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"Così sconfiggeremo il cancro della prostata"


Pier Paolo Pandolfi, ricercatore dello Sloan Kettering di New York, spiega la sua scoperta e le cons

«Il diavolo è la dose»: è questo il succo della scoperta destinata a mutare l’orizzonte della diagnosi e della cura del cancro. Si credeva che fosse il completo malfunzionamento di un gene anticancro a causare un tumore. Invece il maligno, nel senso del cancro, nasce e poi si sviluppa sino a diventare mortale se è la quantità del prodotto di quel gene a scendere al di sotto di una certa soglia nel corpo umano. Il ruolo chiave del gene e del suo prodotto in questo caso un enzima è stato dimostrato nel cancro della prostata, ma già si sa che il gene è coinvolto nel melanoma, nel tumore del seno e nella maggior parte dei tumori più diffusi.
La ricerca lunga e sofisticata che ha portato alla scoperta è di una équipe del prestigioso Sloan Kettering Institute di New York, guidata dal romano Pier Paolo Pandolfi. Quarant’anni, di cui 15 passati tra Londra e gli Stati Uniti, una moglie ricercatrice e due figlie, Pandolfi non è nuovo a ricerche rivoluzionarie. Sua è la scoperta che l’acido retinoico, in pratica un tipo di vitamina A, cura la leucemia promielocitica di cui ora non si muore più, e di nuovi farmaci antitumorali.
Anche questo suo ultimo studio apre le porte a nuove cure?
«E’ molto probabile. E potrebbero essere sostanze comuni ed economiche come vitamine od altre molecole che regolano i geni anticancro».
Tutto qui?
«Le sostanze sono semplici ma le ricerche fatte sinora e quelle per verificare se e quali di queste abbiano un effetto terapeutico sono lunghe e complesse».
Cominciamo dalla scoperta che sta alla base, pubblicata nei giorni scorsi su Plos (www.plos.org) prestigiosa rivista on line tra le poche a libero accesso gratuito..
«Era noto che in una altissima percentuale di malati di cancro della prostata si trova un gene alterato.
La sua sigla è PTEN, produce uno degli enzimi che tengono bloccato il "motore proliferativo" di cui è dotata ogni cellula. Quando il "motore" è su di giri e libero di funzionare la cellula si moltiplica a grandissima velocità e senza fermarsi più. E’ il cancro appunto. In base a precedenti scoperte sui meccanismi genetici di altri tipi di cancro, si era consolidata la teoria che il cancro si manifesta solo quando ambedue le copie di questo tipo di gene, quella di origine materna e quella di origine paterna, si alterano. Se invece una copia rimane intatta, l’enzima prodotto dal gene rimasto sano è più che sufficiente per proteggere dal cancro. Questo era il dogma».
Ma le teorie vanno sempre verificate in medicina
«E infatti alla prima verifica genetica è crollata. Messo a punto un test per valutare rapidamente la "salute" del PTEN, e rianalizzato migliaia di frammenti di cancro della prostata asportata ad altrettanti pazienti dello Sloan Kettering, si è scoperto che solo nei malati in fase ormai metastatica si trova, e solo in qualche caso, l’alterazione di ambedue le due copie del PTEN. Nell’80 per cento dei tumori invece c’è una sola copia del gene alterato e l’altro è, sorprendentemente, sano. Solo nel 20 per cento invece sono sane ambedue le copie».
Allora perché viene il cancro a quell’80 per cento di malati nonostante un gene PTEN funziona? E perché viene il cancro a quel 20 con addirittura ambedue i geni sani?
«Quel 20 per cento che non mostra mutazioni nel PTEN si ammala per la probabile alterazione di altri geni anticancro. Alcuni li conosciamo, ma ve ne devono essere molti altri. Il "motore replicativo" è un meccanismo molto complesso e deve essere dotato di vari interruttori di controllo, ognuno dipendente da un gene diverso. E bisognerà scoprirli tutti. Invece la risposta alla prima importante domanda l’abbiamo data creando un ceppo di topi con i geni PTEN modificati. Abbiamo così potuto constatare che è la quantità di enzima prodotto dal PTEN a segnare il destino del topo e non se ci sono un solo gene sano o i due sani a produrlo. La soglia di sicurezza è intorno al 50 per cento del valore normale. E basta la mutazione di una copia per scendere al disotto a far partire il "motore"».
Ma non vi è un modo per stimolare il gene sano a produrre l’enzima in quantità sufficiente?
«Questo è il risvolto positivo dell’esperimento. La teoria invece non lasciava speranze: ambedue i geni antitumore alterati e sei spacciato, un solo gene e sei a rischio perché se si altera anche il "sopravvissuto" sei spacciato lo stesso. Ora sappiamo che stimolare il gene antitumore sano, permette di non scendere sotto la dose che mantiene bloccato il "motore replicativo". E’ noto da tempo che vitamine ed oligoelementi hanno tra i loro compiti anche quello di attivare i geni. Ora si tratta di capire quale agisce sul PTEN. E quali su altri geni antitumore. Qualche idea l’abbiamo già».

Fonte: La Repubblica (14/11/2003)
Pubblicato in Genetica, Biologia Molecolare e Microbiologia
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