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Ricerca su virus aviario


Potrebbe essere stato proprio un virus aviario mutato in modo da colpire l’uomo e trasmettersi di persona in persona a fare ben 50 milioni di morti nel 1918. È questo spettro della terribile influenza

Potrebbe essere stato proprio un virus aviario mutato in modo da colpire l’uomo e trasmettersi di persona in persona a fare ben 50 milioni di morti nel 1918. È questo spettro della terribile influenza spagnola a preoccupare gli esperti che ritengono che il virus che provocò la pandemia all’inizio del secolo scorso sia simile a quello che sta ora mietendo anche vittime umane in Asia. Ecco perché alcuni ricercatori hanno pensato di cercare proprio nel passato le risposte alle paure di oggi.
Un gruppo di scienziati britanncici vuole riesumare il corpo di una delle 50milioni di vittime uccise dalla spagnola nella speranza di trovare degli indizi utili a combattere l’attuale influenza dei polli. I ricercatori sperano di trovare l’impronta genetica del virus nei resti di Phyllis Burn, una ragazza di 20 anni uccisa dall’influenza spagnola. «Nessuno si aspetta che il virus del 1918 ritorni, ma c’è la possibilità che un nuovo virus emerga allo stesso modo oggi» ha commentato il Professor John Oxford, della scuola di medicina Queen Mary di Londra, a capo dell’indagine.

Sappiamo che finora l’attuale infezione dei polli non è in grado di trasmettersi tra esseri umani e le vittime per il momento sono persone che hanno contratto la malattia direttamente da uccelli infetti. La paura degli esperti è però che il virus si combini geneticamente con il virus dell’influenza umana e possa così produrre un’infezione che si diffonda attraverso diverse popolazioni.
Una delle domande chiave di quest’indagine è se sia stata proprio una combinazione genetica tra virus a poter scatenare la micidiale influenza del 1918. Il Professor Oxford spera di trovare gli organi interni della defunta Phyllis Burn in condizioni suffucientemente buone per poter prelevare degli esemplari di tessuto dai polmoni e cercare così delle «tracce genetiche» lasciate dal virus del 1918 che possano dare indizi importanti. Lo scienziato, che sta ancora aspettando il permesso delle autorità per procedere alla riesumazione, ammette che il suo è un salto nel buio e che il successo dell’indagine dipende dallo stato di conservazione del corpo.
Quella di Oxford, d’altronde, non sarebbe la prima impresa del genere. Negli anni Cinquanta l’infettivologo Johan Hultin contava di prelevare campioni di tessuto polmonare dai corpi di alcune vittime in Alaska ma l’esperimento non diede gli esiti sperati. Diversi anni dopo Kirsty Duncan studiò i resti di sei minatori uccisi dall’epidemia sull’isola norvegese di Spitzbergen e il patologo militare Jeffery Taubenberger quelli del soldato Vaughan, ma non si è mai riusciti a mappare il genoma del virus.

Fonte: Il mattino (05/02/2004)
Pubblicato in Genetica, Biologia Molecolare e Microbiologia
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