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Svizzera. Alla ricerca dei bambini clonati e il futuro della clonazione riproduttiva


Quasi esattamente due anni fa, il 27 dicembre del 2002, la direttrice di Clonaid, Brigitte Boisselier, annunciava urbi et orbi che il giorno prima era nato il primo essere umano clonato. Di questi, l’

Quasi esattamente due anni fa, il 27 dicembre del 2002, la direttrice di Clonaid, Brigitte Boisselier, annunciava urbi et orbi che il giorno prima era nato il primo essere umano clonato. Di questi, l’opinione pubblica mondiale venne a sapere soltanto che si trattava di una bambina di nome Eva e in buona salute. Poiche’, al di la’ del pomposo annuncio, la societa’ appartenente ai raeliani non ha mai fornito prove concrete, per esempio il confronto tra il patrimonio genetico di Eva, e degli altri quattro cloni annunciati, con quello dei donatori, presto fu qualificata inattendibile, a-scientifica, ciarlatana. In effetti, da allora il silenzio avvolge Clonaid e la signora Boisselier.
Ma nel 2001/2002 ci furono altri a sostenere di essere riusciti a “produrre” un bambino clonato. Il ginecologo italiano Severino Antinori, famoso negli anni ’90 per avere aiutato delle donne in post-menopausa a portare a termine una gravidanza, annunciava che nel febbraio 2003 in Cina sarebbe nato un bambino da lui clonato. Seguirono ancora alcuni annunci, ma nessuna prova. Poco tempo dopo la sua segreteria spiegava al quotidiano di Zurigo “Neue Zuercher Zeitung” che si era trattato di un malinteso.
Il terzo concorrente nella gara al primo bambino clonato e' Panayiotis Zavos, medico nel Texas, l’unico dei tre ad aver pubblicato su una rivista scientifica online, alla fine del 2003, un breve resoconto del suo lavoro relativo a un minuscolo clone umano allo stadio di 8-10 cellule. Ma anche di questa gravidanza annunciata non si e’ piu’ saputo nulla. Da allora nessuno presta piu’ attenzione alle singole esternazioni dei tre “clonatori”. E’ anche possibile che tentativi o passi avanti in questo campo non siano piu’ stati resi pubblici per timore delle critiche. Certo e’ che, parlando con gli esperti, appare chiaro come la creazione di un clone umano incontri moltissimi ostacoli tecnici.
Il primo passo per giungere alla clonazione umana e’ la produzione di un embrione clonato, ossia di un embrione con identico patrimonio genetico di una persona esistente. Per ottenerlo serve il trasferimento del nucleo: il nucleo cellulare con il patrimonio genetico viene prelevato da una cellula adulta dell’organismo che dovra’ essere replicato, e poi inserito in un ovocita precedentemente denucleato. Per puro caso e senza che se ne comprendano i motivi, da questo ovocita talvolta si sviluppa veramente un embrione capace di vivere. Circostanza considerata impossibile ancora pochi anni fa –in fin dei conti una cellula adulta e’ pur sempre una cellula specializzata, il cui materiale genetico e’ finalizzato a un compito specifico, ad esempio essere una cellula nervosa, epiteliale o epatica.
Durante la clonazione la specializzazione si annulla e il materiale genetico viene ritrasformato in cellule totipotenti. Nel corso della riprogrammazione bisogna tra l’altro che siano riportate al patrimonio originario le mutazioni biochimiche. La clonazione ha avuto successo con diverse specie animali, tra cui, come si e’ saputo di recente, anche con un tipo di scimmia. Quest’ultimo tentativo, realizzato da un’équipe dell’Universita’ di Pittsburgh, dimostra l’errore della tesi finora sostenuta, ossia che, per motivi di biologia cellulare, non si possano clonare i primati (scimmia, uomo). E’ vero pero’ che gli embrioni di scimmia impiantati nell’utero di madri sostitutive sono morti prima di nascere.
