La conoscenza non ammette brevetti
Qualche giorno fa, nel chiuso di una stanza di Bruxelles, il Consiglio dei Ministri per la competitività ha preso una decisione davvero grave sul tema della brevettabilità del software. Vale a dire la
Qualche giorno fa, nel chiuso di una stanza di Bruxelles, il Consiglio dei Ministri per la competitività ha preso una decisione davvero grave sul tema della brevettabilità del software. Vale a dire la brevettabilità della conoscenza (!?). Con una iniziativa senza precedenti la Commissione europea ha deciso di ignorare, tra l'altro, il parere contrario della commissione giuridica del Parlamento europeo e di alcuni Stati membri e di avallare la proposta di direttiva sulla “brevettabilità delle invenzioni tramite calcolatore”. Quanto è successo ha numerose conseguenze toccando l'idea stessa che abbiamo dell'Europa come comunità, luogo di innovazione e di democrazia. Pensata per omogeneizzare il sistema brevettuale europeo, la direttiva era stata a più riprese emendata e corretta dal Parlamento europeo per andare incontro alle richieste sia dei movimenti d'opinione e del mondo associazionistico, sia delle Pmi europee - l'ossatura economica dell'Unione - che ne temevano gli effetti in termini di limitazione dell'accesso alla conoscenza incorporata nel software per la produzione di merci, beni e servizi centrali per l'economia dell'immateriale. La direttiva, invece, è stata riproposta senza gli emendamenti pur già decisi. E perciò è sbagliata due volte, nel merito e nel metodo. Nel merito perché il software non è un semplice oggetto, ma è parte del “sistema operativo” della società come lo sono il fuoco, l'acqua, la ruota e la parola.
Il software oggi sovrintende ad ogni comunicazione ed è nascosto, “embedded”, nelle automobili come nelle lavatrici, ma si usa anche per sequenziare il Dna e individuare delle anomalie geniche. Brevettare il software significa, perciò, vincolare l'innovazione scientifica e tecnologica al pagamento di salate gabelle da parte di chi è impegnato nella ricerca scientifica e tecnologica con il risultato di limitarla, in un contesto in cui i trasferimenti per la ricerca pubblica e privata segnano il passo a causa di un'economia affaticata da sciagurate scelte liberiste e dove il potere delle “litigation firms” vale più della qualità dell'innovazione prodotta. È, infatti, chiaro che del provvedimento beneficeranno i colossi del software d'oltreoceano che sono già detentori di numerosi brevetti, mentre non ne trarranno alcun beneficio le imprese europee che finora non brevettavano il software, (spesso neanche lo producono) e che vivono non di licenze bensì di servizi, con ovvie ricadute negative su tutta l'economia Ue. È sbagliata nel metodo perché non ha tenuto conto di un fatto nuovo: l'ampliamento dell'Unione europea con l'ingresso di Stati che non hanno potuto finora discutere del merito della questione. Già questo sarebbe stato sufficiente per riavviare la discussione e l'iter legislativo. Il pressing della commissione e il tentativo reiterato, purtroppo con successo, di approvare la direttiva, ha tradito perciò il mandato originale di armonizzare le politiche degli stati dell'Unione tenendo in debita considerazione quelli contrari al provvedimento. Tutto questo, oltre a causare un danno economico difficilmente calcolabile, dà l'impressione di un atteggiamento subalterno ai desideri delle grandi lobby industriali. Soprattutto, in considerazione del fatto che il Parlamento europeo si era espresso contro la formulazione iniziale della direttiva che ora è riproposta senza gli emendamenti richiesti. Viene di fatto incrinata l'autorità ed il ruolo dei Parlamenti nazionali e, dunque, dello stesso Parlamento europeo. E proprio il Parlamento europeo è chiamato ora al gravoso ma indispensabile compito di rimettere in discussione l'attuale proposta di direttiva. Ci sono tre mesi di tempo per rigettare in seduta plenaria la direttiva, dichiarandola non ricevibile come “posizione comune”. Su tale obiettivo possono convergere molte forze democratiche. Non solo quelle della sinistra europea. È un grande tema di politica, di politica culturale, di politica economica, di politica istituzionale. Va messo in testa all'agenda delle priorità. Che dice di fronte a tutto ciò il governo italiano? In Italia c'è stata su tali temi una vasta mobilitazione di tanti pezzi della società civile. È il caso di farne una vera questione generale, che tocca da vicino i segni, le forme della conoscenza, la identità di ognuno e di tutti.
Fonte: (15/03/2005)
Pubblicato in Analisi e Commenti
Tag:
brevetti,
conoscenza
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