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Nella lista dei distretti tecnologici regionali, la lombardia manca ..


MILANO - Nella lista dei distretti tecnologici regionali previsti dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica figurano Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Campania e Sicil

MILANO - Nella lista dei distretti tecnologici regionali previsti dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica figurano Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Campania e Sicilia, cinque regioni in tutto. La Lombardia manca e c’è un motivo. Il ministro Letizia Moratti ha avviato la politica dei distretti high tech per promuovere la ricerca scientifica, recuperare competitività, mobilitare le sinergie fra pubblico e privato, evitare sprechi di risorse e incentivare le imprese a investire. L’obiettivo è quello di far lavorare i vari attori della ricerca, come le università, le istituzioni locali, le Fondazioni bancarie e le aziende su una specifica area, sulla quale vengono concentrati i finanziamenti e le agevolazioni del ministero stesso.
La creazione di distretti tecnologici si inserisce dunque in una nuova logica dei progetti integrati che, con i centri di eccellenza, ha ispirato le nuove linee guida per per la politica scientifica e tecnologica varata dal governo, in linea anche con il VI programma quadro per la ricerca della Commissione europea.
Il distretto che fa capo a Torino è legato alle telecomunicazioni, quello veneto si occupa di nanotecnologie; in Campania si studiano i materiali compositi polimerici, in Sicilia i micro-nanosistemi informatici. E, infine, in Emilia Romagna dove verrà inaugurato un distretto dedicato alla meccanica avanzata.

Il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, non condivide, però, questa impostazione.
Il contesto del sistema lombardo è peculiare, fa notare Formigoni, e si differenzia, rispetto ad altre regioni, per le sue caratteristiche geografiche, economiche e produttive eccellendo per esempio per densità abitativa, popolazione, produzione agricola, consumi e produzione di energia elettrica, densità delle imprese, Pil e valore aggiunto. Così il presidente ha appena scritto una lettera al ministro Moratti in cui ricorda che: «Nell’ambito della ricerca, la Lombardia è leader nazionale dell’innovazione e vanta alcuni primati: investe in quantità maggiori rispetto alla media nazionale, presenta 12 sedi universitarie e il maggior numero di docenti e di ricercatori, le percentuali più elevate di imprese biotech, di brevetti depositati da soggetti italiani presso l’Epo (European patent office, ndr) e da sola rappresenta quasi la metà del totale nazionale dell’interscambio tecnologico con l’estero».
Una realtà alla quale le direttive del ministero sembrano andare un po’ strette. Così la Lombardia, con una ricerca apposita, il progetto Rise, ha individuato i quattro settori più importanti, l’informatica, le biotecnologie, le tecnologie energetiche e i materiali avanzati, in cui si può realizzare quella vicinanza fra università, centri di ricerca e aziende che promuove gli investimenti. Secondo il Governatore, ogni euro pubblico investito in Lombardia traina con sè 2,3 euro di investimenti privati.
«La nostra ricchezza - commenta Enrico Decleva, rettore dell’Università di Milano - rischia però di diventare una debolezza. In altre parole, la Lombardia ha la forza di operare su più linee strategiche, quanto meno su due fra quelle identificate dalla Regione e cioè sulle biotecnologie e sui materiali. Ma la pluralità delle sue competenze crea difficoltà nel coordinare i diversi attori della "filiera" di ricerca». Da un lato, secondo Decleva, il ruolo centrale lo dovrebbe avere la Regione, ma dall’altro, anche se in Lombardia i distretti esistono già almeno in termini di operatività, è assurdo non sfruttare le opportunità offerte dal Ministero: il riconoscimento di un distretto significa poter contare su più risorse.
«Domani (oggi per chi legge, ndr) - conclude Decleva - noi rettori lombardi avremo un incontro con il presidente Formigoni nell’ambito di un patto di collaborazione fra Regione e università per fare il punto della situazione anche sulla ricerca. E, possibilmente, per evitare il rischio di rimanere al palo».

Fonte: Corriere della Sera (19/11/2003)
Pubblicato in Percezione e problemi biotech
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