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«Io volontario sano proverò il siero anti-Aids per aiutare un amico»


Scuola, affetti, passioni di due giovani. «Non ho paura»

ROMA - «Siamo cresciuti insieme, ci siamo sempre raccontati tutto, senza nasconderci nulla. Ancora adesso, se ho un problema, vado da lui e Daniele fa lo stesso con me. Non dimenticherò mai i suoi occhi quando mi confidò di essere sieropositivo. Abbiamo condiviso i momenti più difficili e più belli della giovinezza, fin dalle scuole medie. Come li chiamano i bambini? Amici del cuore, ecco io e Daniele siamo amici del cuore, nel senso bello della parola. No, non siamo gay. Solo per amicizia ho deciso di offrirmi come volontario per la sperimentazione del vaccino anti-Aids». É asciutto e sintetico Andrea, mentre spiega con semplicità le motivazioni che lo hanno spinto ad alzare il telefono e comporre il numero della linea verde dell’Istituto superiore di Sanità, chiedendo di poter rientrare fra i volontari sani che proveranno su se stessi la sostanza messa a punto dalla virologa Barbara Ensoli. Non ha paura di essere identificato («è un’azione come un’altra, non c’è differenza tra questo e donare il sangue» minimizza) ma chiede la riservatezza per tutelare la privacy del suo amico. Usiamo nomi di fantasia.
«Sono l’unico a sapere che Daniele non sta bene. In famiglia non sospettano. Non so ancora se mi prenderanno, perchè prima dovrò superare la visita e dimostrare di possedere i requisiti richiesti alle persone sieronegative».
Daniele e Andrea sono coetanei, 28 anni, vivono a Roma, rispettivamente impiegato e libero professionista. Si sono conosciuti alle medie, avevano 11 anni. Capitarono al banco insieme e già si capiva che i loro caratteri si incastravano a perfezione. Insieme anche al liceo; all’università, invece, seguono strade diverse, ma non smettono di frequentarsi. Le esperienze si diversificano, le fidanzate cambiano, ma loro non si perdono di vista e si cercano se qualcosa non va. Il ricordo di Andrea torna al 1999: «Quattro anni fa, Daniele mi chiede di vederci a cena, già al telefono intuisco che si tratta di qualcosa di grave. "Sono sieropositivo" mi dice. Sono andato al Policlinico a fare il test dopo aver scoperto che una ragazza con cui ho avuto una storia è stata infettata dall’uomo che c’era prima di me. Sei l’unico a saperlo».
Daniele viene seguito all’«Umberto I» presso il day hospital dell’immunologo Fernando Aiuti. La sieropositività non è ancora degenerata in malattia, i temuti sintomi non si sono affacciati. I Cd4, le sentinelle del sistema immunitario, uno dei valori di riferimento per avviare e modulare le terapie, sono però scesi al livello di 300. Troppo basso per permettere a Daniele di rientrare nella sperimentazione del vaccino sui pazienti con Hiv.
Scatta allora in Andrea l’idea di offrirsi lui, al suo posto, nel protocollo dei sani. Un modo indiretto di essere solidale: «Nell’ambiente medico si parlava da qualche giorno dell’arruolamento - va avanti Andrea -. Ho cominciato a pensare che, sì, avrei potuto candidarmi. Il mio sangue va a degli sconosciuti, stavolta avrei aiutato un amico. Siamo andati dai suoi medici e mi hanno assicurato che non c’è pericolo di prendersi l’Aids».
Scuote la testa: «No, non sono un eroe. Già a parlarne con lei mi sembra di darmi importanza. E, poi, chissà se mi prenderanno. Qualcuno doveva pur farsi avanti. Sono tranquillo, non ho paura. Anzi, spero proprio di non essere escluso».

Fonte: Corriere della Sera (01/12/2003)
Pubblicato in Medicina e Salute
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