Bloccare la maturazione della proteasi Hiv-1-Pr
Nuova idea, tutta italiana, per la lotta all'Aids
Un trucco da meccanico per bloccare il motore dell'Hiv, impedendo a una proteina chiave di ripiegarsi e aprire la strada alla malattia. Un po, spiegano i ricercatori che lhanno ideato, come versare dello zucchero nel motore di una macchina, per metterlo fuori uso. 'L'idea originale è venuta a studiosi dell'Università di Milano, che dopo averla sperimentata con successo in vitro l'hanno presentata oggi al Convegno della Società Italiana di Fisica in corso a Varenna, sul Lago di Como.
Si tratta di uno studio in fase iniziale ma molto promettente, che apre nuove strade per la terapia antiretrovirale, spiega Riccardo Broglia del dipartimento di Fisica dellUniversità di Milano. Tanto promettente che sono già stati richiesti due brevetti, uno all'Ufficio europeo per il metodo generale, e uno a quello americano per l'applicazione nell'Aids. E per ora abbiamo superato il test di originalità.
Questo vuol dire che nessuno aveva pensato prima a questa strategia, totalmente made in Italy. Ma come funziona il metodo? Per compiere la loro attività biologica - ricorda l'esperto - le proteine ripiegano in strutture particolari (note come strutture native).
Impedire alle proteine virali di ripiegarsi apre la strada alla possibilità di lottare contro molte malattie, in maniera non convenzionale e potenzialmente senza creare resistenza. In particolare, l'inibizione del ripiegamento della proteasi di Hiv-1 (Hiv-1-Pr), enzima che gioca un ruolo centrale nel ciclo vitale del virus dell'Aids, può essere cruciale per un nuovo tipo di terapia antiretrovirale. Di norma - prosegue - l'inibitore nasconde il sito attivo della proteina o si lega a un'altra regione della proteina, causando cambiamenti strutturali che rendono l'enzima inadatto a legarsi al substrato. Tutti gli inibitori dell'Hiv1-PR disponibili sul mercato seguono questo paradigma, assicura Broglia. Ma il virus è abile: sotto la pressione dei farmaci, l'Hiv-1-Pr muta il sito attivo o i siti che controllano la sua conformazione, in modo da mantenere l'attivita enzimatica mentre il medicinale non e piu in grado di legarsi alla proteina. Così primi segni di fallimento dei farmaci hanno luogo tipicamente dopo 6-8 mesi dall'inizio del trattamento. Ma i ricercatori milanesi hanno pensato a un'alternativa: un nuovo tipo di inibitore che destabilizza la proteina, impedendole di ripiegare. Il tutto grazie a peptidi che copiano pezzetti della proteina stessa (Les). In questo modo, inoltre, sembra che il virus non sia in grado di sviluppare una resistenza alla cura: non muta più, dunque, perchè non riconosce il nemico ormai diventato parte di sè.
La capacità costante di inibizione del peptide piu promettente e stata misurata in laboratorio. Il valore osservato - dice l'esperto - apre la strada per studi di inibitori non convenzionali di cellule infette. Non solo: un gruppo dell'Ospedale Sacco, diretto da Mauro Moroni, ha iniziato a verificare sulla cellula la strategia. E i primissimi risultati sembrano indicare che si è sulla strada giusta. Occorrono però anni - ammonisce Broglia - per controllare la validità di questi risultati sugli organismi viventi e, quindi, se tutta va bene iniziare studi sull'uomo. Insomma, la strategia è promettente ma la cura non è dietro l'angolo.
Approfondimenti: Hiv-1-PR
Redazione (21/07/2006)
Pubblicato in Biochimica e Biologia Cellulare
Tag:
hiv
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