(as Gene Myers suggested be really good computationalist, and even he says that computer scientists should learn science, too. And of course statistics! We all need to know statistics.)
Una questione non nuova, e che spesso si ripropone in varie forme, è quella che mette ai due angoli del ring le diverse anime del bioinformatico. Ovvero, quale formazione sia più appropriata per un bioinformatico; quali conoscienze debbono essere prominenti per facilitarne il lavoro scientifico.
Basta un input, per far rimbalzare per tutta la blogsfera focalizzata sulla bioinformatica, una serie di commenti e prese di posizioni, IMHO poco meditate.
Un articolo proposto da BioInform , qualche tempo fa, da fuoco alle polveri. Per citare Lincoln Stein:
I hope to see bioinformatics becoming a tool like molecular biology that everybody uses, and that the software we’re developing now will become as easy and as standard to use as a pipettor. You don’t read for the guy who knows how to run pipettors when you need to pipette something.You reach for the pipettor yourself….
Non sono poche le persone, anche di un certo calibro, a pensarla così. Per chi volesse leggere qualche commento, posso consigliare di spendere cinque minuti intorno il blog BBGM . Vi riporto qui sotto un paio di esclamazioni per tutte che mi ha fatto sorridere per la loro ingenuità :
It’s always been my opinion that if we treat bioinformatics as just another tool in the hands of a scientist, the field will always benefit from it.
[...] I get asked often about the type of bioinformatics training that students should get and whether it should be a special course or not. […] And I answer that I think teaching bioinformatics in the absence of biology is like teaching Microsoft Word in the absence of writing! So I was happy, to discover, that I’m not the only one who thinks this way.
Mi piacerebbe fare un po’ di chiarezza a riguardo. Inanzitutto, vorrei dire che trovo la questione un falso problema. Personalmente reputo che non esistano solo i due estremi bianco e nero: il biologo puro, tutto wet, e l’informatico, tutto keyboard oriented, come stati quantici ottimali su cio porsi. Esistono tutta una serie di toni di grigio in cui si dovrebbe ragionevolmente collocare il bioinformatico, dipendentemente dalle necessità , dalle collaborazioni che intraprende, il settore in cui si specializza e la propria naturale inclinazione.
La bioinformatica ha una origine biologica! E’ nata per trattare dati biologici, naturalmente, ma da questo suo terreno di coltura si è evoluta in qualcosa di più. E’ una scienza multi-disciplinare. E per sua stessa natura suppone che il bioinformatico ottimale sia colui che si trova ugualmente a conforto con biologia, computazione e statistica. Non credo che ci sia qualcuno che, cosciente delle dimensioni titaniche dei tre settori appena citati, possa onestamente pensare di padroneggiarli tutti pienamente.
E’ certamente vero che una certa percentuale dei task bioinformatici che vengono richiesti, potrebbero essere sviluppati con poca fatica da biologi con una competenza base di programmazione (“mi serve calcolare quanti peptidi in nr iniziano con la lisina, per favoreâ€). Ma è ugualmente vero che una ugualmente elevata percentuale delle attività di un bioinformatico comporta un’alta specializzazione. Vi è anche da considerare la crescita del numero dei servizi che sono presenti on-line e che spesso non sono di immediato utilizzo. Conoscerli e saperli integrare con le proprie necessità richiede tempo e impegno. Inoltre, il prodotto bioinformatico deve essere caratterizzato da una sempre più alta qualità in fase di rilascio nella comunità scientifica. Questo comporta esperienza nello sviluppo di software complessi, capacità di gestire e debaggare server bioinformatici. Come saremmo arrivati altrimenti alla versione 162 del genome browser? Viceversa, un bioinformatico con un’ampio backgroud di biologia potrà porsi dinanzi alle domande biologico-chimiche con maggior facilità , sapere quali dati andare ad approfondire, e potrà programmare in autonomia gli esperimenti.
Non credo sia corretto considerare la bioinformatica solo come uno scalpello da usare per scavare più a fondo. Come tutte le scienze complesse, essa necessita tutta una serie di figure di grande professionalità , ma in settori distinti, e che sappiano integrarsi e collaborare.
Diciamo la verità : un biologo per fare il bioinformatico deve conoscere, oltre la programmazione, anche una buona dose di matematica. Poi ci si sorprende che la metà dei programmi hanno performance orribili perché non sono stati in grado di fare un algoritmo serio.
Diciamo anche che un informatico da solo fa ben poco. Certe euristiche te le sogni se non hai studiato biologia!
Aggiungiamo che nessuno dei due può conoscere tutto (almeno per i normodotati), concludiamo che l’unica via d’uscita è il lavoro di squadra senza presunzioni di uno o dell’altro di avere in mano la verità (metodologica e ontologica).
[...] da una mente all’altra (sarà telepatia) vi rimando per il mio punto di vista al blog che avevo scritto all’inizio di luglio su Inside [...]