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Vaccini contro i tumori, tra due anni test sull’uomo


Per quelli solidi dell’epitelio, positivi i test sugli animali. Nella ricerca, italiana, anche il Ce

Terapie oncologiche, patologie dell’invecchiamento, vaccini contro i tumori solidi e alterazioni molecolari precoci. È operativo da meno di un anno, ma già vanta numerose ricerche e programmi ambiziosi il CeSi (Centro di Scienze dell’Invecchiamento) di Chieti realizzato nell’ateneo abruzzese Gabriele D’Annunzio. Ricerche a largo raggio dunque, ma prevalentemente indirizzate alla comprensione dei fenomeni morbosi che caratterizzano la terza età. Spiega Franco Cuccurullo rettore dell’università di Chieti e presidente della Fondazione CeSi: «I nostri ricercatori —160, ma a pieno regime saranno 240 — stanno già lavorando su tre linee di ricerca: vascolare, neurodegenerativa e oncologica, quelle che, più delle altre, interessano gli anziani».
Lo confermano le statistiche: l’80 per cento degli anziani muore per malattie cardiovascolari e il 17 per cento per cancro, mentre le patologie degenerative del cervello sono una costante dell’età avanzata che spesso si accompagna a disturbi estremamente invalidanti. L’incidenza delle più comuni forme di tumore epiteliale (della prostata, del colonretto, della mammella e del polmone) sale drammaticamente a partire dalla quinta decade di vita, sottolineano i ricercatori, con un incremento progressivo negli ultrasessantacinquenni: in Italia, come nel resto del mondo, questa fascia d’età è in progressivo aumento e, proporzionalmente, cresce anche l’incidenza di tumori.
Una delle Unità operative del CeSi, partecipa con gruppi di lavoro delle università di Torino, Bologna e Camerino, alla realizzazione di un vaccino contro i tumori solidi epiteliali con promettenti risultati che, per ora, riguardano gli animali da esperimento.
Ad anticiparne i contenuti è Piero Musiani, ordinario di Anatomia patologica e direttore del CeSi. «Il tumore» premette, «sviluppa proprie proteine dall’organismo da cui nasce che, appunto per questo, è impreparato a combatterlo: si tratta della "funzionetolleranza" secondo cui le nostre cellule vengono riconosciute, mentre tutto ciò che arriva dall’esterno diventa immediato bersaglio delle nostre difese. In passato non era mai stata utilizzata una vaccinazione contro il cancro perché si riteneva impossibile stimolare l’organismo a contrastare cellule proprie, ma studi recenti hanno rivelato la presenza di proteine di piccolo peso molecolare che regolano il sistema immunitario e quindi la capacità reattiva».
Il vaccino in sperimentazione si avvale di una strategia basata su Dna, cellule tumorali e molecole immunostimolatorie che ha permesso ai ricercatori di bloccare la crescita neoplastica in topi geneticamente indotti a sviluppare tumori. «La vaccinazione è stata fatta contro il recettore di superficie HER2 o cErbB2», continua Musiani, «una molecola responsabile di alterazioni nella comunicazione tra la membrana cellulare e il nucleo coinvolte nella trasformazione neoplastica e che è significativamente presente nei tumori di mammella, testa e collo, stomaco e prostata».
Quando si passerà all’uomo? «Ci vorranno ancora due anni», assicura il docente, «prima di tentare la vaccinazione nei soggetti a rischio. I ricercatori di Torino si occuperanno dei tumori della testa, del collo e del pancreas, Chieti dovrebbe essere punto di riferimento per il cancro della prostata». Tra le ricerche della Fondazione, quella del settore cardiovascolare è rivolta allo studio dei metaboliti dell’acido arachidonico, molti dei quali influiscono sulla sintesi di prostaglandine che, a loro volta, intervengono in tutti i sistemi dell’infiammazione e, quindi, anche su trombosi e arteriosclerosi. Conclude Musiani: «Si sa che piccole quantità di aspirina assunte quotidianamente hanno la capacità di inibire la trombosi vascolare e, conseguentemente, infarto e stroke; ma recentemente si è visto in alcuni trial che chi prende l’aspirinetta non si ammala di cancro del colonretto: di qui scaturisce l’idea che l’acido arachidonico possa anche contrastare lo sviluppo di alcuni tumori. Ecco perché, assodata la connessione tra patologie oncologiche e malattie cardiovascolari, si punta allo studio di entrambe».

Fonte: La Repubblica (22/01/2004)
Pubblicato in Medicina e Salute
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