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Come le staminali curano le malattie

Staminali di topo


Uno studio monitora il percorso nel tempo di staminali modificate geneticamente contro alcune malattie rare come l'Ada-Scid o la leucodistrofia metacromatica

Il primo studio al mondo che svela il destino delle cellule staminali oggi in grado di curare malattie un tempo mortali: dove vanno, cosa fanno, quanto vivono. Il tutto grazie a un 'codice a barre' che le marchia quando vengono modificate nel Dna per essere utilizzate come terapia genica, il trattamento che punta a guarire una patologia genetica correggendo il difetto che la scatena. La 'bandierina' che le contrassegna e consente di controllarle anche ad anni di distanza sventola sul Moscone Center di San Francisco, dove si chiude il 56esimo congresso della Società americana di ematologia (Ash).
La ricerca, firmata Tiget, è fra le 6 scelte per essere discusse durante la sessione plenaria del meeting. Le più interessanti, le migliori in assoluto, fra le 6.500 in vetrina al summit californiano. Lo scienziato che la illustra - applaudito nell'immensa sala allestita per l'appuntamento clou di un evento che ha richiamato oltre 20 mila addetti ai lavori da tutto il mondo, celebrato dal giornale ufficiale del congresso per il suo speech "elegante" - ha 36 anni e si chiama Luca Biasco. Da Bologna, dove ha studiato, si è trasferito a lavorare a Milano all'Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (Tiget). Nel suo curriculum non mancano esperienze di ricerca all'estero, tra i National Institutes oh Health statunitensi e il National Cancer Institute di Heidelberg in Germania.

Ai giornalisti italiani che lo intervistano racconta dall'inizio una storia che parte da lontano. "Il contesto che ci ha permesso di condurre questo studio è quello della terapia genica avviata quasi 20 anni fa sui malati di Ada-Scid", i cosidetti 'bimbi in bolla' privi delle difese immunitarie necessarie per combattere anche un semplice raffreddore. Un tempo condannati a vivere in un ambiente completamente sterile, oggi guariti grazie a una tecnica messa a punto dal Tiget nel 2002. "Da allora ne sono stati curati 16 e la metodica è stata applicata con successo anche ad altre 2 malattie: la sindrome di Wiskott-Aldrich (7 bimbi trattati) e la leucodistrofia metacromatica (una decina). In pratica - riassume Biasco - si prelevano le staminali ematopoietiche del paziente, si modificano inserendo la versione corretta del gene sbagliato veicolata da un virus reso innocuo (quello che funziona meglio è l'Hiv), e si reinfondono nel malato. In questo modo abbiamo avuto a disposizione un modello per studiare il comportamento di queste cellule in vivo, nell'uomo.

Finora questo tipo di ricerca era stata possibile solo nel topo.
Invece al Tiget diretto da Luigi Naldini, il team di Alessandro Aiuti (coordinatore clinico della sperimentazione sulla terapia genica) di cui Biasco fa parte ha condotto per la prima volta questo tipo di studi su 8 pazienti: 4 con sindrome di Wiskott-Aldrich e 4 con leucodistrofia metacromatica. "Il punto è - premette il giovane scienziato - che quando le staminali del malato vengono corrette" in cellule 'ogm', "e poi reinfuse a milioni, il gene terapeutico va a integrarsi nel genoma in un punto diverso da cellula a cellula. Un passaggio determinante, perché a seconda di dove il gene si incasella cambia il destino della staminale corretta e il suo effetto. Il sito di integrazione diventa quindi di per sé un segno distintivo: una sorta di codice a barre, in gergo un 'tag molecolare'. Una bandiera che può essere sempre riconosciuta quando, attraverso prelievi periodici, si vanno a studiare le cellule del sangue del paziente".
Grazie a questa 'etichetta', dunque, "noi possiamo ricostruire il destino che ha avuto ogni cellula: come e quanto si è riprodotta, che cosa ha fatto e come si sono comportate lei e le sue figlie. Riuscirci è molto importante per 3 motivi", sottolinea Biasco. "Primo per una ragione di sicurezza, per accertarci che queste staminali non degenerino in un tumore. Secondo per valutarne l'efficacia, ossia per capire se si sono riprodotte in una popolazione che resta stabile e quindi mantiene l'attività terapeutica. Terzo, ed è questo che più ha interessato la platea della sessione plenaria, perché così è possibile comprendere cosa succede dopo un trapianto di midollo osseo. Come cioè le staminali vanno a ricostituire il sistema ematopoietico del paziente, differenziandosi in cellule del sistema immunitario, o in globuli rossi o ancora in piastrine".