Lo scorso febbraio, nella Corea del Sud, per la prima volta dei ricercatori sono riusciti a produrre un embrione umano clonato vivente. Tuttavia l’embrione non e’ stato impiantato in un utero, ma e’ servito per ottenere cellule staminali allo stadio di 8-16 cellule. Quindi l’embrione e’ stato distrutto. Mentre il gruppo sud-coreano annuncia altri progetti analoghi, e altri ne sono previsti in altri Paesi asiatici, in Gran Bretagna nel 2004 e’ stata presentata domanda di autorizzazione per due programmi di quella natura. La Gran Bretagna, come il Belgio, autorizza per legge la produzione di cloni di embrioni umani a scopo terapeutico, anche se proibisce la clonazione riproduttiva, come tanti altri. Uno dei ricercatori britannici interessati a studiare la riprogrammazione degli embrioni umani e’ Ian Wilmut, il papa’ della pecora Dolly, nata grazie al trasferimento nucleare. Alla NZZ Wilmut non ha pero’ voluto dire niente di piu’ del suo progetto.
Presto, dall’altra parte dell’Atlantico, alla Harvard University nel Massachusetts, gruppi di ricercatori inizieranno con sperimentazioni analoghe. Uno dei responsabili, il medico e biologo George Daley, ha sottolineato, parlando con la NZZ, che ne’ lui ne’ i suoi colleghi vogliono clonare dei bambini. Essi sono interessati a produrre embrioni umani clonati per ottenere cellule staminali. Questo metodo si chiama clonazione terapeutica perche’, a differenza di quella riproduttiva, non genera altri esseri, ma solo cellule staminali. A detta degli esperti, le cellule staminali da embrioni clonati hanno il vantaggio di possedere lo stesso materiale genetico dell’organismo da cui proviene il nucleo cellulare del clone che dovra’ essere impiantato nell’ambito di una terapia. E cio’ dovrebbe escludere fenomeni di rigetto, diversamente da quanto accade con le cellule staminali embrionali oggi disponibili, ossia provenienti da embrioni soprannumerari dai processi di fecondazione assistita.
Secondo Daley, la clonazione di embrioni dovrebbe servire alla ricerca di base anche per capire quali processi cellulari si svolgono durante una riprogrammazione. Lo scopo e’ di poterli guidare e modificare per ottenere, ad esempio, delle cellule staminali particolarmente vitali. Inoltre, aiuterebbe a comprendere meglio la riproduzione, a migliorare la percentuale di successo della clonazione che oggi e’ ancora molto bassa. Secondo l’esperto di clonazione Rudolf Jaenisch del Whitehead Institute for Biomedical Reasearch al MIT di Boston, non e’ ancora chiaro quali siano le condizioni ideali della coltura cellulare per una riprogrammazione. Cosi’ come bisogna capire da quale delle cellule specializzate sia meglio prelevare il nucleo per la clonazione, al fine di ottenere embrioni clonati effettivamente vitali.
Gli scarsi successi attuali richiedono un alto fabbisogno di ovuli. Per tutti i tipi di animali dai quali finora si sono ottenuti cloni, e’ stato necessario “usare” moltissimi ovuli. Anche quello che fino ad oggi e’ considerato l’unico esperimento riuscito di clonazione di embrione umano, ha costretto i biologi sudcoreani ad utilizzare 242 ovuli provenienti da 16 donne. Ottenere ovuli umani maturi in grosse quantita’ non comporta solo un grande impegno tecnico, ma anche il superamento di riserve di tipo etico.
Un altro problema nell’utilizzo di cellule staminali clonate, e ancor piu’ nei tentativi di clonazione riproduttiva, e’ il fatto, come rileva Jaenisch, che tutti gli animali finora clonati hanno evidenziato piccoli o grandi difetti genetici. Spesso, essi mostravano gia’ nella gravidanza problemi tali da morirne prima del parto.

Quando poi tutti i problemi tecnici della riprogrammazione fossero risolti, allo stato della tecnologia attuale un embrione clonato non avrebbe piu’ del 20% di possibilita’ di venire al mondo (e’ la quota massima di successo della fertilizzazione in vitro).
Dunque, proprio per la molteplicita’ dei problemi tecnici, anche i piu’ convinti fautori della clonazione terapeutica mettono in guardia dalla creazione di bambini clonati. Eppure, non e’ escluso che lo studio della riprogrammazione e il conseguente miglioramento della clonazione terapeutica non possa facilitare anche la clonazione riproduttiva. Essendo i primi passaggi uguali nei due procedimenti, dal punto di vista puramente tecnico, la clonazione di esseri umani potrebbe anche essere fattibile un giorno.
Rosa a Marca

Fonte: Aduc (13/01/2005)
Pubblicato in Analisi e Commenti
Tag: clonazione
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