Disfunzioni nervose: rivisto il ruolo degli endocannabinoidi
Cambia lapproccio farmacologico a come Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla, obesità e infertilità
La prestigiosa rivista 'Nature Neuroscience' ha appena pubblicato on line una ricerca proveniente dall'Italia che potrebbe rimettere in discussione alcuni meccanismi fondamentali nella trasmissione nervosa e nel trattamento di sue importanti disfunzioni. Per i risultati di questo studio, cui il prossimo numero della rivista dedicherà anche un editoriale, s'ipotizza un notevole impatto sulle strategie di sviluppo di nuovi farmaci capaci di contrastare le malattie nervose e quelle periferiche. La ricerca si è focalizzata sulle alterazioni del sistema endocannabinoide e sull'azione svolta da due neurotrasmettitori implicati sia nelle tossicodipendenze sia nelle malattie infiammatorie e degenerative del cervello. Il lavoro scientifico si è svolto presso l'IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma in collaborazione con l'Università di Roma Tor Vergata e l'Università di Teramo; coinvolto, come supporto, anche lo statunitense The Scripps Research Institute.
Le aree del cervello si scambiano informazioni mediante una fitta rete di segnali generati dai neurotrasmettitori: tra questi vi sono i cannabinoidi endogeni o endocannabinoidi, la cui azione è simile a quella di alcuni estratti della canapa indiana (cannabis) come hashish e marijuana. Il sistema degli endocannabinoidi si attiva in diverse malattie infiammatorie e degenerative del cervello, presumibilmente per frenare il danno neuronale. Due sono gli endocannabinoidi più coinvolti in tali patologie: l'AEA (anandamide) e 2-AG (2-arachidonilglicerolo). Come già osservato nella sclerosi multipla, sarebbe soprattutto AEA ad attivarsi in caso di malattie neurodegenerative ed infiammatorie, con un effetto neuroprotettivo.
Per potenziare la sua azione attualmente sono usati a scopo terapeutico i cannabinoidi vegetali derivati dalla canapa indiana che, però hanno effetti collaterali tipici di queste sostanze psicoattive.
Finora AEA e 2-AG erano ritenuti cooperativi e capaci di svolgere, fondamentalmente, le stesse azioni biologiche. Per tale motivo erano bersagli quasi equivalenti per lo sviluppo di farmaci contro gravi patologie neurodegenerative quali la malattia di Alzheimer, il morbo di Parkinson, la còrea di Huntington, la sclerosi multipla e la sclerosi laterale amiotrofica, come pure per patologie periferiche quali obesità, cirrosi epatica e infertilità. Ora questa ricerca ha evidenziato, per la prima volta, che AEA e 2-AG possono inibirsi reciprocamente. In particolare si è dimostrata la capacità di AEA di ridurre i livelli endogeni di 2-AG. Quindi AEA svolgerebbe il ruolo di endocannabinoide 'buono' e il suo effetto neuroprotettivo in certe patologie scaturirebbe dall'inibizione di quello "cattivo", 2-AG, che ha invece un ruolo prodegenerativo ed è in grado di bloccare alcune sinapsi che normalmente tendono a preservare l'integrità neuronale.
La scoperta comporta una radicale rivisitazione delle azioni svolte da questi fondamentali neurotrasmettitori ed apre interessanti prospettive nell'approccio farmacologico a quelle patologie correlate a disfunzioni del nostro sistema endocannabinoide. I risultati della ricerca suggeriscono lo sviluppo di farmaci in grado di stimolare la produzione nel cervello di AEA ma non di 2-AG oppure, al contrario, di inibire la produzione di 2-AG: Infatti, le attuali terapie basate sui derivati della canapa indiana attivano indiscriminatamente i recettori dei cannabinoidi del cervello (sia quelli per l'anandamide che per il 2-arachidonilglicerolo), con un effetto contemporaneamente antidegenerativo e prodegenerativo, oltre ad avere degli effetti indesiderati.
Lo studio ha visto la stretta collaborazione tra due laboratori della Fondazione Santa Lucia: quello di Neurochimica dei Lipidi, diretto dal prof. Mauro Maccarrone, e quello di Neurofisiologia, diretto dal dott. Diego Centone. Coinvolti due dipartimenti dell'Università di Roma Tor Vergata: Neuroscienze e Medicina Sperimentale e Scienze Biochimiche. Per l'Università di Teramo, ha partecipato il Dipartimento di Scienze Biomediche, anch'esso diretto dal prof. Maccarrone. Dagli USA The Scripps Research Institute ha messo a disposizione dei ricercatori italiani un modello di topo geneticamente modificato.
'Proprio l'interdisciplinarità e la condivisione di competenze scientifiche diverse – sottolinea Centonze - ha permesso di dimostrare un aspetto inatteso dell'omeostasi degli endocannabinoidi che, se confermato anche in altre aree cerebrali, può davvero rivoluzionare il nostro modo di considerare la regolazione della trasmissione nervosa e il trattamento delle sue disfunzioni'.
In quanto alle ricadute pratiche della scoperta, il prof. Maccarrone evidenzia che 'ora la possibilità di ridurre in vivo i livelli di 2-AG tramite l'aumento di quelli di AEA è piuttosto concreta, visto che già esistono inibitori della degradazione dell'AEA molto efficaci. Più remota è invece la prospettiva di modulare direttamente il metabolismo del 2-AG, per il quale mancano ancora inibitori con potenziali applicazioni terapeutiche'.
Redazione (22/01/2008)
Pubblicato in Genetica, Biologia Molecolare e Microbiologia
Tag:
endocannabinoidi,
Alzheimer,
Parkinson,
sclerosi multipla
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