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Romeo Lucioni

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Autismo e sviluppo frontale

AUTISMO E SCHEMI SUPERIORI

Romeo Lucioni

È ormai assodato che la organizzazione autistica non è innata, ma comincia a presentarsi a partire dai 18-25 mesi, quando, cioè, si sviluppa la cosiddetta “frontalizzazione” che corrisponde alla strutturazione definitiva delle aree corticali frontali e pre-frontali.
Questo complesso processo anatomico-funzionale ha il suo corrispondente pre-psichico nella organizzazione emotivo-affettiva che apre alla vita relazionale e sociale.
Il bambino autistico vede compromesso il suo sviluppo psico-mentale proprio nel momento in cui le organizzazioni funzionali neuro-corticali si intrecciano con le emergenze psichiche più evolute che supportano l’affettività che si riferisce a:
- senso di sé;
- autovalorizzazione;
- organizzazione degli oggetti (interni ed esterni);
- sistema rappresentazionale condiviso;
- mondo dei valori (altruismo, generosità, compartecipazione, riconoscenza) che rispecchia la possibilità non solo di dare valore al Sé, ma anche agli altri.
Questo intreccio genetico, biologico, percettivo, rappresentativo, esperienziale, emotivo ed affettivo si aggrega e sovrappone all’organizzazione cognitiva che si va sempre più rendendo complessa nei suoi due aspetti fondamentali:
- coscienza di sé e degli oggetti;
- organizzazione dei meccanismi del pensiero;
che rispecchiano un loro sviluppo passando da:
- una organizzazione concreta = basata sugli input sensoriali e sensitivi (la percezione è anche pensiero);
- quella affettiva = nella quale è l’altro a dare senso e verità agli oggetti ed ai vissuti;
- a quella simbolico-rappresentativa = che equivale alla vera e propria mentalizzazione ed alla strutturazione dei significati.

Queste osservazioni fanno ricordare il pensiero socio-filosofico di Hermann Keyserling per il quale la natura si completa nella forma che però ha in sé qualcosa di immaturo e/o di non finito. Lo chiamiamo “monello”, che può anche apparire molto piacevole (originale), ma risulta inadeguato “all’uomo completo” che mira ad uscire dalla fluidità per raggiungere una “umanità superiore”.
Ci troviamo di fronte a:
§ ambizione di progredire biologicamente (vedi l’esperienza ipercinetica) che tende a frenare la umanizzazione totale;
§ aspirazione alla perfezione che finisce per organizzare, strutturare, completare, finalizzare ed arricchire anche il progresso biologico-funzionale.

L’aspirazione alla perfezione è vista come apertura al sociale, all’integrazione relazionale, al mondo dei valori e degli affetti. La timologia ci ha insegnato quanto importante sia questa organizzazione funzionale che, profondamente e specificamente umana, si sviluppa con la frontalizzazione, cioè con la maturazione delle aree corticali frontali e pre-frontali.

Recentemente Christofer A. Walsh e Xianhua Piao hanno messo in evidenza come sia il gene GPR56, sull’area del cromosoma 16, il responsabile del fenomeno dello sviluppo specifico delle aree frontali; questo gene manca negli animali non-mammiferi e sembra responsabile dello sviluppo di quelle aree cerebrali che governano le funzioni sociali, la cognizione, il linguaggio, il problem solving.
Saremmo quasi portati a ritenere l’autismo un disturbo genetico, di quelle parti del genoma che controllano la frontalizzazione o, comunque, l’organizzazione bio-funzionale delle strutture cerebrali superiori nella loro parte più frontale.
C’è ancora molto da indagare sull’argomento, soprattutto perché non è ancora stata data nessuna spiegazione al fatto che nell’autismo più tipico, quello di Kanner, i segni di anormalità si presentano intorno al secondo anno di vita, quando appunto termina la maturazione delle strutture frontali. Significherebbe che il gene (e/o i geni) relativi diventano attivi solo in questo periodo?
La discussione è ampia e ancora poco chiara.
Prima di tutto bisogna sapere, quando si parla di autismo, a quale sindrome ci si riferisce perché le tre forme ormai classiche (di Kanner; ipercinetica; di Asperger) non sono per nulla sovrapponibili.
Quando prendiamo in considerazione le osservazione di Walsh forse possiamo immaginare l’autismo di Kanner poiché ha:
- inizio precoce (intorno ai due anni) dopo un periodo di relativa normalità;
- un ritiro autistico spiccato che comincia con il “non guardare più negli occhi la mamma;
- perdita di funzioni già acquisite, seppure in parte (le prime parole);
- difficoltà percettive;
- mancata organizzazione di un sistema rappresentazionale condiviso;
- non strutturazione degli oggetti (interni ed esterni) che porta a notevoli difficoltà comportamentali (non guardarsi allo specchio; obbligatorietà a mantenere gli oggetti sempre nello stesso posto; comportamenti ossessivo-compulsivi);
- difficoltà nell’apprendere anche movimenti semplici e/o coordinati (insegnare a estrarre la lingua a comando è una impresa che dura molti mesi);
- deficit severo del linguaggio (spesso non viene sviluppato o recuperato);
- siderazione affettiva con perdita di quella funzione che Baron Cohen ha chiamato “teoria della mente”;
- presenza di quella espressione tipica chiamata “atteggiamento controfobico” che, sviluppato nei confronti della madre (bacini, moine, carezze), significa, in realtà, una paura estrema a crescere e ad assumere iniziative proprie;
- un comportamento egoistico-egocentrico che ha fatto pensare ad un maschilismo precoce.
Queste caratteristiche (che vanno ben oltre ai semplici items enumerati dal DSM) sono veramente specifiche e preannunciano un lavoro riabilitativo particolarmente arduo, anche quando il trattamento viene iniziato precocemente (ai 2,5 anni).
Le difficoltà che si evidenziano nell’autismo di Kanner, nel tentativo di recupero, i lunghi tempi richiesti (più di quattro anni) anche per risultati veramente scarsi, fanno pensare ad una sindrome ben più profonda rispetto a tutte quelle nelle quali l’organizzazione psico-mentale è più “matura” (autismo ipercinetico) o addirittura riferibile a problematiche edipiche (Asperger) o, ancora, quando ci troviamo di fronte a quadri che spesso vengono definiti “dello spettro autistico”. In questi casi le situazioni conflittive sono più evidenti e le possibilità di riabilitazione anche totale sono veramente molte, anche se mai facili, semplici e/o tanto lievi da non richiedere l’intervento di psichiatri specializzati.

È sperabile che le osservazioni di A. Walsh e di Xianhua Piao possano far terminare quelle elucubrazioni semplicistiche ed ingiustificate che fanno risalire l’autismo a semplici problematiche di intolleranza alimentare e che finalmente portino a far sparire tutti quegli interventi aleatori ed anche dannosi (servono solo a far perdere tempo) come la chiropratica, la delfinoterapia, la musicoterapia, le terapie alternative a base di vitamine e/o dei più strampalati estratti di piante e di frutti.

Tutti noi che ci auguriamo di poter continuare a lavorare seriamente e su basi scientifiche (sia sul piano teorico che, soprattutto, su quello pratico) ci auguriamo che l’approfondimento degli studi possa finalmente portare a capire qualcosa di più di questo mistero che è ancora l’autismo e, soprattutto, che si arrivi a dare a questi sfortunati bambini un vero ed efficace appoggio per un miglioramento certo e che faciliti il reinserimento sociale.


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