Eppur si muove. Così cambia il cervello
Una nuova prova della plasticita’ del sistema nervoso: scoperte modifiche di sinapsi e «spine» regis
FINO a qualche decennio fa si pensava alle strutture cerebrali come a qualcosa di fisso e sostanzialmente immutabile. Le tecniche di analisi del cervello avevano permesso di osservarne l'estrema complessità e il numero astronomico di cellule nervose (neuroni) che lo costituiscono. Era però una conoscenza "statica", anche se molto raffinata, perché il cervello, per poter essere analizzato, doveva di solito essere "fissato" con procedimenti chimici, come ad esempio quello ideato da Camillo Golgi e utilizzato dal grande neurobiologo spagnolo Ramon y Cajal. Le conoscenze acquisite con queste tecniche hanno indotto, con l'avvento degli elaboratori elettronici, ad assimilare la struttura del cervello all’hardware di un computer. Oggi l'analogia non regge più per un numero di ragioni che sarebbe troppo lungo enumerare. Fra queste, una proprietà in particolare distingue il cervello: la plasticità. Plasticità è un termine molto vago, in quanto denota la capacità di cambiare struttura in relazione ad una determinata funzione. Il lettore potrebbe intuitivamente, ed a ragione, concludere che ogni parte dell'organismo è plastico; gli esempi a conferma di questa constatazione sono quasi infiniti. Un albero potato i cui rami si dirigono verso una differente sorgente di luce; la pelle che si oscura in rapporto all'intensità dei raggi solari, un muscolo la cui dimensione varia in rapporto al suo impiego, sono semplici casi di plasticità di un organismo. Ma mentre questi sono fenomeni facilmente osservabili, i possibili cambiamenti ai quali va incontro il cervello non possono essere egualmente valutati perché non solo infinitamente più microscopici ma perché, come si è accennato, presuppongono la "fissazione" dell'oggetto di studio, procedimento che impedisce proprio ciò che si vuol misurare.
Tuttavia, gli strumenti tecnologici messi a punto nell'ultimo decennio permettono di osservare i cambiamenti che si verificano in minuscoli preparati in vitro di neuroni "vivi", cioè funzionanti. Ne sta emergendo un panorama eccitante che ogni giorno va precisandosi. In un recente articolo pubblicato su «Nature Neuroscience» (6, 491-500, 2003), nel quale il primo autore è un italiano che lavora all'estero, si dimostra con tecniche tanto eleganti quanto sofisticate che sono dotate di plasticità anche le singole sinapsi, quelle strutture infinitamente piccole (sono decine di milioni per millimetro cubo di cervello), con le quali i neuroni comunicano fra loro e con l'organismo. E non solo le sinapsi, ma anche le strutture ancor più piccole con le quali esse formano i collegamenti con altre fibre nervose, chiamate spine o varicosità perché sono distribuite lungo le fibre nervose come le spine sui rami di una rosa, sono dotate di plasticità. Nello studio, si dimostra che il numero e la natura di questi collegamenti, mediati dalle sinapsi fra neurone e neurone, cambia continuamente, anche nel giro di minuti, in relazione agli stimoli che giungono da altri neuroni. E poiché gli stimoli in questione circolano in una struttura cerebrale (l'ippocampo) devoluta alla memoria, questi cambiamenti di forma sono direttamente riconducibili al processo di apprendimento e di successiva memorizzazione. In sostanza, mentre il lettore legge queste righe, sottili ma consistenti cambiamenti avvengono in qualche parte del suo cervello che servono a fissare per un tempo più o meno lungo ciò che sta leggendo; cambiamenti che scompariranno, per lasciare posto ad altri in arrivo, in un turbinio di trasformazioni strutturali che potrebbero ricordare quelli di una foresta di foglie mosse dal vento. Se poi queste informazioni dovessero avere particolare importanza, altri meccanismi molto più stabili si incaricheranno di fissare il ricordo in modo indelebile. Ma questa è un'altra storia. Queste osservazioni dovrebbero interessare anche psicologi e psicoanalisti che basano la loro terapia sul colloquio con il paziente. Cambiamenti simili a quelli descritti, infatti, potrebbero teoricamente verificarsi anche nel corso dei colloqui che intercorrono fra paziente e medico, con conseguente possibile "riorganizzazione" di una data rete nervosa malfunzionante. Insomma, la mai sopita diatriba fra organicisti e mentalisti (cioè fra neurologi e psicologi) potrebbe trovare soluzione e un ulteriore elemento di collegamento terapeutico. [TSCOPY](*)CNR, Roma[/TSCOPY]
Pietro Calissano (*)
Fonte: (05/02/2004)
Pubblicato in Biochimica e Biologia Cellulare
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