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Pacemaker anti-depressione sotto pelle


Impulsi elettrici al cervello. «Solo quando le altre terapie non funzionano»

Il pacemaker anti-depressione è a un passo dalla commercializzazione, almeno negli Stati Uniti. La Fda, l’ente federale americano per il controllo dei farmaci e delle apparecchiature mediche, ha dato l’ok «con la condizionale» alla vendita: l’azienda produttrice, la Cyberonics di Houston, dovrà soltanto perfezionare alcuni aspetti che riguardano i controlli di qualità. Così fra pochi mesi migliaia di americani, colpiti da forme di depressione refrattaria ai normali trattamenti, avranno a disposizione un’opzione terapeutica in più: un elettrostimolatore da impiantare sotto la cute del torace, capace di inviare impulsi al cervello attraverso il nervo vago (la tecnica si chiama infatti Vns, stimolazione del nervo vago).
Almeno il 20 per cento di chi soffre di depressione maggiore, cioè della forma più grave della malattia (quella che abbassa il tono dell’umore, fa perdere la voglia di vivere, evoca pensieri di morte e colpisce una persona su cinque nel corso della vita) non risponde alle cure tradizionali, farmaci e psicoterapie, e nemmeno all’elettroshock: ecco perché gli studiosi sono sempre alla ricerca di nuove soluzioni. L’idea di utilizzare, come alternativa terapeutica, il neuro-pacemaker è venuta per caso a Mark George, un radiologo americano dell’Università del South Carolina: questo dispositivo era già usato per combattere crisi epilettiche non controllabili con i farmaci e i ricercatori avevano visto che i pazienti manifestavano uno stato di euforia.
L’apparecchio, infatti, è dotato di due fili che vanno a stimolare il vago, un nervo che arriva dai visceri, passa attraverso il collo e raggiunge diverse aree del cervello. Nel caso delle crisi epilettiche, provocate da un’eccessiva attività elettrica di gruppi di neuroni, la stimolazione del vago porta a una normalizzazione della situazione; nel caso della depressione, questi impulsi servono, al contrario, per attivare certe aree del cervello, come l’ipotalamo, che giocano un ruolo chiave nella depressione e per stimolare la produzione di neurotrasmettitori, come la serotonina, carenti nei depressi.
Per il momento l’Fda ha raccomandato l’impiego del dispositivo soltanto quando un paziente con depressione cronica o ricorrente non risponde ad almeno quattro trattamenti antidepressivi diversi, condotti «a regola d’arte» e comunque quando ha più di diciotto anni d’età.
«Siano di fronte a una nuova possibilità terapeutica - commenta Michele Tansella psichiatra all’Università di Verona e direttore del Centro di riferimento dell’Oms nella stessa città - ma occorre, come sempre, una certa dose di cautela. Innanzitutto non si devono accendere speranze in pazienti che invece non sono idonei a terapie di questo tipo: ancora oggi, soprattutto in Italia, non sempre vengono percorse adeguatamente tutte le strade terapeutiche, soprattutto quelle psicoterapiche. E poi bisognerà valutare bene l’efficacia: le sperimentazioni condotte finora parlano di un 30 per cento di risultati positivi».
Negli Stati Uniti il trattamento Vns costa circa 20.000 dollari, spese chirurgiche comprese. «Una cifra che andrà rapportata alla situazione italiana», ricorda Tansella che ha appena concluso una ricerca chiamata Psycost condotta per valutare i costi dell’assistenza ai pazienti psichiatrici in Italia, compresi i depressi gravi. «Per stimolare le strutture pubbliche a prendersi carico di questi malati con continuità - spiega Tansella - abbiamo studiato pacchetti di cura, con interventi differenziati, che costano da 5 mila a 36 mila euro l’anno, da contrapporre ai rimborsi per ogni singola prestazione».

Fonte: Corriere (19/07/2005)
Pubblicato in Medicina e Salute
Tag: depressione, pacemarker
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