Una porta nel cervello con il chip che trasmette il pensiero
Via della Fda alla sperimentazione
Una 'porta cerebrale' un 'cancello sul cervello' questa è la traduzione di un dispositivo, il Brain Gate, che sta facendo molto discutere nel mondo. I fatti sono questi: la FDA americana, organo di controllo e autorizzazione per tutto ciò che riguarda la medicina negli USA, ha autorizzato la sperimentazione su 5 persone con grave paralisi di un chip neurale, ossia un circuito elettronico posizionato nel cervello. Il Brain Gate, realizzato da una azienda del Massachussetts, la Cyberkinetics, è solo l'ultimo di una serie di interessanti tentativi di permettere a pazienti paralizzati di poter interagire con un computer per effettuare alcune azioni. La prima 'cavia' un giovane di 25 anni, Matthew Nagle, rimasto paralizzato dal collo in giù per una coltellata. Dopo l'intervento al New England Sinai Hospital, il giovane è in grado accendere e spegnere la tv, cambiare canale, alzare il volume dello stereo. Secondo l'ottimistico parere del preside del dipartimento di Scienze Neurologiche della Brown University e uno dei massimi esperti di questi dispositivi, John Donoghue 'il controllo cerebrale potrà sostituire quello manuale'. Mentre i più scettici sostengono che questo, se si dimostrerà valido, sia il primo passo verso il controllo del cervello umano, nei pazienti para e tetraplegici aumenta la speranza di poter comunicare, agire e interfacciarsi con il mondo che li circonda. Ma come funziona il Brain Gate? Si tratta in pratica di un dispositivo di pochi millimetri, circa 2, pensato per recepire i segnali elettrici provenienti dai neuroni e inviarli ad un computer che li traduce e li esegue.
Per impiantare il chip si pratica un piccolo foro nella scatola cranica, proprio dietro l'orecchio destro e lo si posiziona ad una profondità di mezzo millimetro, in prossimità delle aree cerebrali connesse col movimento. Quando saranno completati i test per valutare efficacia e sicurezza del chip? L'azienda spera di poter immettere sul mercato il dispositivo entro il 2008, ma le ricerche in questo campo sono, come è logico, intensissime. E chissà che invece non arrivi prima l'Italia. 'La strada sarà ancora lunga e tutta in salita' afferma Francesco Lacquariti, del Centro di Biomedicina Spaziale dell'Università di Roma Tor Vergata e Fondazione Santa Lucia, 'queste ricerche mirano a migliorare la qualità di vita di pazienti con lesioni spinali complete, dove c'è interruzione del midollo e in cui la parte bassa non può più comunicare col cervello né ricevere segnali da esso. Noi invece stiamo lavorando ad un protocollo sperimentale riabilitativo per i pazienti con lesioni incomplete, il 55% del totale. Il paraplegico perde la forza nei muscoli anti-gravitari, non ha il tono muscolare che gli permette di stare in piedi. Stiamo lavorando a un metodo basato sulla mancanza di gravità. Il paziente è imbragato con un sistema meccanico che riduce il peso corporeo al 15-20% del totale. In pratica una persona di 60 kg ne viene a pesare circa 15, in una situazione analoga di quella degli astronauti nello spazio. Solo i piedi sfiorano un tappeto mobile e un fisioterapista aiuta il movimento. Stiamo tentando di capire se questo metodo, che si basa su un programma quotidiano di varie settimane può portare maggiori benefici delle attuali tecniche in uso. Per saperlo, dovremo mettere insieme i dati di tutti i centri che nel mondo lo stanno sperimentando. Possiamo però già dire, con la dovuta cautela e senza ingenerare illusioni, che notiamo una maggiore velocità della camminata e un minor ausilio del fisioterapista man mano che passano le settimane'.
Johanna Rossi Mason
Fonte: (05/07/2005)
Pubblicato in Medicina e Salute
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pensiero
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