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Vaccino italiano anti-Aids: sperimentazione sull’uomo


L’Istituto di sanità selezionerà 32 volontari sani e 56 sieropositivi «E’ la prima fase, valuteremo

ROMA - Non è più un annuncio illusorio. La sperimentazione sull’uomo del primo vaccino italiano contro l’Aids parte davvero. Da oggi il numero verde dell’Istituto superiore di sanità 800-861061 raccoglierà le richieste di quanti sarebbero disposti a provarlo. Per i test verranno scelti 32 volontari sani e 56 volontari sieropositivi, che non mostrano cioè ancora i sintomi della malattia. Si vedrà se il farmaco messo a punto nei laboratori della virologa dell’Iss, Barbara Ensoli, funziona rispettivamente per la prevenzione (primo gruppo) e come terapia (secondo gruppo). La prima verifica sull’uomo viene avviata dopo gli studi sugli scimpanzé. Siamo in una fase preliminare, indicata dagli sperimentatori col numero uno. Non ci dirà se il vaccino è efficace, ma soltanto se è tossico oppure innocuo. Nel secondo caso si passerà alla fase successiva, su un numero di volontari più ampio, in un Paese da scegliere tra Sudafrica, Uganda e Swaziland, dove l’epidemia sconvolge il tessuto sociale e miete migliaia di orfani.
Un percorso, bene che vada, ancora molto lungo e disseminato di incognite. Se tutto funziona dovranno passare sei anni per vederlo concluso. Gli esperti, seppur fiduciosi, raccomandano ai malati di non riporre speranze esagerate in questa nuova sostanza, tutta italiana, chiamata anti Tat, dal nome di una delle proteine prodotte all’interno del virus.

Il ministro della Salute Girolamo Sirchia accoglie con entusiasmo questo avvio, forse non dimenticando che la Ensoli è uno dei «cervelli» ritornati in Italia dagli Stati Uniti e con lei si riafferma il «made in Italy». Ma avverte che «siamo appena ai primi passi, ci vorranno anni prima di ottenere dati conclusivi». Lo studio impegnerà almeno un anno e mezzo di tempo tra arruolamento e vaccinazioni e coinvolge tre ospedali italiani, Spallanzani e Umberto I a Roma, San Raffaele a Milano. Si teme la corsa dei volontari. La maggior parte sono destinati ad essere scartati per mancanza dei requisiti necessari. «È un passo avanti fondamentale - commenta l’immunologo Fernando Aiuti, Policlinico Umberto I -. Comunque vada otterremo nuove informazioni sui meccanismi della malattia. La conquista dello spazio è avvenuta così. Prima lo Sputnik, poi le navicelle. Contro i virus è lo stesso».
Oggi nel mondo sono in prova altri 22 vaccini. I più promettenti sono quelli che, come l’anti Tat, sfruttano proteine stabili piuttosto che l’involucro esterno. Nessuno finora ha dato risposte capaci di far sognare la sconfitta di un’epidemia che sta sconvolgendo Africa e Asia, 110 mila i sieropositivi stimati in Italia, 52 mila i malati dall’82.
Il vaccino è basato sulla proteina Tat, alleata preziosa dell’Hiv, il virus dell’immunodeficienza acquisita. Non appena il suo «padrone» entra in una cellula, lo aiuta a replicarsi e a conquistare quelle vicine, fino a mettere fuori gioco le difese del sistema immunitario esponendolo ad ogni tipo di infezioni. Una scoperta dischiusa 20 anni fa da un microbiologo italiano, Michele La Placa. Il farmaco della Ensoli ha il compito di bloccare l’azione della Tat. La virologa ricostruisce il cammino che l’ha condotta fino a qui: «Cominciammo i primi studi in istituto nel 1996, due anni dopo i risultati positivi sulle scimmie. Funzionava, si poteva passare all’uomo. Un successo».
Ma le battaglie sono appena agli albori. Si scopre che in Italia non c’è un’industria pubblica capace di produrre il farmaco né si trova l’accordo con i privati. Sarà una ditta scozzese a confezionare le dosi anti Tat: «Abbiamo dovuto insegnare agli scozzesi cosa e come fare - si rammarica la scienziata -. Questo è un problema da risolvere. Siamo l’unico Paese del G8 a non poter contare su un sistema di produzione pubblico». Quindi l’incognita finanziamenti. La prima sperimentazione è sovvenzionata dall’Iss. E poi?

Fonte: Corriere della Sera (26/11/2003)
Pubblicato in Medicina e Salute
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