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Il cibo ogm nel guado tra cultura e ignoranza


Gli Ogm almeno quelli che sfruttano intensivamente e modificano l’agricoltura sono nemici o no? E’ giusto definirli il cibo di Frankenstein? Davvero fanno male alla salute dei consumatori? E quali i

Gli Ogm almeno quelli che sfruttano intensivamente e modificano l’agricoltura sono nemici o no? E’ giusto definirli il "cibo di Frankenstein"? Davvero fanno male alla salute dei consumatori? E quali interessi economici rappresentano? Di fronte a tante domande, una sola certezza: gli italiani non vogliono a tavola alimenti provenienti da organismi geneticamente modificati. Non ci sono dubbi: se nel passato una larga fetta di opinione pubblica era contraria, adesso, stando ad un sondaggio sponsorizzato dalla Coldiretti, c’è una maggioranza "bulgara": solo 13 italiani su cento sono disposti a mangiare cibi biotech.
Di fronte a tali risultati c’è chi è convinto che i consumatori siano vittime della disinformazione e della demagogia (secondo il Censis che statistica un 30 per cento di favorevoli ai cibi Ogm c’è disorientamento, confusione). In parte è così: come negare che sull’argomento ci sia ignoranza. E l’ignoranza, si sa, genera mostri. Come appunto gli Ogm, mal visti dalle opinioni pubbliche dell’Occidente industrializzato. Più disponibili sembrano gli americani che consumano vagoni di mais e di soia modificati (si vede: loro non sono un esempio di buona nutrizione).
Sarebbe però superficiale e limitativo spiegare un rifiuto tanto diffuso soltanto con l’ignoranza.
Dietro l’opposizione c’è anche la nostra cultura alimentare, la nostra agricoltura. La cucina nazionale, insieme a poche altre, ha solide radici storiche, alte professionalità, ottime produzioni. I grandi chef ci sono perché hanno le spalle coperte da una tradizione culinaria che ci fa riconoscere (positivamente) nel mondo. In ogni famiglia c’è una cuoca, un cuoco, comunque qualcuno che sa mettere le mani tra i fornelli. E’ un patrimonio al quale nessuno vuole rinunciare. La paura è che i cibi biotech possano stravolgere queste radici (anche se non va dimenticato che dietro la tradizione c’è spesso la truffa, il pesticida, l’inquinamento, la scarsa qualità: pensate solo alle schifezze individuate continuamente dai Nas).
Tuttavia è da struzzi non capire che non basta opporsi con uno slogan agli Ogm: chiudere le porte toutcourt non serve. Per esempio trasformare alcuni alimenti in farmaci è un’affascinante sfida per la scienza e per la medicina. Oltre che una speranza per alcune popolazioni povere della Terra.
A noi occidentali magari non servono speranze bensì certezze. Però è facile dichiararci "Liberi da Ogm", come propongono gli appena nati "Stati generali", un’alleanza trasversale che va dalla Coldiretti ai Verdi passando per una miriade di associazioni ambientaliste e di consumatori. Non è che questi "Stati" dimenticano che il cibo modificato può essere una necessità per altri popoli meno fortunati?
D’altra parte non si può sfuggire alle pressioni dell’Europa che chiede all’Italia di abolire il blocco deciso dal governo Amato su quattro mais e di aprirsi alla coesistenza tra alimenti biotech e tradizionali. Sarà possibile la "convivenza"? Sarà un cavallo di Troia? Com’è possibile salvaguardare gli interessi dei consumatori e degli agricoltori e al tempo stesso accertare se gli Ogm possono risultare dannosi? Sono domande alle quali perfino il Vaticano vuol dare risposta, partendo da un presupposto condivisibile: non demonizzare le biotecnologie.
Certo, se si è convinti che il biotech uccide la natura e che prima di tutto vengono l’interesse (economico) nazionale e quello (alimentare) della collettività, l’Italia si dichiari "Ogm free" senza indugio. E senza futuri rimpianti: quel che è avvenuto dopo il "blackout" elettrico, che ha visto rispuntare come funghi i nostalgici dell’energia nucleare, ci è bastato. Per quanto ci riguarda restiamo dubbiosi. Ma preferiamo una posizione netta e chiara alle stancanti diatribe che finiscono puntualmente nei teatrini televisivi.

Fonte: La Repubblica (20/11/2003)
Pubblicato in Percezione e problemi biotech
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