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Innovazione, fondi e proposte


Una svolta per la ricerca

Se ne è parlato molto in questi giorni, a Milano, di ricerca e (e di ricerca biomedica in particolare). A parole sul fatto che in Italia serva più ricerca scientifica sono d’accordo in tanti. Lo diceva Berlusconi in campagna elettorale, ne ha parlato il presidente Ciampi. Ma davvero il nostro governo vuole più ricerca? A vedere il Dpef non sembra. C’è scritto: «Sostegno finanziario e normativo all’innovazione ed alla ricerca sia pubblica che privata, valorizzando il ruolo dell’Università». Basterà? Probabilmente no. L’Italia, dei Paesi industrializzati, è quello che in ricerca spende meno e ha meno ricercatori di tutti, da noi sono 3 per mille persone che lavorano, in Germania e in Francia 6, in Spagna quasi 5 e in Finlandia 13. E sì che da noi quei pochi che si dedicano alla ricerca, anche in Italia, hanno successo. Qualcuno contribuisce in modo determinante al progresso delle conoscenze. Chi ci governa dovrebbe sapere dove sono questi ricercatori, incontrarli, andare a vedere i loro istituti. E’ lì dove si devono spendere i soldi (dopo saranno gli altri a venire nei nostri istituti). Soldi che, fra l’altro, vanno dati direttamente ai ricercatori, lasciandoli liberi di impiegarli come ritengono opportuno (se sono bravi si può stare sicuri che li impiegheranno bene).

Negli Stati Uniti chi è bravo, e lo sa dimostrare, i soldi per lavorare li trova sempre. Per forza che le università se li rubano questi scienziati. Per il loro cervello, certo, ma anche perché con i finanziamenti che si portano dietro aumentano il prestigio e soprattutto le risorse degli istituti dove lavorano. I funzionari del nostro governo che sono andati (altri andranno nei prossimi mesi) negli Stati Uniti a caccia di italiani eccellenti da far tornare avranno certamente notato che questi sono stati anni straordinari per la ricerca americana. Si è completato un progetto avviato da Clinton e Gore che ha portato il budget del National Institute of Health (Nih, corrisponde al nostro Istituto superiore di sanità) a più di 25 miliardi di dollari (oltre 50 mila miliardi di vecchie lire). A questi vanno aggiunti i quasi 5 miliardi di dollari della National Science Foundation. Ed è pubblico, forse, il 40% dei fondi a disposizione. L’altro 60% ce lo metteranno i privati e si arriverà a 50 miliardi di dollari (solo per la ricerca biomedica, s'intende).
L’enorme investimento che ha fatto l’Nih in biotecnologie e biomateriali è servito a formare un esercito di giovani ricercatori. Così tanti che i soldi che il governo americano mette a disposizione oggi per la ricerca biomedica non bastano ancora a soddisfare le richieste di tutti i giovani, che adesso vorrebbero mettersi in proprio e cimentarsi in nuove avventure scientifiche. In Europa c’è il problema opposto: mancano (lo ha detto il commissario Busquin) 500.000 ricercatori. Se l’Unione, sotto la guida del presidente di turno, promuovesse almeno un grande progetto di ricerca per ciascuno dei Paesi membri, i ricercatori che mancano ce li potrebbe mettere Bush. Sarebbe un grande contributo alla scienza e alla salute dell’uomo (e all’Italia risolverebbe, una volta per tutte, il problema dell’età media dei ricercatori, troppo alta). Solo che c'è poco tempo, servirebbe qualcuno che sappia prendere l’iniziativa, subito. E chi meglio del presidente Formigoni (se è vero che la Lombardia per istituti di ricerca e numero di ricercatori è all’avanguardia)?

Fonte: Corriere della Sera (23/11/2003)
Pubblicato in Analisi e Commenti
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