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«Non avevamo soldi per lo scienziato, la scoperta si è bloccata»


La facoltà di biologia era pronta a isolare un gene delle cardiopatie. Dal Texas stava per arrivare

VARESE - C’è un gene umano che potrebbe essere il responsabile di alcune gravi malattie del cuore; c’è una facoltà di biologia che ha messo a punto un programma per isolare e studiare quel gene e c’è anche un ricercatore italiano pronto a rientrare dal Texas per dedicarsi a questa missione scientifica. Ma non ci sono i soldi per garantire un dignitoso stipendio a quel «cervello». Varese, università dell’Insubria, dipartimento di biologia strutturale: qui si tocca con mano il dramma portato alla luce venerdì dalla clamorosa protesta dei ricercatori italiani, pronti a emigrare all’estero in massa in mancanza di prospettive di lavoro nel loro Paese. «Giorno dopo giorno vediamo scappare all’estero gli specialisti che per anni abbiamo formato a spese della collettività italiana»: Roberto Taramelli, titolare della cattedra di genetica umana all’Università dell’Insubria, sintetizza il danno e la beffa vissuti dal mondo accademico di casa nostra.
Taramelli è il testimone diretto della piccola emblematica storia della ricerca sulle cardiopatie. «Negli anni scorsi - racconta - a Varese siamo arrivati vicini a una scoperta di alto interesse: crediamo che alcune malformazioni del cuore, in particolare dei vasi polmonari, siano dovute a un gene umano; eravamo prossimi a isolarlo. Per un lavoro del genere, però, servono professionalità di altissimo profilo. Ho preso contatti con un ricercatore di genetica dell’Università del Texas: 40 anni, lombardo, formato a Milano, sarebbe ben felice di tornare a casa. Ma mancano i soldi, nonostante una fondazione privata si sia detta disposta a sostenerci. I soldi a nostra disposizione hanno subito tagli fino all’80 per cento». Morale: il giovane scienziato italiano si sta cercando un’altra sistemazione e quasi certamente rimarrà all’estero.
A Taramelli era riuscito il percorso alla rovescia: alle spalle ha otto anni in istituti di ricerca di Londra e Manhattan. «Lì la scienza - racconta - da un lato gode di grande sostegno, ma dall’altro la collettività controlla con rigore il lavoro dell’università; vale la regola " publish or perish ", pubblica o scompari, i "cervelli" devono periodicamente rendere conto dei risultati del loro lavoro». Un meccanismo che in Italia non si è radicato. «Da quando sono a Varese - dice ancora - ho contribuito ad "allevare" dodici ricercatori; la maggior parte è in Germania, Inghilterra, Usa. Si tratta di intelligenze formate a spese delle collettività italiane, ma di cui ora altri traggono benefici. Per sostenere la ricerca bastano quattro, cinque personalità di spicco in un centro di ricerca per creare un immediato appeal ; con i ricercatori bravi arrivano non solo i fondi ministeriali, ma anche i finanziamenti delle fondazioni, dei privati, dell’Unione Europea. Senza ricerca l’università diventa solo una sorta di superliceo».

Fonte: Corriere della Sera (09/11/2003)
Pubblicato in Percezione e problemi biotech
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