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Cuore


Le malattie del cuore sono le conseguenze di un nostro errore, non il volere di Dio o della natura.

Saggiamente, Seneca osservava che mai nulla si scoprirebbe se ci accontentassimo delle co

Le malattie del cuore sono le conseguenze di un nostro errore, non il volere di Dio o della natura.

Saggiamente, Seneca osservava che mai nulla si scoprirebbe se ci accontentassimo delle cose già acquisite, cioè se considerassimo punto d’arrivo le tappe intermedie.

La scoperta della circolazione del sangue come scienza è il risultato, infatti, dell’evoluzione delle conoscenze già acquisite. Non può quindi attribuirsi ad un solo uomo o una sola epoca.

Gli anni quaranta videro due eccezionali conquiste terapeutiche: una medica e l’altra chirurgica. Nel 1944, la penicillina, primo antibiotico, efficace sradicò lo streptococco beta-emolitico. Risultati importanti si ottennero in campo terapeutico dai diuretici sempre più efficaci.

La chirurgia cardiovascolare ha avuto sviluppi eccezionali negli anni quaranta: la simpaticocectomia toracolombare, la terapia delle cardiopatie congenite, l’intervento di commissurotomia mitralica a cielo aperto.

Che l’aterosclerosi delle arterie del cuore sia la causa dell’angina pectoris e in casi più gravi dell’infarto è noto a tutti, medici e non. Non tutti però sanno che la malattia delle coronarie si manifesta ed evolve in modo abbastanza imprevedibile; se alcuni pazienti soffrono unicamente di angina pectoris per molto tempo, altri vengono colpiti dall’infarto come prima manifestazione clinica.

Purtroppo non è facile individuare i soggetti a rischio di infarto. Se in passato prevaleva la teoria che vedeva nella graduale progressione dei restringimenti delle coronarie la causa dell’infarto, negli ultimi anni si è osservato che anche le placche aterosclerotiche responsabili di stenosi di grado lieve, possono improvvisamente ulcerarsi e, rompendosi, causare l’infarto.

Una domanda ricorrente dei pazienti è se esistano indagini o tecniche di imaging per individuare le lesioni a rischio di infarto.

Molti cardiologi rispondono di no, altri che servirebbe una metodica che informi in modo esatto sull’anatomia delle lesioni aterosclerotiche e la presenza di infiammazione.
La coronarografia è la tecnica impiegata correntemente. Quasi tutti i cardiologi, però, rispondono che è necessaria la prevenzione.

I fattori di rischio di vecchia data, come noto, sono: disfunzione dell’endotelio provocato da ipertensione, depressione, fumo, ipercolesterolemia, diabete, vita sedentaria, obesità. Mentre, i fattori di rischio attuali sono riconducibili alla disfunzione dell’endotelio dovuta alla malattia coronaria, aritmia – morte improvvisa, disfunzione del ventricolo sinistro / fibrosi, squilibrio autonomo.

I fattori di rischio di vecchia data e quelli di rischio attuali devono essere concomitanti da almeno 5 anni. Quelli più importanti sono rappresentati dall’ipertensione arteriosa, fumo e diabete.

I dati disponibili suggeriscono che l’ipertensione non sia semplicemente un indicatore di rischio aumentato. L’ipertensione può partecipare direttamente alla genesi dei disturbi del ritmo contribuendo allo sviluppo di ipertrofia ventricolare sinistra e dispersione del micro-circolo.

Il rischio di aritmie è maggiore in presenza di segni di ipertrofia e di anomalie atriali sinistre rilevate all’ecocardiogramma o all’elettrocardiogramma, anche in pazienti con anamnesi negativa per coronaropatia. Gli ipertesi sono predisposti alle aritmie anche in caso di volumi cavitari normali.

La malattia cardiovascolare risulta approssimativamente da 3 a 4 volte più frequente in soggetti diabetici. La prevenzione dell’infarto del miocardio può essere realizzata già intervenendo efficacemente sul soggetto con l’obbiettivo di ridurre i fattori di rischio come l’ipertensione arteriosa, l’ipertrofia ventricolare sinistra, il profilo lipidico, il fumo, la glicemia e anche di modificarne lo stile di vita attraverso un controllo dell’alimentazione e dell’attività fisica.

Voglio concludere con una osservazione personale. Una sana risata che accompagna e rivela un buon senso dell’umor, può proteggere il cuore. Il Dr. Michael Miller dell’Università del Maryland sostiene che il vecchio assioma secondo cui una risata costituisce la migliore medicina sembra avvicinarsi al vero. Sappiamo, infatti, che la tensione e lo stress mentale si associano con un danno all’endotelio, la barriera protettiva che orla i nostri vasi sanguigni. E sappiamo pure che l’endotelio produce una sostanza che dilata i vasi, il protossido d’azoto, noto per l’appunto come “gas esilarante”.

Oggi la cura del cuore è affidata quindi alle cure farmacologiche e cardiochirurgiche e allo stile di vita in attesa delle scoperte che la genetica offrirà per una terapia mirata alla persona.

Autore: Antonio Basso
Antonio Basso ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Napoli. Si è specializzato in Cardiologia e Malattie dei vasi nel 1970 per poi conseguire la specializzazione in Anestesiologia e Rianimazione nel 1974. Primario di Cardiologia presso l’Istituto Nazionale per la cura dei Tumori G. Pascale dal 1981 al 2002. Direttore di tutte le attività ambulatoriali del Day Hospital dal 1990 al 1994 nel medesimo Istituto. Professore presso la Scuola di Specializzazione di Cardiologia dell’Università di Napoli.

Sbarro Health PRESS
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Redazione MolecularLab.it (07/03/2007)
Pubblicato in Medicina e Salute
Tag: cuore
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