L’Italia può farcerla se punta a un programma per attrarre i talenti
La teoria delle 3T
«La nostra economia è in profonda trasformazione (...). Il fattore chiave nella competizione globale non sono più beni, servizi o flussi di capitale, ma la competizione per le persone». Questo è il monito lanciato dall’economista americano Richard Florida nel suo nuovo libro, the Flight of the Creative Class, recentemente pubblicato negli Stati Uniti da Harper Business. In effetti, ciò che più conta oggi nella competizione globale non è più tanto la disponibilità di materie prime quanto la disponibilità di capitale umano, di idee, di capacità innovativa, quella forza che consente di fare cose nuove secondo le tecnologie più avanzate e in tempi sempre più rapidi. Il motore di questa forza non sono le macchine, ma le persone. Persone brillanti, preparate, istruite, creative, persone che, a differenza delle macchine, non stanno ferme ma si muovono e lo fanno in maniera crescente. E’ per questo che la mobilità del capitale umano è un fattore così importante per la competizione globale. In un articolo pubblicato dal Brookings Review, la ricercatrice Susan Martin riporta che oltre 150 milioni di persone nel mondo vivono in un paese diverso da quello in cui sono nate. Trenta milioni tra questi vivono negli Stati Uniti e sono una parte importantissima dell’economia e della forza di quel paese. Richard Florida ricorda come molte delle imprese più innovative e prosperose degli Stati Uniti sono state fondate o gestite da immigrati: Sergey Brin, cofondatore di Google, è originario di Mosca; Sabeer Bathia, cofondatore di Hotmail, è cresciuto a Bangalore, in India. E stranieri sono i fondatori di altre imprese importanti come eBay, Yahoo, Sun Microsystem e molte altre. Le fasce "alte" di ogni società sono sempre state molto mobili, ma quello che colpisce oggi e’ la portata di questa mobilita’: non si spostano solo premi nobel, grandi scrittori e registi, ma schiere di giovani (e meno giovani) attivi nei campi più diversi dall’arte all’informatica, dal design all’ingegneria, dalla musica all’economia. Come spiega Florida, "oggi sempre più persone nel mondo hanno sviluppato la libertà culturale, politica ed economica di scegliere il luogo dove vogliono vivere e lavorare". E semplicemente esercitano questa libertà di scelta, su scala globale. Questo fenomeno sta ribaltando le regole della competizione e in questo nuovo scenario nessuna posizione è consolidata. Persino gli Stati Uniti, un tempo leader indiscussi nell’attrazione di talenti da tutto il mondo, si trovano oggi in una posizione delicata. Con gli inasprimenti delle politiche per l’immigrazione che hanno seguito i tragici eventi dell’11 settembre 2001 si sono registrati cali consistenti degli studenti stranieri nel paese. I Rettori delle migliori università statunitensi hanno denunciato un calo di domande da parte degli studenti stranieri di circa il 30%. Se questo fenomeno suona come un campanello d’allarme per gli Stati Uniti esso rappresenta pero’ un’opportunità per gli altri paesi.
E infatti Canada, Australia ed una serie di paesi del nord Europa come Svezia e Finlandia stanno affinando le loro politiche di attrazione ed emergendo come nuovi poli di innovazione non solo tecnologica ma anche culturale e artistica. Il Global Creativity Index (Tinagli e Florida, 2005), un indice che analizza 45 paesi in tutto il mondo lungo le tre dimensioni di talento, tecnologia e tolleranza, vede tutti i paesi scandinavi nelle prime dieci posizioni. Situazioni fino a pochi anni fa del tutto insospettabili. Ma se per praticità e comodità si continuano a costruire statistiche aggregate per paese è vero però che le scelte che guidano gli spostamenti delle persone, dei "talenti", sono di fatto legate a regioni e città. "La gente oggi non sceglie più tra Stati Uniti e Inghilterra o tra Australia e Danimarca. La gente oggi sceglie tra New York o Londra, Sydney o Copenhagen", dice Florida. Come sostiene da tempo anche Kenichi Ohmae, guru del management internazionale e partner McKinsey, le città e le regioni metropolitane sono l’unità naturale della vita economica e sociale e sono e saranno sempre più il cuore della competizione globale. New York, San Francisco, Boston, Chicago. Per decenni gli Stati Uniti hanno potuto vantare e contare su città tra le più aperte, vibranti e cosmopolite del mondo. Oggi però si assiste al contrattacco di altre città e regioni. Dopo decenni di opacità