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21.10.2003
Il ruolo dell'RNA nelle malattie da prioni L'acido nucleico dell'ospite sarebbe in parte responsabile delle infezioni
Alcuni ricercatori della Dartmouth Medical School hanno scoperto che l'RNA svolge un ruolo chiave nel convertire un normale proteina in un prione mutante, ovvero in una proteina che può condurre al morbo della mucca pazza o ad altre letali malattie del cervello. Lo studio, condotto dal biochimico Surachai Supattapone e pubblicato sul numero del 16 ottobre della rivista "Nature", fornisce importanti indizi per comprendere il ruolo dei prioni, la cui capacità di trasmettere le malattie sfugge ancora a medici e scienziati, e apre nuove strade per la diagnosi e la cura di un gran numero di disturbi neurodegenerativi. I prioni sono privi di RNA o DNA, gli acidi nucleici che contengono le informazioni genetiche da replicare. Nessuno sa cosa inneschi la conversione di un prione normale in una proteina che provoca la malattia. Supattapone, con i colleghi Nathan Deleault e Ralf Lucassen, ha scoperto che l'RNA potrebbe essere un catalizzatore della trasformazione. "Sappiamo bene che gli acidi nucleici, compreso l'RNA, non fanno parte dell'agente infettivo, - afferma Supattapone - dunque sarebbe ironico se proprio l'RNA fosse il catalizzatore della reazione". Gli acidi nucleici, ovviamente, si trovano nell'ospite e non nella proteina che provoca la malattia. I ricercatori hanno scoperto che per trasformare prioni normali (PrPC) in proteine anormali (PrPSc, o scrapie) sono necessarie specifiche molecole di RNA. La trasformazione è stata osservata in provetta, e i metodi biochimici hanno permesso agli scienziati di individuare il meccanismo di conversione cellulare.
Le Scienze.it

25/03/2003
Il neuropatologo Adriano Aguzzi e colleghi dell’Università di Zurigo, in Svizzera, volevano studiare nei topi il modo in cui queste proteine si convertono in prioni. Per far questo, hanno alterato il gene che produce la PrP, costringendolo a generare una nuova proteina fusa insieme a un anticorpo umano, in modo di renderla più facilmente rintracciabile.
I ricercatori si sono stupiti nel vedere che i topi modificati geneticamente non si ammalavano né morivano rapidamente come era lecito attendersi. Studiando il cervello degli animali, il gruppo non ha osservato tracce di prioni.
“Questo studio - ha commentato il biologo molecolare Mick Tuite dell’Università di Kent, in Gran Bretagna - può fornire un modello per comprendere meglio lo sviluppo dei prioni. Non è chiaro quale porzione dell’anticorpo tiene a bada l’infezione delle PrP. Ma anche se questa tecnica non sarà utilizzabile come terapia, può aiutare a capire meglio la malattia”.
P. Meier et. al. Soluble dimeric prion protein binds PrPSc in vivo and antagonizes prion disease. Cell, 113, 49-60, (2003).

20/07/2002
Sulla rivista "The Lancet", alcuni ricercatori della Ludwig-Maximilians Universität di Monaco di Baviera hanno descritto una cura che permette di allungare la vita di topi con una malattia da prioni. Questi risultati potrebbero suggerire un nuovo metodo per trattare il morbo di Creutzfeldt-Jakob (CJD), che colpisce gli esseri umani.
La mancanza di una risposta immunitaria contro i prioni, responsabili del morbo della mucca pazza nei bovini e del CJD negli esseri umani, potrebbe dipendere dal fatto che questi agenti non contengono acidi nucleici.
Hans Kretzschmar ha quindi tentato di usare del materiale genetico (uno specifico tipo di organizzazione dei nucleotidi chiamato oligodeossinucleotidi CpG) come forma di cura per l'infezione da prioni nei topi. In passato è già stato dimostrato che questi nucleotidi stimolano la risposta immunitaria. I ricercatori hanno inoculato 24 topi sani con liquido estratto dal cervello di altri affetti da una malattia da prioni e in seguito vi hanno iniettato i oligodeossinucleotidi CpG. Questa procedura ha avuto l'effetto di allungare del 38 per cento la vita media dei topi, rispetto a un gruppo di controllo che ha ricevuto una soluzione salina. Sopravvivenze ancora più lunghe si sono ottenute con somministrazioni di nucleotidi ripetute.
“La spiegazione più probabile - spiega Kretzshmar - è la stimolazione delle cellule del sistema immunitario, come i macrofagi, i monociti e le cellule dendritiche, produttrici di TLR9. I oligodeossinucleotidi CpG non hanno mostrato effetti dannosi per la salute degli esseri umani e potrebbero essere considerati come una possibilità terapeutica per l'infezione da prioni.”

04/04/2001
Due laboratori hanno scoperto separatamente che un particolare processo del sistema immunitario aiuta i prioni a causare l'encefalopatia spongiforme bovina (BSE), l'ormai famosissima malattia della mucca pazza. Interrompendo questo processo grazie al veleno del cobra, i ricercatori hanno riferito in un articolo pubblicato su «Nature» di essere riusciti a rallentare e, a volte, a bloccare la malattia nei topi. L'osservazione potrebbe portare a una cura per il morbo di Creutzfeldt-Jakob, l'equivalente umano della BSE.
L'infezione dei prioni generalmente inizia quando la vittima ingerisce tessuti provenienti da un animale infetto. Con il tempo, i prioni deformati tipici della malattia si accumulano nel cervello, provocando la morte. Prima di arrivare nel cervello, però, i prioni devono replicarsi, un processo che avviene di solito nelle cellule dendritiche follicolari della milza. Queste cellule hanno normalmente il compito di raccogliere le molecole estranee selezionate ed etichettate per la distruzione dal sistema immunitario. Un'etichetta possibile consiste in una proteina del sangue, il complemento, e se questa proteina è necessaria ai prioni per invadere le cellule della milza, bloccarla potrebbe bloccare anche l'infezione.
Adriano Aguzzi e i suoi colleghi dell'Università di Zurigo, insieme ad altri ricercatori dell'Università di Edimburgo, hanno provato a sopprimere il sistema immunitario dei topi in vari modi, prima di iniettarvi i prioni della malattia. Si è visto così che alcuni topi modificati geneticamente per non produrre certi componenti della proteina complemento non hanno sviluppato la malattia, o l'hanno sviluppata in tempi molto più lunghi del normale.
Il gruppo di Edimburgo ha provato poi a sopprimere il complemento anche con una tossina prelevata dal veleno del cobra. Cinque giorni di somministrazione del veleno sono stati sufficienti per ritardare l'insorgere della malattia di un mese, che nei topi è un risultato significativo. Si è visto anche che una dose massiccia di prioni riesce però a superare questo sbarramento, dimostrando che probabilmente essi hanno vari canali possibili per raggiungere il cervello. La ricerca (pubblicata su «Nature Medicine», vol. 7, pp. 485 e 488) potrebbe comunque portare a sviluppare farmaci utili almeno per rallentare la prima parte dell'infezione, anche se i ricercatori suggeriscono prudenza, perché è possibile che nell'uomo i canali di invasione siano molto diversi.


 
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