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Donne nella ricerca Madame T e le altre


Riconoscimenti vannoanche a Jennifer Thomson, Christine Petit, Lucia Mendonça Previato, Nancy Ip

Le chiedo, subito dopo le presentazioni: «Posso chiamarla Madame T?». Philippa Marrack con un sorriso mostra di aver capito. Sì, gradisce questa definizione, lei che da 35 anni dedica il suo lavoro di ricerca alle cellule T, quelle che consentono all'organismo di difendersi dalle malattie svolgendo un ruolo fondamentale nel sistema immunitario. Ed è appunto "Per la descrizione delle funzioni dei linfociti T e la scoperta dei superantigeni" che è volata da Denver a Parigi a ricevere il premio di 100 mila dollari - un Nobel al femminile - «Oreal-Unesco For Women in Science». Riconoscimento che nel 2004 è andato anche ad altre quattro scienziate: la sudafricana Jennifer Thomson per gli studi sulle piante transgeniche; la francese Christine Petit per le ricerche sui difetti genetici alla base della sordità ereditaria; la brasiliana Lucia Mendonça Previato per i risultati sulla malattia di Chagas e la cinese Nancy Ip per le scoperte sul controllo molecolare della crescita, della differenziazione e della formazione delle sinapsi nel sistema nervoso. Ma fra tutte Philippa Marrack, inglese trapiantata negli Stati Uniti dal 1971 dopo la laurea in biologia e il dottorato di ricerca all'Università di Cambridge, si occupa con le cellule T di qualcosa che riguarda tutti noi, "il core business" della nostra salute. «Certo, occorre un pizzico di pazzia per trascorrere tanto tempo intorno a una cosa microscopica come le cellule T» dice. Una "pazzia" condivisa con il marito, l'immunologo John Kappler, che da anni collabora con lei: insieme formano una gran bella squadra sia nella ricerca sia nella vita, ambedue impegnati presso l'Howard Hughes Medical Institute e il National Jewish Medical and Research Center.
«Ma sa cos’ha questa cellula T? Continua a sorprendermi. Arrivi alla conclusione che il suo comportamento sia in un certo modo e invece scopri all'improvviso che fa l'opposto». Quasi fosse un bambino che, quando cresce, ogni giorno ti meraviglia facendo qualcosa di diverso, viene da dire. «Sì, è vero. E, come un bambino, talvolta fa dei danni, dei pasticci. Le cellule T possono proteggere la tua salute oppure farti ammalare. Sono proprio come un bambino che può essere buono o cattivo. E, come spesso accade con i bambini, bisogna cercare di capire perché diventa cattiva». «Vede - continua - una volta che la cellula T ha imparato a riconoscere un’infezione, ne mantiene la memoria. Per esempio, lei ha preso la varicella? Bene: avendola superata, ora è immunizzato; non perché è eliminato il pericolo della varicella dentro di lei, ma perché le cellule T si ricordano di proteggerla da quella infezione. Però la loro memoria non è perenne: con il passare degli anni, si indebolisce. Ed ecco che magari capita di soffrire di manifestazioni tipo il Fuoco di Sant'Antonio». Allora? «Stiamo cercando di trovare la strada per rafforzare la loro memoria come stiamo, giorno dopo giorno, tentando di capire le radici del comportamento amico-nemico delle cellule T». Semplificando molto, c'è da comprendere i segnali che in certi casi spingono le cellule T, anziché a sollecitare la protezione del sistema immunitario, a diventare in "buona fede" essere stesse killer. Il concetto è che abbiamo dentro di noi un immenso esercito di amici-nemici, in grado di farci del bene o del male secondo i "segnali" che ricevono. Al ricercatore il compito di scoprire quelli che consentono di volgere le reazioni di questo "esercito" tutte a nostro favore. Nei comportamenti delle cellule T si gioca la nostra buona salute, cancro compreso, quando ha una origine virale. La scoperta dei "segnali" giusti si coniuga con la scoperta di medicine mirate a risolvere un preciso problema di salute. Medicine che non siano più "bombe atomiche" che fanno terra bruciata quando, magari, c'è da curare soltanto un mal di denti. Una conferma viene dalle 16 borse di studio di 20 mila dollari ciascuna per giovani ricercatrici di tutto il mondo che sempre l'Unesco e l'Oreal assegnano ogni anno in coincidenza con il premio "Women for Science". L’indonesiana Ines Atmasukarto segue la linea secondo cui microorganismi conosciuti come endofiti, che colonizzano il tessuto delle piante, possano costituire una nuova fonte di antibiotici, farmaci antitumorali e farmaci antimicotici. Diane Webster, neozelandese, è impegnata a realizzare un vaccino contro il morbillo (che ancora uccide 800 mila bambini l'anno) di origine vegetale, somministrabile per via orale, più facilmente conservabile di quelli da tempo esistenti e, soprattutto, accessibile ai paesi in via di sviluppo. La pakistana Farzana Shaheen è concentrata sullo sviluppo di nuovi composti chimici con qualità terapeutiche basate sui prodotti naturali. Tutte ricerche interessanti, osserva Philippa Marrack, e in sintonia con le materie prime e le tradizioni dei paesi in cui si svolgono. Ma lei sogna il giorno in cui, come già accade per i computer, anche l'uomo possa avere - grazie ad un completo controllo delle cellule T - il suo antivirus da aggiornare periodicamente per far fronte a ogni pericolo per la salute.

Fonte: TuttoScienze (01/04/2004)
Pubblicato in Biotecnologie
Tag: donn
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