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Intervista a Chiara Lalli- Liberta’ procreativa


Chiara Lalli e’ una giovane ricercatrice. Da oltre due anni si occupa del problema procreazione: come si presenta oggi la distinzione fra procreazione naturale e assistita; qual e’ il ruolo dello Stat

Chiara Lalli e’ una giovane ricercatrice. Da oltre due anni si occupa del problema procreazione: come si presenta oggi la distinzione fra procreazione naturale e assistita; qual e’ il ruolo dello Stato, quanto incide il tema procreazione sulle possibilita’ della ricerca scientifica.
L’abbiamo incontrata a Pisa, durante la presentazione del suo libro “Liberta’ Procreativa” (Liguori, 2004), un’occasione per discutere sull’attualissimo problema del referendum in Italia, e gli scenari poco felici che si prospettano.
D Innanzitutto, perche’ la fecondazione assistita scuote ancora cosi’ tanto le coscienze? Qual e’ il problema di fondo che la societa’ non riesce a superare?
R Perche’ denuda l’intimita’ della procreazione; perche’ soppianta il mistero e offre la possibilita’ alle persone di compiere una scelta consapevole riguardo alla riproduzione che finora manteneva un aspetto animalesco e deresponsabilizzante. Perche’ rompe un assetto secolare di rapporti e di relazioni e costringe ognuno di noi a rivisitare il significato profondo dell’essere genitore e dell’essere figlio. E anche perche’ si presenta come una possibilita’ di ribellarsi alla natura (o alla volonta’ divina) che tanto somiglia alla tracotanza umana. La societa’ impiega molto piu’ tempo per abituarsi alle possibilita’ che la scienza conquista in fretta. Io credo che la curiosita’ dovrebbe soppiantare la paura verso l’ignoto; questo non significa accettare passivamente le possibilita’ tecniche, ma soltanto valutarne lucidamente l’ammissibilita’ morale e i vantaggi.

D Una delle tesi principali sostenute nel suo libro e’ quella secondo la quale a livello giuridico non dovrebbero sussistere differenze fra la procreazione “naturale” e quella assistita. Se la legge non entra nella sfera personale della scelta di procreare, non lo deve fare nemmeno se questa scelta necessita del supporto della medicina. Che tipo di cambiamento comporta questo nella coscienza civile?
R Comporta un cambiamento di atteggiamento verso quello che si definisce ‘artificiale’.
Spesso infatti si identifica il naturale con cio’ che e’ moralmente buono, e l’artificiale con cio’ che e’ moralmente condannabile. Basta pensare che la medicina e’ innaturale, mentre e’ la polmonite ad essere naturale, per accorgerci dell’erroneita’ della identificazione artificiale-cattivo: siamo tutti d’accordo nel considerare moralmente buona la medicina (artificiale) contro la polmonite (naturale). La valutazione di un artificio deve avvenire sulla base delle conseguenze del suo uso. Non e’ superfluo aggiungere che distinguere l’artificiale dal naturale non e’ cosi’ agevole come potrebbe sembrare (un frullato e’ naturale oppure artificiale?), e implica una riflessione attenta e rifiuta le assimilazioni affrettate. Piu’ in generale, credo che il cambiamento risieda principalmente nella volonta’ di ragionare bene, senza concedersi a stanchi luoghi comuni.

D Lei dice: l’embrione e’ vita, ma lo e’ nel suo fondamento, perche’ prima ancora e’ ovulo e spermatozoo, e anch’essi singolarmente sono vita. Cio’ non significa pero’ che l’embrione sia una persona.
Implicitamente il suo discorso sposta il focus del problema non alla centralita’ dell’embrione, ma al ruolo fondamentale della donna. Come se tra due “entita’” umane viventi si prediligesse quella gia’ dotata di “autonomia”, e quindi, personalita’. Questo mira alla dignita’ dell’uomo?
R Mira a distinguere i concetti in ballo: che cosa significa essere una persona? Quali sono i requisiti perche’ un essere umano sia anche una persona? Se e’ indubbio che l’embrione e la donna siano esseri umani (ovvero appartengono alla stessa specie, che e’ quella umana), sono entrambi persone? In cosa differiscono?
Autonomia e personalita’ si attribuiscono alle persone; e potremmo aggiungere il possesso di stati mentali e la capacita’ di apprezzare la propria esistenza. Un essere umano che goda di questi requisiti e’ anche una persona. Il concepito non possiede nessuna di queste proprieta’; e’ per questo motivo che non puo’ essere considerato equivalente ad una persona, e non puo’ di conseguenza godere della stessa inviolabilita’ che attribuiamo alle persone –potremmo dire, della stessa dignita’. Considerare il concepito come una persona e’ un assurdita’ filosofica e giuridica.

D Nel suo lavoro lei analizza il testo della legge 40, licenziata dal Senato nel dicembre 2003, e alcune delle contraddizioni evidenti che questa presenta. Una delle piu’ eclatanti riguarda la definizione di persona e l’attribuzione di diritti al concepito. In questo senso quale deve essere il ruolo dello Stato?
R Credo che uno Stato che voglia ancora definirsi laico e liberale dovrebbe usare una mano leggera, e non il bastone autoritario della coercizione legale. Ne’ tantomeno imporre una certa visione del mondo, o della famiglia o dell’amore. La liberta’ individuale e’ un bene inviolabile e prezioso, la cui limitazione richiede valide ragioni: il divieto e’ l’eccezione e non la regola. La limitazione della liberta’ individuale e’ legittima soltanto in presenza di un danno o del ragionevole rischio di un danno per qualcuno. Lo statuto morale dell’embrione e’ tanto controverso da richiedere estrema cautela da parte dello Stato. In altre parole, lo Stato non puo’ entrare nella discussione morale della definizione di persona imponendo una tesi a scapito di altre. Definendo il concepito una persona, invece, fa proprio questo: impone una tesi (una visione del mondo), peraltro poco convincente.

D La legge 40 vieta, fra le altre cose, l’utilizzo degli embrioni soprannumerari a scopi di ricerca. Lei crede che questo divieto rispecchi la volonta’ civile?
R Credo che siano molte le persone a non condividere l’assolutezza del divieto di sperimentare sugli embrioni soprannumerari; soprattutto perche’, non bisogna dimenticarlo, gli embrioni soprannumerari hanno come unica alternativa quella di essere eliminati, di andare incontro alla distruzione. In queste circostanze, diventa immorale e ingiustificabile il divieto imposto alla ricerca scientifica.

Fonte: Aduc (18/03/2005)
Pubblicato in Analisi e Commenti
Tag: procreazione
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