Lungo precariato per i ricercatori di scienze della vita
L'Irpps-Cnr disegna il profilo del ricercatore 'eccellente' italiano che opera nelle life sciences
L'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Consiglio nazionale delle ricerche ha partecipato allo svolgimento di una indagine europea sui ricercatori che operano nelle scienze della vita, un campo con un ruolo chiave in settori considerati di grande importanza per lo sviluppo delle scienze tout court, per la crescita economica e per gli sviluppi industriali. Un settore che ha visto aumentare in tutti i paesi europei sia l'occupazione sia il numero di progetti di ricerca.
"L'analisi si è focalizzata su un target 'alto'", spiega Sveva Avveduto, dell'Irpps-Cnr che, insieme a Maria Carolina Brandi e Manuela Bussola ha condotto l'indagine, "su una fascia di ricercatori esperti, selezionati in base ad una eccellente produttività scientifica e tecnologica, misurata dal numero di citazioni (database delle citazioni ISI-Thomson) e dal numero di brevetti (database dei Brevetti Europei EPO) al fine di prendere in considerazione tutto lo spettro di questioni inerenti alla formazione e alla carriera, e consentendo di analizzare la loro evoluzione nel tempo".
I dati dell'indagine indicano che la maggioranza degli intervistati, il 37,9%, è compresa tra i 40 ed i 49 anni di età e che gli uomini sono in larga maggioranza (73,6%). Minima la percentuale dei ricercatori impiegati nelle imprese (1,4%), bassa anche quella nel privato 'non profit' (3,9%) mentre è largamente prevalente il numero di coloro che lavorano nell'università (71,9%) e in Enti pubblici di ricerca (19,9%).
Per quanto riguarda la carriera "è interessante l'analisi del tempo intercorso tra il conseguimento della laurea e l'inizio di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che rispecchia le politiche di reclutamento", prosegue la ricercatrice, "circa un terzo degli uomini e quasi la metà delle donne hanno ottenuto un rapporto di lavoro stabile dopo più di cinque anni dal conseguimento del titolo; una percentuale considerevole però (il 18,5% degli uomini ed il 16,9% delle donne) ottiene un lavoro a tempo indeterminato meno di un anno dopo la laurea.
Questo sta a indicare che, con l'esclusione di un numero piuttosto limitato di casi fortunati, in Italia si assicura il rapporto di lavoro a tempo indeterminato alla larga maggioranza dei ricercatori eccellenti, solo dopo un periodo di selezione molto (e forse anche troppo) lungo. La situazione per i giovani è però preoccupante: la percentuale di precariato tra coloro che hanno meno di 39 anni, raggiunge il 22%".
I dati mostrano ancora una volta la notevole discriminazione di genere in ambiente scientifico: le donne in media debbono attendere molto più degli uomini per ottenere un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. "Con l'età", sottolinea Sveva Avveduto, "crescono gli impegni di tipo manageriale e anche in questo caso gli uomini dedicano un tempo decisamente più alto alle attività gestionali rispetto alle donne: ciò è probabilmente un altro sintomo di una collocazione delle donne in posizioni meno rilevanti".
Scarsa la mobilità intersettoriale in pratica circoscritta al solo passaggio da un'istituzione a un'altra del settore pubblico. Riguardo alla mobilità internazionale, invece, la percentuale di ricercatori che ha avuto esperienze di lavoro all'estero è rilevante (54,7%) anche se tra loro la percentuale delle donne è inferiore a quella degli uomini. Il 42% dei ricercatori sotto i 39 anni afferma che sta cercando lavoro all'estero.
Complessivamente i ricercatori si dichiarano abbastanza soddisfatti del loro lavoro, anche se lamentano l'esiguità dei salari e la scarso impegno complessivo per la ricerca da parte dei 'datori di lavoro'.
"In conclusione", afferma Avveduto, "dalla nostra indagine emerge che il profilo medio del ricercatore 'eccellente' italiano nelle scienze della vita opera nell'università o in un ente di ricerca pubblico, ha avuto esperienze di lavoro all'estero, ma è tornato in patria, si trova nella fascia di età compresa tra i 40 ed i 49 anni, contrariamente al luogo comune che vuole che i ricercatori più giovani siano i più produttivi. Per i più giovani però le prospettive di occupazione oggi invece di aumentare si riducono: una gran parte di loro, infatti, si rivolge a strutture straniere per trovare un lavoro adeguato alla loro alta qualificazione, impoverendo il Paese di preziosi cervelli".
Redazione (06/11/2008)
Pubblicato in Analisi e Commenti
Tag:
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