Non è tutto. "Lo stesso tipo di studio, simile a quello che in ecologia segue gli spostamenti, i comportamenti e la riproduzione degli animali - prosegue Biasco - l'abbiamo fatto con i linfociti T. Perché negli anni '90 sui bambini con Ada-Scid la terapia genica era stata tentata non sulle staminali, ma direttamente sui linfociti. Non aveva funzionato però quei linfociti 'taggati' sono sopravvissuti, e anche a 10 anni di distanza abbiamo potuto ritrovarli e scoprire dove sono andati e cosa hanno fatto nel tempo. Questo lavoro sarà pubblicato all'inizio dell'anno ed è cruciale perché consente di studiare la biologia dei linfociti". Un filone di ricerca caldissimo considerato anche lo sviluppo che stanno avendo contro i tumori del sangue le terapie 'Car-T', quelle che vanno a modificare geneticamente i linfociti T in modo che aggancino e uccidano le cellule B malate.
Nuovi farmaci immunoterapici protagonisti di numerosi abstract presentati all'Ash 2014. Ma come prosegue il progetto di terapia genica di Telethon che ha reso possibile questi studi? "La sperimentazione sulla Ada-Scid si è chiusa - ricorda Biasco - Dopo il successo ottenuto, infatti, grazie a un accordo siglato con GlaxoSmithKline la correzione genetica delle staminali dei bimbi malati diventerà un 'farmaco' da distribuire in tutto il mondo". In pratica verrà venduto un protocollo, una sorta di manuale di istruzioni che potrà essere utilizzato solo nei centri ospedalieri con le competenze, l'esperienza e la tecnologia necessarie.

"Anche il vettore virale verrà prodotto in pochissimi centri super selezionati uno dei quali sarà MolMed", la società biotecnologica 'gemmata' dall'Irccs San Raffaele di Milano. "Ai centri ospedalieri - puntualizza lo scienziato - il virus navicella viene consegnato con il gene già all'interno. Saranno poi loro a occuparsi della correzione delle staminali del paziente, perché queste cellule vanno lavorate mentre sono fresche: si fa il prelievo, il malato resta in ospedale mentre le staminali vengono tenute in coltura con il virus per 3 giorni, si reinfondono le cellule corrette e se tutto va bene in una settimana il trattamento è finito". "Anche i bambini con sindrome di Wiskott-Aldrich, come l'Ada-Scid una rara immunodeficienza primaria, dopo la terapia genica stanno procedendo tutti molto bene", riporta Biasco.
Quanto ai piccoli con leucodistrofia metacromatica, nei quali la terapia genica viene coordinata al Tiget da Alessandra Biffi, "le cellule staminali corrette sono addirittura riuscite a ridurre le lesioni cerebrali causate dalla patologia". Una malattia diversa dalle prime 2, detta da accumulo perché a causa del difetto genetico ci sono sostanze tossiche che assediano le cellule nervose e le danneggiano. Ebbene, "si è visto - conclude il ricercatore - che le staminali corrette e reinfuse, anche se sono cellule del sangue, migrano nel cervello dove riescono a correggere anche le cellule nervose. Ripulendo il tessuto dalle scorie che lo soffocano".

Redazione MolecularLab.it (11/12/2014 17:30:11)
Pubblicato in Biotecnologie
Tag: Ada-Scid, leucodistrofia, terapia genica, staminali
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