Brevetti, l’Italia li detassa e scoppia la polemica
Apparentemente è l’uovo di Colombo per rilanciare un’Italia a corto d’innovazione: abolire le tasse sui brevetti. Semplice, no? E infatti la Legge Finanziaria ha stabilito che dal 2006 siano soppresse
Apparentemente è l’uovo di Colombo per rilanciare un’Italia a corto d’innovazione: abolire le tasse sui brevetti. Semplice, no? E infatti la Legge Finanziaria ha stabilito che dal 2006 siano soppresse tutte le tasse di concessione governativa per i brevetti stessi. Peccato, però, che questa decisione, impeccabile sulla carta, rischi di sollevare parecchi problemi. Fino al punto da risultare controproducente. Lo sostiene il New York Times che in un lungo articolo di Paul Meller da Bruxelles sottolinea i pericoli della detassazione. La prima questione posta dal quotidiano americano tramite le dichiarazioni di Bruno van Pottelsberghe, capo economista dell’Ufficio europeo dei brevetti, riguarda il rischio che l’azione italiana complichi gli sforzi di Bruxelles per omogeneizzare l’intero sistema dei brevetti della Ue. Mentre, secondo l’economista dell’Ocse Dominic Guellec, l’abolizione della tassazione potrebbe provocare un forte incremento nella registrazione dei brevetti nel Bel Paese con un peggioramento della qualità dei brevetti stessi. E allora? Per capire meglio cosa si profila all’orizzonte conviene fare un passo indietro. Ed esaminare come funziona il sistema in Italia e in Europa. A cominciare dal fatto che il brevetto è essenzialmente il diritto ad impedire ad altri soggetti per 20 anni di utilizzare un prodotto o un sistema di produzione. Per ottenerlo, questo diritto, bisogna dimostrare un sensibile miglioramento rispetto allo state dell’arte nell’ambito in cui si opera. Ebbene, mentre per i brevetti europei utilizzabili in Italia è necessario superare una severo esame di merito per ottenere l’esclusiva su un prodotto o su un sistema di produzione non è così per i brevetti di origine italiana. Il risultato di questa situazione è una minore qualità dei brevetti italiani e una maggiore incertezza circa il loro valore.
In pratica chi registra il proprio diritto solo in Italia non è garantito fino in fondo. Da qualche parte nel mondo potrebbe esserci qualcuno che ha già registrato quella novità. Oppure la presunta innovazione è già inclusa nello «stato dell’arte» del settore di riferimento. Fino ad oggi la tassazione per il deposito del brevetto e quindi per il loro mantenimento costituivano un argine per l’abbassamento della qualità dei brevetti made in Italy. Il risultato rischia di essere devastante perché favorendo il deposito di «cattivi brevetti» si rischia a lungo andare di squalificare l’istituto del brevetto scoraggiando gli imprenditori che vogliono puntare sull’innovazione. Ma non basta perché il novanta per cento delle innovazioni registrate nel nostro Paese sono state fatte da aziende non italiane. La detassazione decisa dal governo ha quindi avvantaggiato soprattutto le imprese estere. È dunque in questa cornice che va valutata la proposta di modifica della normativa attuale formulata da Pier Giovanni Giannesi, presidente del gruppo di lavoro per la proprietà industriale di Confindustria. «Prendendo lo spunto dalla volontà del governo di incoraggiare l’uso del brevetto nei soggetti italiani interessati, principalmente imprese e Università», sostiene Giannesi, «sarebbero opportuni alcuni cambiamenti all’attuale meccanismo di finanziamento del sistema dei brevetti». Secondo Giannesi si potrebbero eliminare le tasse per il primo deposito e per il mantenimento dei brevetti (o domande di brevetto) nel corso dei primi 34 anni. Con una importante modifica, però. E cioè l’introduzione, in occasione del deposito di domanda di brevetto in Italia, della possibilità di richiedere una ricerca di anteriorità o esame di novità. Questa indagine costituisce il «primo stadio» delle procedure europee per l’accertamento di brevettabilità e ha lo scopo di accertare le differenza o le novità rispetto allo stato dell’arte. «Questa ricerca», afferma Giannesi, «sarebbe effettuata dall’Ufficio Europeo dei Brevetti (UEB) e i suoi risultati sarebbero resi al depositante attraverso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM)». Lo schema proposto da Giannesi prevede ancora che il depositante paghi «una tassa di ricerca di anteriorità ad un costo inferiore rispetto al prezzo pagato attualmente alla UEB: per esempio 300 euro contro circa 1000 euro. L’effettuazione di tale ricerca dovrebbe divenire obbligatoria entro un tempo predeterminato». Quanto alle tasse di mantenimento per la prima metà di vita del brevetto (10 anni dal primo deposito) dovrebbero essere ridotte (per esempio del 50%) per PMI e Università. L’effetto sarebbe di favorire, per la seconda metà di vita dei brevetti, una revisione dei brevetti da parte dei titolari per abbandonare quelli che non valgono la spesa del mantenimento.
Fonte: (25/01/2006)
Pubblicato in Analisi e Commenti
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brevetti
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