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Il nuovo bagaglio di conoscenze sul profilo genico del cancro di ogni paziente consentirà di fare di
Il nuovo bagaglio di conoscenze sul profilo genico del cancro di ogni paziente consentirà di fare diagnosi sempre più tempestive, individuare terapie mirate, predire l'aggressività della malattia. E calibrarne la risposta alla terapia.
Una delle sensazioni più penose che accompagnano un malato di cancro è l'incertezza.
Perché una volta che si scopre di avere un tumore e si sa di che tipo è dal punto di vista istologico, i quesiti irrisolti restano molti: come evolverà, reagirà alla terapia, quale sarà il trattamento più appropriato?
A tali dubbi la genetica e la genomica promettono oggi di dare finalmente alcune risposte. Grazie ai progressi in questo nuovo ambito di ricerca sappiamo ora che ogni neoplasia ha una storia molecolare a sé, che ci possono essere similitudini fra un tumore e un altro, geni alterati ed errori cellulari analoghi, ma che in definitiva ciascun tumore ha un make-up genetico diverso a seconda del paziente.
Sappiamo che il cancro è una malattia genica, causata dall'accumulo di alterazioni di diversi geni nella stessa cellula: degli oncogeni mutanti che lo favoriscono e degli oncosoppressori, che dovrebbero tenerlo a bada. E sappiamo inoltre che in una piccola percentuale (5-8 per cento) è una malattia genetica, ossia che una prima alterazione è già presente nella linea germinale di un individuo. In altre parole, viene ereditata.
Oggi è possibile definire la malattia cancro, farne in un certo senso una fotografia, attraverso l'analisi dei geni.
Se ne conoscono ormai diversi tra quelli coinvolti nella cancerogenesi, ossia capaci di trasformare una cellula normale in una tumorale. E di almeno un centinaio delle proteine bersaglio o recettori che si trovano sulla superficie delle cellule tumorali è stata decodificata la composizione genetica.
«La classificazione molecolare dei tumori ha modificato il paradigma della terapia organo-specifica.
Ci sono molecole bersaglio che sono le stesse in forme tumorali diverse e all'interno della medesima categoria di tumori si scoprono alterazioni genetiche differenti» spiega Marco Pierotti, direttore del Dipartimento di oncologia sperimentale all'Istituto dei tumori di Milano.
E con questo nuovo bagaglio di conoscenze, all'orizzonte di un'era postgenomica che ci dirà anche come funzionano i vari geni, sarà possibile secondo i ricercatori ottenere una sempre maggiore accuratezza diagnostica, individuare terapie mirate, predire l'aggressività del tumore e la sua risposta ai farmaci.
Tecnologie come il dna microarray, binomio di robotica e genomica, capaci di analizzare in breve tempo migliaia di campioni di materiale genetico, permettono ora di stabilire con rapidità il profilo molecolare di un tumore.
«E di scostarsi da una impostazione riduzionistica, legata al singolo gene, per una visione olistica o globale, che individua i geni espressi in un tumore di un singolo paziente rispetto al suo tessuto sano per scoprire le differenze e gli eventuali bersagli» continua Pierotti.
Sarà in base al profilo genico, non più su come un tumore si presenta al microscopio, che un medico sceglierà i farmaci, prevedendone la risposta e in quali dosi. Insomma, non esiste più la malattia ma il malato. «E saranno le caratteristiche geniche del tumore a guidare nella ricerca di farmaci intelligenti, ossia costruiti su target particolari delle cellule cancerose» spiega Filippo de Braud, direttore dell'Unità di farmacologia clinica all'Ieo di Milano. «Farmaci che individuano proteine bersaglio sull'involucro delle cellule tumorali e bloccano il meccanismo biologico indispensabile per la crescita del cancro».
Un esempio è il Glivec, capostipite di una nuova classe di farmaci nati non per caso, ma progettati a tavolino: un inibitore potente e sensibile dell'enzima tirosinachinasi che ha dato risultati promettenti nella leucemia mieloide cronica e in un tumore gastrointestinale raro, il sarcoma Gist.
L'evento all'origine della leucemia mieloide cronica è lo scambio di un pezzetto di materiale genetico tra il cromosoma 9 e il 22.
All'interno del nuovo cromosoma che si forma, detto Filadelfia, quel pezzettino di gene contiene le istruzioni per una nuova proteina, la bcr-abl, che è un oncogene: una sorta di interruttore posto sulla posizione di «acceso» che fa sì che i globuli bianchi si moltiplichino in modo incontrollato.
Il Glivec è capace di agganciarsi a quel pezzettino di gene e di annullare la bcr-abl.
Ma i bersagli o recettori sono tanti e ci sono già farmaci che bloccano dall'esterno con anticorpi monoclonali il meccanismo di proliferazione cellulare.
Come fa l'Herceptin che nel cancro al seno blocca i recettori Her2, per il fattore di crescita epiteliale egf, espressi in eccesso in un 20 per cento dei casi sulla superficie delle cellule tumorali. O l'Iressa che inibisce un altro recettore, l'Her1, espresso nel 70 per cento dei tumori polmonari e in altri tumori solidi. Recettori importanti nella terapia che funzionano da semaforo verde o rosso per la proliferazione tumorale.
Fonte: (19/01/2004)
Pubblicato in Genetica, Biologia Molecolare e Microbiologia
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