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Nuove speranze per il morbo di Huntington dall'Istituto Auxologico Italiano

Cellule nervose


Esiste una relazione fra livello ematico della neurotrofina BDNF e malattia già dai primi stadi di sviluppo

Uno studio dei ricercatori dell'Istituto Auxologico Italiano - Centro "Dino Ferrari", diretto da Vittorio Silani, sembra dare nuove speranze per il morbo di Huntington.
La ricerca si è svolta in collaborazione con l’unità di Neurogenetica diretta da Ferdinando Squitieri ed è stata possibile anche grazie al supporto delle Associazioni dei pazienti (Associazione “Mauro Emolo” O.N.L.U.S. and Associazione Italiana Corea di Huntington Neuromed).
Il morbo di Huntington è una malattia rara, ereditaria e degenerativa del sistema nervoso causata da un gene dominante difettoso che provoca la distruzione di particolari cellule cerebrali. In Italia colpisce 5 persone su 100 mila e insorge mediamente intorno ai 40 anni. I sintomi della malattia sono sintomi motori, cognitivi, psichiatrici e vi è una progressiva degenerazioni delle cellule del cervello. Attualmente non esistono terapie con le quali arrestare o guarire la malattia.

Nel processo neurodegenerativo, tipico della malattia, una molecola della classe delle neurotrofine, il Brain Derived Neurotrophic Factor (BDNF), sembra svolgere un ruolo fondamentale per la sopravvivenza dei neuroni di quella parte della struttura cerebrale chiamata corpo striato, che viene principalmente danneggiata dalla malattia di Huntington.
Lo studio italiano ha analizzato il sangue dei pazienti affetti dall'Huntington ed ha osservato una carenza di questa molecola, la neurotrofina BDNF.
Inoltre i ricercatori hanno osservato che il valore di BDNF era correlato con la gravità del difetto genetico dei pazienti e con la durata della malattia. Già in altre ricerche, da sperimentazioni su animali transgenici e da biopsie del cervello di pazienti deceduti, era emersa una relazione fra il deficit di BDNF e la patologia. Per la prima volta, ora, si sono ottenuti dei risultati analoghi in pazienti vivi e questo ha dimostrato che queste modificazioni avvengono già nei primi stadi di avanzamento della malattia. Proprio per questo il nuovo studio apre nuove possibilità per la diagnosi precoce e a nuove strategie terapeutiche, che mirano soprattutto al ripristino dei normali livelli della neurotrofina.
Andrea Ciammola, neuroscienziato dell’Istituto Auxologico Italiano e coordinatore dello studio, spiega: "Sono ipotizzabili più strade. Una prima è l’identificazione di molecole in grado di far aumentare la produzione di BDNF prodotto dallo stesso organismo. Invece, una seconda strada potrebbe essere la somministrazione della molecola direttamente nel midollo spinale, dove il fluido cerebro-spinale la porterebbe direttamente al cervello. Vi sono altre possibilità come la terapia genica o il trapianto di cellule geneticamente modificate in modo da produrre BDNF".
Lo studio è stato pubblicato on line sull'American Journal of Medical Genetics.

Redazione MolecularLab.it (07/05/2007)
Pubblicato in Medicina e Salute
Tag: BDNF, neurotrofina, Hunghtinton, Istituto Auxologico
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