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Clonazione terapeutica. perche’ no?


Qualche giorno fa, alcuni scienziati americani e coreani hanno annunciato di aver clonato degli embrioni umani da impiegare per la ricerca terapeutica. Non è una novità, nonostante l’enfasi mediatica

Qualche giorno fa, alcuni scienziati americani e coreani hanno annunciato di aver clonato degli embrioni umani da impiegare per la ricerca terapeutica. Non è una novità, nonostante l’enfasi mediatica che la notizia ha suscitato. Già dal 2001 queste tecniche sono impiegate con successo da aziende private di ricerca biotecnologica che creano embrioni umani non da fecondazione risultante dall’incontro tra gameti maschili e femminili, ma attraverso
la tecnica della clonazione. Occorre subito distinguere tra clonazione terapeutica e clonazione riproduttiva. La prima consiste nella produzione di embrioni in laboratorio da cui si estraggono cellule staminali che servono per la ricerca su alcune malattie degenerative (ad esempio il Parkinson) nella speranza d’individuare
terapie cellulari efficaci per combatterle. Non si tratta di ‘fotocopiare’ delle persone che nasceranno, ma di avere a disposizione delle cellule staminali embrionali necessarie per la ricerca scientifica. La clonazione riproduttiva, invece, è mirata alla generazione di bambini clonati e magari ‘migliorati’ dal punto di vista del corredo genetico secondo il gusto del genitore. Questo secondo tipo di clonazione è vietato da tutte le legislazioni e
incontra la ferma opposizione dell’opinione pubblica, con l’eccezione di qualche gruppo come i raeliani, tristemente famosi per aver preso in giro il mondo con l’annuncio-bufala della nascita di Eva, la prima bimba clonata. Sulla clonazione terapeutica si assiste ad un dibattito vivace. Mentre molti premono affinché la ricerca sulle staminali prosegua, sperando in passi avanti significativi nella lotta contro molte malattie, un’altra parte dell’ opinione pubblica resiste fortemente alla clonazione terapeutica perché essa comporta la perdita di embrioni umani e apre scenari futuri non del tutto
preventivabili che incutono timore.
Alcuni governi stanno scegliendo la linea della prudenza, altri quello del divieto assoluto.
L’Amministrazione Bush ha deciso una moratoria sul finanziamento pubblico della clonazione terapeutica e lo stesso orientamento attendista sta prevalendo in Europa. In Italia, il Ministero della Salute ha da poco prorogato i divieti precedenti alla clonazione, alla commercializzazione, all’importazione ed esportazione
di gameti ed embrioni. In più, la recente e controversa legge sulla procreazione assistita vieta la ricerca sugli embrioni (art. 13) che è lo sbocco della clonazione terapeutica. Quali sono le questioni etiche che animano la controversia sulla clonazione terapeutica?
Innanzi tutto, vi è la spinosa discussione intorno allo statuto dell’embrione. Siccome la ricerca sulle cellule staminali comporta la
soppressione dell’embrione clonato, molti si chiedono se una tale perdita possa essere giustificata dal punto di vista morale. Sullo sfondo, vi è la domanda sull’identità dell’embrione: è già una persona dal momento della sua creazione, come dice la chiesa cattolica? Deve essere considerato un fine in sé e mai un mezzo soltanto, come dice l’etica kantiana? Ora, occorre ricordare che l’umanità non è solo un dato biologico, ma qualcosa di molto
di più. La biologia dell’embrione, da sola, non è in grado di determinarne lo statuto morale in quanto la persona umana è sì biologia, ma anche relazioni, comunicazione, progetto di vita, ecc. L’embrione clonato non inizia la sua esistenza in un contesto di umanità e non ha alcun progetto di vita umana davanti a sé: nasce da clonazione e non da fecondazione, non sarà mai impiantato in utero e quindi non diventerà mai feto e poi bambino, non nasce per fini procreativi, ma di ricerca finalizzata ad un bene futuro per
molti malati. Insomma, le obiezioni alla soppressione degli embrioni clonati non sono insormontabili se non si sacralizza la biologia, facendola diventare la dimensione decisiva dell’umanità.
In secondo luogo, la clonazione terapeutica suscita degli interrogativi sugli scenari futuri a cui non è facile rispondere. Riusciremo effettivamente a controllare democraticamente la ricerca, impedendo l’esito della clonazione riproduttiva e lo spettro di una nuova eugenetica? Riusciremo a impedire che siano solo gli interessi economici a dettare il passo alla scienza? Siamo sicuri che la ricerca sulle cellule staminali embrionali porterà davvero a nuove ed efficaci possibilità di cura? La ricerca scientifica comporta sempre un rischio e un’incognita. Vale la pena investire su un settore così delicato e per molti versi sfuggente? Questi interrogativi paiono essere la motivazione prudenziale della moratoria adottata negli USA e in molti Paesi europei ed è su queste domande che occorre continuare a riflettere per mantenere la ricerca scientifica in
un quadro democratico e valoriale. La clonazione terapeutica non deve essere demonizzata, ma praticata in modo responsabile.

Fonte: ICN (15/02/2004)
Pubblicato in Percezione e problemi biotech
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