Londra è tornata a splendere ed è ormai al centro dell’attenzione mondiale, protagonista di un grande rinnovamento urbano ed economico. Sydney e Melbourne sono città con livelli di diversità e apertura culturale più elevati della maggior parte delle città statunitensi, città vibranti di arte, moda, musica in cui le persone occupate in professioni "creative" toccano quasi il 50% della forza lavoro. Toronto e Montreal stanno anch’esse emergendo come importanti centri di attrazione internazionale. Viene naturale chiedersi come si stia muovendo l’Italia in questo nuovo scenario. Le classifiche internazionali degli ultimi anni sembrano tutte concordi nel decretare un declino di innovazione e competitività del nostro Paese. Nel Global Creativity Index l’Italia si colloca al ventiseiesimo posto (su 45 paesi), superata non solo da tutti i paesi del centro e nord Europa, ma anche da paesi mediterranei come la Spagna o dell’est Europa con l’Estonia (che sta perseguendo politiche molto aggressive in tema di innovazione tecnologica). Ma se è vero che le città sono la nuova unita’ economica, forse l’Italia può far leva sul suo grande patrimonio di centri urbani ricchi di storia, cultura e imprenditorialità per mettere in moto una nuova crescita, un nuovo sviluppo. La ricerca appena conclusa da CreativityGroupEurope (Tinagli e Florida: L’Italia nell’Era Creativa vedi A&F di lunedì 4 Luglio) mostra in effetti un quadro molto variegato. Emergono grandi aree urbane come Roma e Milano che sembrano avere buoni elementi per poter competere a livello internazionale. Sono città che riescono ad avere un mix abbastanza bilanciato delle cosiddette "3T" dello sviluppo: talento, tecnologia, e tolleranza, ovvero un clima sociale e culturale aperto, inclusivo e vivace. La ricerca mostra dunque una sorta di vantaggio naturale di queste grandi città nel passaggio verso un’economia della "conoscenza e della creatività" e nella loro capacità di competere sulla scena globale. Dall’analisi emergono anche molti centri medi che potrebbero inserirsi bene nel nuovo sistema. Città che pur non avendo ancora tutti gli elementi, mostrano tuttavia ottime basi su cui poter costruire strategie di sviluppo innovative ed efficaci. In fondo non tutte le grosse città sono riuscite a compiere il passaggio verso l’economia creativa. Vedi Pittsburgh: una città che fino agli anni Cinquanta era tra le più ricche e prosperose d’America e che nel corso degli anni Ottanta ha perso 150 mila posti di lavoro, dimezzato la sua popolazione, senza riuscire ancora a riprendersi completamente. Ci sono invece molte città medie con le caratteristiche "giuste" che nel nuovo sistema economico sono esplose. Basta pensare ad Austin, in Texas, una media città che negli anni Novanta ha saputo far leva sulla sua università (tra le migliori d’America) e su un mix di politiche di attrazione di talenti e di aziende tecnologiche che l’hanno trasformata in breve in uno degli "hot spot" dell’economia creativa. Altre città nel mondo hanno adottato strategie di attrazione di talenti (molte città asiatiche stanno puntando sul rientro di talenti espatriati), attrazione di aziende tecnologiche straniere e apertura del clima culturale e commerciale. Sono quelle che Richard Florida nel suo nuovo libro chiama le nuove "Austin globali". Tra queste troviamo Dublino, una città che ha investito molto nell’educazione tecnicoscientifica, nello sviluppo di alcune specifiche nicchie dell’industria del software, attraendo aziende internazionali, richiamando in patria molti dei talenti emigrati negli anni bui in cui l’Irlanda era tra i paesi più poveri d’Europa, e promuovendo un’immagine dinamica e moderna. Tel Aviv, Bangalore, Shanghai, sono altre "Austin globali" che stanno crescendo grazie a politiche mirate allo sviluppo di contesti tecnologici all’avanguardia e climi culturali moderni e internazionali. Le analisi condotte nel nostro paese suggeriscono che l’Italia potrebbe puntare allo sviluppo di nuove Austin se non proprio "globali", quantomeno europee. Si tratta comunque di ipotesi basate su un’osservazione di alcune risorse esistenti. Ma queste risorse sono come creta: sta all’intelligenza e alla creatività di politici e amministratori trasformarla in qualcosa di concreto, di bello e reale. @AR~Tondo:* ricercatrice alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh
Fonte: (18/07/2005)
Pubblicato in Analisi e Commenti
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