Appello dei ricercatori precari
Un appello alla società civile e alle istituzioni nazionali e locali
appello@ricercatoriprecari.org
La questione università è decisiva per il modello di società che vogliamo
Un appello alla società civile e alle istituzioni nazionali e locali
Il disegno di legge Moratti - per il cui ritiro immediato il mondo della università (ricercatori/docenti precari e non, studenti, sindacato, associazioni) si è mobilitato martedì 17 febbraio - è un colpo gravissimo all'intera società italiana, nel più generale contesto di distruzione dei beni collettivi. L'iniziativa contro l'Università pubblica si inserisce infatti in un programma politico caratterizzato da continui attacchi contro la scuola pubblica, la libertà di informazione, il patrimonio culturale collettivo e i servizi sociali essenziali.
Presentato come uno strumento innovatore, il DDL, attraverso la precarizzazione ulteriore del lavoro scientifico, mina alla base le condizioni di libertà, analisi critica e cooperazione necessarie alla produzione di saperi innovativi, rinsaldando le barriere sociali all'accesso ai saperi e precludendo lo sviluppo plurale della conoscenza.
Le sfide poste dalla società in trasformazione - il cui centro propulsivo dal punto di vista sociale ed economico è la conoscenza - non hanno trovato finora che risposte politiche puramente demagogiche, orientate da una visione miope, escludente, mercificata e gregaria della produzione di sapere, che connota sempre più in senso anti-scientifico la cultura politica dominante nel nostro paese, a danno di tutti.
Una visione miope, escludente, mercificata e gregaria perché:
- non riconosce che la libertà e l'autonomia della ricerca sono prerequisiti essenziali della capacità innovativa e della funzione culturale, sociale e civile della produzione/riproduzione dei saperi;
- sacrifica il principio fondamentale di una larga partecipazione sociale alla costruzione dei saperi, riservandola a pochi soggetti, al costo della negazione dei diritti sociali per molti altri;
- riduce il valore della conoscenza ad interessi di parte, collegando in modo sempre più stretto l'esistenza stessa di molti filoni di ricerca alla loro profittabilità a breve termine sui mercati, favorendo un processo illiberale e intollerabile di uniformazione dei saperi;
- tradisce il fondamento etico e civico moderno della libera circolazione dei saperi, attraverso l'estensione della logica dei brevetti e la privatizzazione della produzione scientifica.
Investire risorse per una società aperta, solidale, innovativa.
Non crediamo che l'Università e gli Enti pubblici della ricerca debbano costituire i soggetti esclusivi nei processi di produzione dei saperi.
Niente di più lontano dall'approccio che vogliamo promuovere. Riteniamo però che la ricerca pubblica - in condizioni di libertà ed autonomia da poteri economici e politici - debba essere un punto di riferimento centrale, costruendo quel terreno di incontro con saperi emergenti che, proprio per la crisi vissuta dall'Università italiana in questi anni, hanno qui trovato ben pochi spazi di dialogo. Solo con un'Università messa in grado, attraverso adeguati investimenti, di produrre sapere ed innovazione si instaurerebbe un circolo virtuoso del quale beneficerebbe l'intero tessuto sociale ed economico del paese.
In Italia il personale di ruolo nell'Università conta 58000 persone, i ricercatori precari sono 55000. Nel nostro paese la spesa statale per l'università è addirittura la metà di quella investita da Francia e Regno Unito e un terzo della spesa prevista in Germania. Su un numero di studenti iscritto all'università comparabile ci sono 115.000 insegnanti in Germania, 126.000 in Gran Bretagna, 77.000 in Francia e 50.000 in Italia; la spesa pro-capite per studente è di ?9.296 in Germania, intorno a ?7.000 in Francia e Inghilterra, ma solo di ?3.098 in Italia. Il numero di dottorandi ogni 1000 abitanti tra i 25 e i 35 anni è di 0,75 in Germania, non inferiore allo 0,63 in Inghilterra e in Francia: in Italia è appena di 0,17. Si aggiunga che l'età media di un ricercatore italiano (finora la prima figura di ruolo nell'università) è di 50/55 anni e la durata media del precariato è di 8 anni (dati MIUR).
Il disegno Moratti spaccia il precariato scientifico per flessibilità, un'operazione di distruzione e privatizzazione del patrimonio pubblico di sapere scientifico per modernizzazione. Pretende inoltre di far passare lo scadimento delle relazioni di lavoro e dei metodi di selezione del personale di ruolo, che da questa legge deriverebbe, come un'azione di scalzamento di logiche poco meritorie, che al contrario possono essere combattute solo attraverso un sistema di reclutamento trasparente, adeguatamente finanziato, dopo un periodo di formazione - di durata ragionevole e non indefinita come di fatto è già oggi - in cui siano garantiti i fondamentali diritti sociali.
La Rete nazionale dei ricercatori precari chiede quindi al Governo nazionale di investire sulla ricerca pubblica seriamente abbandonando queste posizioni, ritirando subito il DDL Moratti, e aprendo un confronto serio ed organico su questo versante, allargato a tutte le componenti del mondo della ricerca. Per raggiungere questo obiettivo facciamo appello a tutta la società civile italiana e alle Istituzioni.
Fonte: (09/03/2004)
Pubblicato in Analisi e Commenti
Tag:
ricercatori
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