastici interventi fitochimici; l’agricoltura biologica propone alternative ma spesso comportano problematiche circa la sicurezza alimentare del prodotto, come la contaminazione di funghi che producono aflatossine e ocratossine, sostanze dotate di azione cancerogena. Per i casi di virosi non esistono trattamenti efficaci e l’infezione causano considerevoli perdite produttive e riduzione della qualità del prodotto.
Sala propone “l’uso delle tecniche ricombinanti come una sorta di terapia genica, come quella che si vuole mettere a punto per le malattie genetiche dell’uomo. Un gene che produce un insetticida: la pianta crescerà sana, senza richiedere interventi esterni; un gene antivirus: il virus non riuscirà più a moltiplicarsi nella cellula vegetale. Tutto ciò lascia il corredo genetico immutato: qualità e caratteristiche del prodotto di nicchia non saranno alterate, anzi spesso migliorate perché un prodotto che non ha subito l’attacco di parassiti sarà anche un prodotto più sano e più buono.”
Ciò non esclude la necessità di studi accurati sulla biosicurezza associata a questi prodotti. È fondamentale che le ricerche non si limitino al semplice inserimento di uno o più geni in una pianta, ma valutino anche altri fattori, ad esempio, la possibilità che il transgene interferisca con la normale fisiologia della pianta o abbia eventuali effetti sulla salute umana o sull’ambiente. E’ necessario sottoporre i prodotti transgenici a controlli cui dovrebbero essere soggetti tutti i prodotti vegetali di cui facciamo uso, siano essi frutto di ingegneria genetica, biologica o convenzionale.
Si è consapevoli del fatto che la scienza non può dare certezze assolute ma solo oggettive valutazioni e ragionevoli probabilità; essa fornisce elementi concreti per valutare e gestire il rischio associato a prodotti OGM e biotecnologici in generale. Si può discutere a lungo sugli effetti “indesiderati” delle metodologie genetiche e sui possibili "rischi" ad esse associati, ma non si possono negare gli incalcolabili benefici apportati dalla scienza, benefici di cui l'umanità ha potuto godere e continuerà a godere nell'ottica della gradualità e della ragionevolezza. Non bisogna dunque diffidare delle possibilità offerte dalla scienza, né temere irrazionalmente queste nuove metodologie.
In Italia però emergono grandi contraddizioni: i movimenti e i politici nazionali avversano le nuove tecnologie agrarie e, in questo modo, stanno facendo un grande favore alle multinazionali delle piante GM e alla Cina: bloccando la ricerca e le applicazioni nazionali, stanno eliminando un concorrente mondiale e consegnando loro i nostri mercati. Se non cambiano atteggiamento il futuro della nostra agricoltura sarà buio: potremo consumare o usare prodotti agricoli GM esteri, seppure etichettati, ma non potremo svilupparli né preservare le nostre produzioni.
La conseguenza? Non solo una crescente dipendenza economica, ma anche un’arretratezza scientifica e quindi una dipendenza irreversibile.
Rita Levi Montalcini ha definito “lucchetto al cervello”, questo stato di cose che fomenta paure irrazionali e porta a situazioni di blocco impedendo collaborazioni di ricerca internazionali ai nostri ricercatori. E così il mondo politico (non solo quello italiano, ma anche quello europeo) è portato a varare una serie di norme volte più ad accontentare il pubblico e a chetare la stampa non specializzata che ad affrontare razionalmente la materia. Togliere all’Italia l’opportunità di utilizzare le biotecnologie in campo agricolo ed alimentare è una pesante responsabilità politica che avrà risvolti sociali e economici non trascurabili.
Sara


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