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Scoperto nei topi il meccanismo che protegge dai tumori

Cromosomi


Ma se si spegne quel gene, la vita si prolunga

I mitocondri, la centrale energetica delle nostre cellule, rappresentano il primo esempio di integrazione di successo. Questi organelli originano da batteri, che si sono inseriti all'interno delle cellule primordiali ed hanno portato la capacità di utilizzare l'ossigeno ambientale per produrre energia. Si sono quindi adattati alla vita all'interno delle cellule (cedendo la maggior parte dei propri geni al nucleo, l' "archivio" genetico della cellula) e svolgono il ruolo insostituibile di produrre più del 90% dell'energia consumata dai processi vitali.
La ricerca degli ultimi anni ha svelato che i mitocondri svolgono un'altra funzione, altrettanto importante e pericolosa: quella di attivare l'apoptosi, il "suicidio cellulare" che permette all'organismo di eliminare cellule pericolose o in soprannumero, ma che in condizioni patologiche o nel corso dell'invecchiamento porta al deterioramento degli organi. Per provocare il suicidio della cellula i mitocondri rilasciano nel suo citoplasma alcune proteine che mettono in moto l'apparato di autodemolizione normalmente silente. Questo processo deve essere controllato con precisione, e quindi elementi regolativi sono presenti nei mitocondri stessi e nel resto della cellula.
Alcuni di questi "regolatori" sono ben conosciuti, come la proteina p66shc, così importante nel controllo della morte cellulare e nel processo dell'invecchiamento che la distruzione del suo gene nei topi allunga la durata della vita, riducendo l'insorgenza e la gravità delle più comuni patologie, come l'aterosclerosi ed il diabete.
La proteina p66shc agisce all'interno dei mitocondri, promuovendo la produzione di composti altamente reattivi (i "radicali" dell'ossigeno, o ROS) che alterano la forma dei mitocondri e portano al rilascio delle proteine autodistruttive.
Chiarito il funzionamento del meccanismo sucida bisogna capire chi e come viene attivato. Ad esempio: chi si accorge che nella cellula vi è un danno grave, tale da rendere necessaria la sua autodistruzione? Questa informazione, poi, come si integra nel flusso di informazioni che regola il funzionamento della cellula? E come viene trasmessa ai mitocondri? Una nostra ricerca, appena pubblicata su Science, affronta questo argomento e svela un meccanismo nuovo ed inaspettato.
Il danno provocato alla cellula dai radicali liberi dell'ossigeno (evento quotidiano, che contribuisce all'invecchiamento dei nostri tessuti) viene rilevato nel citoplasma da un sensore, una protein-chinasi (PKC) che modifica la p66shc e ne causa il trasferimento ai mitocondri, dove produce altri radicali ed inizia il processo apoptotico.
È una via di segnalazione nuova, che pone il trasferimento attivo ai mitocondri di una proteina con funzioni così delicate sotto il controllo della rete delle comunicazioni intracellulari. L'interruzione di questa via a diversi livelli (bloccando la chinasi, o rendendo p66shc non modificabile o ancora, bloccando la proteina che riconosce la forma modificata di p66shc) "protegge" i mitocondri, mantenendone l'integrità ed evitando il rilascio delle proteine "suicide".
Si chiarisce così una complessa ed importante via di segnalazione della sofferenza cellulare, che apre nuove strategie terapeutiche in condizioni patologiche di opposta natura: quelle da morte cellulare incontrollata (come alcune malattie genetiche o le patologie legate all'invecchiamento) o in cui la via dell'auto-eliminazione di cellula anormali sia bloccata, come nei tumori. Infatti, l'identificazione delle molecole chiave (gli "interruttori" che si accendono nei momenti critici), in questo caso protagonisti del tutto inaspettati, offre nuovi bersagli alla farmacologia.
L'innovazione, e la capacità di generare farmaci concettualmente diversi da quelli oggi in uso, partono dall'originalità ed efficienza della ricerca di "base", che può svelare i meccanismi fondamentali delle malattie. Ogni scoperta scientifica è il seme di un nuovo farmaco che necessita solo tempo, lavoro ed un po' di fortuna per dare frutti.

Rosario Rizzuto
Prof. ordinario di Patologia generale, Università di Ferrara


Fonte: LaRepubblica (27/02/2007)
Pubblicato in Genetica, Biologia Molecolare e Microbiologia
Tag: p66shc, PKC
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