Oggi gli incontri dell’Airc. L’oncologo spagnolo Barbacid spiega la sua ricerca

«La sfida al cancro riparte dal genoma»

Una banca dati che raccolga le «fotografie» molecolari di ogni tipo di tumore e permetta di elaborare terapie ad personam . Il futuro della diagnostica sul cancro è legato alla ricerca sul genoma umano. Ne parlerà oggi a Roma Mariano Barbacid, direttore del Centro National de Investigaciones Oncológicas di Madrid, all’incontro «Il linguaggio della ricerca» organizzato dall’Airc per il Sabato della Scienza (tra i relatori, Pier Giuseppe Pelicci dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, Ada Sacchi dell’Istituto Tumori Regina Elena di Roma, Leslie Ford del National Cancer Institute di Bethesda, Stati Uniti, e i giornalisti Lilli Gruber e Ferruccio De Bortoli). Tema degli interventi, il linguaggio. «Si tratta di codici da decifrare - spiega Barbacid - di una lingua che ci narra la storia di un tumore e indica le migliori terapie da seguire». Differenze con l’attuale diagnostica?
«Oggi viene fatta l’analisi morfologica e anatomica del tumore: un’analisi "visiva" a cui presto potremo affiancare una "fotografia molecolare".

Diagrammi realizzati al computer derivanti dall’analisi di un "Dna chip" prelevato dal tessuto tumorale: circa 15 mila geni messi su un vetrino di 2-3 centimetri quadrati e sottoposti a una reazione chimica per individuare i geni sottoespressi o sovraespressi».
E farne cosa?
«Una premessa: si parla di cancro al singolare, ma un tumore è la somma di oltre un centinaio di malattie con caratteristiche proprie. In comune c’è la proliferazione incontrollata delle cellule. E qui arriviamo al genoma. Oggi conosciamo oltre 250 geni mutati nei tumori umani. A livello molecolare le diversità tra i tumori sono maggiori che a livello anatomopatologico. Il tessuto tumorale viene quindi confrontato con un tessuto sano o con una metastasi per comprendere l’entità delle mutazioni. Ottenuta l’immagine, si procede secondo due linee d’azione: retrospettiva e prospettica».
Ad esempio?
«Nel tumore al seno si partirà confrontando la foto molecolare con casi analoghi raccolti nella banca dati, per capirne tipologia e aggressività. Questa è la linea retrospettiva. Ma la tecnologia serve anche a predire l’efficacia che la chemioterapia può avere su quel tumore specifico. Solo il 45% delle donne che soffrono di tumore al seno risponde bene alla chemioterapia. Ignoriamo il perché. In futuro lo sapremo confrontando la foto del tumore con quelli che hanno reagito bene alle cure».
Che tempi prevede?
«Nel nostro centro stiamo lavorando alla creazione di un network di ospedali, per costruire una "banca dei tumori". Oggi le analisi effettuate non ci consentono di intervenire sui pazienti. Quando avremo un livello di certezza del 95-98% potremo usare i risultati in concreto».
Costi per la ricerca?
«Ora un "chip" vale 90 euro e un esperimento 200-250. Quando il procedimento sarà più diffuso, i costi si ridurranno fino a un decimo».

Fonte: (15/11/2003)
Pubblicato in Medicina e Salute

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