L’Europa ha bisogno di 700 mila ricercatori
E’ l’obiettivo fissato per poter competere con gli altri paesi hi-tech: occorre investire il 3% del
Un obiettivo ambizioso: portare il finanziamento della ricerca dall'1,9 per cento al 3 per cento del prodotto interno lordo per poter arrivare al 2010 con settecento mila nuovi ricercatori. E’ l’obiettivo fissato dall’Unione Europea a Barcellona nel marzo 2002. Un traguardo che ora sembra però irraggiungibile. «L'Europa rischia di vedere diminuire il numero degli scienziati in modo molto sensibile». L'allarme arriva da un gruppo di esperti ad alto livello, costituito lo scorso anno dal commissario Ue alla Ricerca, Philippe Busquin, che ha consultato circa trecento importanti istituzioni scientifiche europee e i ministri competenti degli Stati membri, dei paesi in via di adesione e dei paesi candidati per valutare l'efficacia delle rispettive politiche nazionali. Il quadro che emerge è deludente. Il tasso di crescita annuale del numero di scienziati a livello europeo si ferma al 2,1 per cento. Una percentuale considerata troppo bassa, spiegano gli esperti, per raggiungere lo sviluppo di altre aree del mondo. Nel periodo dal 1998 al 2001, ad esempio, in paesi come la Germania e l'Olanda si è verificata una diminuzione dei laureati in ingegneria e in scienza, materia quest'ultima in cui il calo ha interessato anche l'Italia. Una situazione che preoccupa Bruxelles che sta ora valutando la possibilità di lanciare una vasta campagna di sensibilizzazione nel corso del 2005. Il gruppo degli esperti (tra cui John Ziman, professore emerito di fisica all'Università di Bristol, e Paul Caro, ex direttore della ricerca presso il CNRS, istituto che analogo al Consiglio nazionale delle Ricerche italiano), sottolinea che i governi non sostengono a sufficienza il settore pubblico europeo, caratterizzato da scarse risorse, retribuzioni insufficienti e mancanza di prospettive di carriera.
Di qui l'appello di Busquin agli Stati membri: correre ai ripari e assolutamente puntare ad aumentare l'impegno per sostenere e concorrere allo sviluppo della ricerca, nonostante sia il settore privato attualmente il principale datore di lavoro del personale scientifico. Anche perchè il confronto con altre aree del mondo, in particolare con gli Stati Uniti, mettono in evidenza una pericolosa distanza dell’Europa: il settore privato americano ha messo a disposizione della ricerca cento miliardi di euro in più rispetto a quanto destinato dai Paesi dell'Unione. «L'eccellenza in materia scientifica e tecnologica è essenziale per garantire il futuro dell'Europa - ha affermato il commissario europeo responsabile della ricerca - L'Europa non solo deve mantenere e attirare gli scienziati di alto livello, ma anche incoraggiare i giovani a diventare la prossima generazione di innovatori e inventori». Ma con quali ricette? È indispensabile, dicono gli esperti, porre rimedio alle disparità esistenti in Europa nella formazione alla ricerca, nei metodi di assunzione, carriere e retribuzione dei ricercatori. Altrimenti il rischio è la fuga di cervelli perché la mancanza di un vero e proprio mercato del lavoro per i ricercatori europei fa sì che i giovani non siano particolarmente attratti da una carriera nel settore. Tra l’altro, come ha constatato il gruppo di esperti, le stesse imprese «high-tech» sono in piena mutazione. Sono ormai finiti i tempi dei laboratori aziendali di ricerca centralizzati, situati geograficamente in prossimità della sede centrale. Le imprese tendono a insediarsi dove si concentrano le migliori risorse umane (è il caso, ad esempio dell’India, con le sue nuove eccellenze scientifiche e tecnologiche, capaci di attrarre nuove imprese in campo informatico). «I paesi in cui esiste una manodopera altamente qualificata possiedono un indiscutibile vantaggio. I responsabili politici devono quindi sostenere lo sviluppo delle competenze a livello nazionale», insistono gli esperti dell’Ue, esortando università e imprese a stringere nuovi accordi per promuovere le carriere. In particolare che, prima di intraprendere gli studi universitari, gli studenti possano essere sensibilizzati alla possibilità di orientare i loro studi verso discipline scientifiche. Una raccomandazione precisa anche alle scuole di ogni ordine e grado: rimediare a un insegnamento delle scienze spesso scisso da qualsiasi riferimento alla vita quotidiana e alla vita professionale. Anche perchè i «piccoli scienziati» possono crescere a beneficio degli auspicati futuri traguardi europei. C’è comunque un dato europeo significativo: la presenza di studentesse nelle facoltà scientifiche e tecniche è in continuo aumento. Anche se poi risulta che le donne impegnate nei settori legati alla ricerca scientifica ancora oggi ricevono stipendi inferiori rispetto a quelli dei colleghi uomini e sono, più spesso degli uomini, assunti con contratti a durata determinata. E sono pochi i nomi femminili che si ritrovano in posti di alta responsabilità. Anche questo appare come un ulteriore ostacolo a un’Europa con più scienziati.
Fonte: (07/05/2004)
Pubblicato in Analisi e Commenti
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ricercator
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