Uno sguardo ai meccanismi della mente

Inside Neuroscience

14 settembre 2008 - 3:50 pm

Quando il Cervello Decide il Suicidio (II Parte): Se si trattasse di un insolito thriller…

Preambolo

Allora, rieccoci qui dopo le tanto meritate vacanze. Ringrazio tutti quelli che hanno contribuito con commenti, domande e quant’altro al primo capitolo di questa serie, spero che ce ne siano sempre di più, comprese critiche e puntualizzazioni; accetto persino complimenti.

Nel capitolo precedente abbiamo visto un po’ in generale alcune caratteristiche dell’ictus ed abbiamo introdotto il concetto del calcio come strumento di informazione e distruzione cellulare. Ora, in questo capitolo ci concentreremo maggiormente sulla morte neuronale, trattando il tutto come il più classico dei gialli dove le vittime sono i neuroni, la scena del crimine è il cervello dopo l’ictus e dovremo cercare l’assassino capitolo dopo capitolo, strato dopo strato, mettendo sul banco degli imputati diversi “personaggi ambigui” in cerca del vero colpevole. Di volta in volta saranno presentati nuovi personaggi con nuove “verità” e quindi nuove “teorie”. Ovviamente non mancheranno i colpi di scena come nel più classico dei thriller da leggere la sera a letto prima di dormire.

Data l’importanza dei rudimenti medici che stiamo trattando e dell’interesse mostrato in alcuni commenti ho deciso di aggiungere un piccolo paragrafo di chiarimenti e risposte ai commenti nel post precedente. Per chi si annoia a leggere le osservazioni fatte o per chi sa già questi concetti consiglio di saltare il prossimo paragrafo e passare direttamente al paragrafo sulla morte cellulare che spero sia per loro più interessante.

Il Calcio presente nel nostro organismo

Il calcio (simbolo: Ca2+) in una persona di sesso maschile magro rappresenta circa l’1,5% del peso corporeo, per una persona di 70 kg ce n’è circa 1 kg. Sicuramente è lo ione più abbondante del nostro organismo, seguito dal potassio (simbolo: K+) con soli 240 grammi e poi dal sodio (simbolo: Na+) con 100 grammi. Il 99% del calcio del nostro organismo è presente  nelle ossa e nei denti, lo 0,5% è conservato avidamente in particolari compartimenti subcellulari come il reticolo endoplasmatico, insieme a proteine chelanti e mitocondri, come già descritto da Massi-Demish. Solo lo 0,3-0,4% del peso corporeo, circa 0,21 grammi, corrisponde al calcio che è libero di circolare nel nostro organismo e che partecipa a quei meccanismi di cui abbiamo parlato nel post precedente. Per dare un’idea, basti pensare che una mozzarella da 100 grammi contiene 0,4 grammi di calcio, ovvero una quantità doppia rispetto a tutto il calcio libero che è presente nel nostro organismo. Cosa succede se si assume una quantità di calcio superiore alle necessità dell’organismo? quasi sempre alcune cellule specializzate lo depositato nelle ossa oppure lo elimina attraverso le urine. Nei rari casi in cui c’è una carenza di calcio dalla dieta, invece, altre cellule specializzate corrodono meno di un millimetro cubo di ossa (quasi niente) per avere mesi di autonomia da calcio allo stato libero utile per i neuroni e tutte le altre funzioni cellulari descritte. Le nostre ossa sono infatti continuamente corrose e rimodellate in funzione del nostro lavoro fisico, delle trazioni, dai livelli ormonali e tante altre cose, di conseguenza l’organismo può sempre bilanciare l’eccesso o la carenza di calcio libero nei nostri fluidi corporei depositandolo o prelevandolo dalle ossa. Da questo si deduce che la quantità di calcio assunto per via orale di per sé non ha alcuna interferenza sulla quantità di calcio libero nel nostro organismo e di conseguenza non ha alcun effetto neanche sul danno ischemico.

Anche se si considerano i rari casi in cui delle persone, per qualche motivo, hanno una dieta cronica quasi del tutto priva di calcio e che quindi necessitano una integrazione, i livello di calcio libero sono più o meno simili alla media standard. A questi pazienti, però, può essere consigliato l’assunzione di pillole contenenti calcio oppure assumere qualche bicchiere di latte, pezzi di formaggio, carne, acqua del rubinetto per poter ripristinare le riserve di calcio nelle ossa ed evitare spiacevoli facili fratture.

C’è da dire anche che esistono, con una maggiore frequenza, delle persone che hanno carenze di calcio perché non lo riescono ad assumere dal cibo o lo elimina troppo velocemente, come nel caso dell’osteoporosi da menopausa. In questi casi si prescrivono farmaci composti da ormoni che predispongono l’organismo ad accumulare calcio nelle ossa anziché eliminarlo, senza la necessità di variare in alcun modo la dieta. Proprio questi ormoni influiscono sull’ischemia cerebrale, ma per meccanismi che non hanno nulla a che fare con la quantità di calcio ingerito, se volete posso aggiungere un capitolo apposito per questo curioso argomento.

Come può morire una cellula?

Allora, ora prendiamoci una pausa ed immaginiamo per un attimo di trovarci in un insolito thriller e di essere chiamati nel cuore della notte per investigare su un misterioso assassinio di massa. Una volta arrivati sulla scena del delitto, ovvero il cervello ischemico, ci ritroveremmo sicuramente ad analizzare come si presentano le vittime neuronali. Però c’è un problema, anche se fino ad ora abbiamo parlato intuitivamente di morte cellulare, non sappiamo ancora come può morire una cellula e di conseguenza come può presentarsi agli occhi di una insolita polizia scientifica molecolare. Questo è un punto fondamentale poiché ci aiuta a capire meglio la filosofia e la strada che stiamo percorrendo.

Attualmente si classifica la morte cellulare in due tipologie principali:

  • Necrosi: generalmente è il risultato di un acuto stress o trauma che porta alla rottura della membrana cellulare con perdita del materiale biologico in esso contenuto. In questo caso la cellula si presenta in maniera inconsistente e quasi irriconoscibile poiché tutti gli organelli di cui è composta si disperdono nella soluzione in cui è immersa la cellula morta, rendendo spesso i resti irriconoscibili.
  • Apoptosi: si tratta di un processo di morte molto ordinato in cui è la stessa cellula a decidere come e quando morire, e lo fa in modo tale da non dare alcuna tossicità alle cellule circostanti. La cellula si presenta come piccole vescicole ricoperte di membrana e con dei segnali sulla membrana cellulare (epitopi) che indicano “qui c’è materiale riciclabile”.

La necrosi, quindi, è insieme di morti cellulari “accidentali” senza avere un comune denominatore se non la rottura irreversibile della membrana che avvolge le cellule e di conseguenza la dispersione del materiale in esso contenuto. Proprio la perdita di materiale ed il disordine caratteristico di questo tipo di morte può causare infiammazione o tossicità alle cellule circostanti. Sicuramente la necrosi non è un fenomeno che l’organismo e le cellule stesse apprezzano o considerano come destino. L’apoptosi invece è una forma di morte cellulare molto precisa, portata avanti in modo ordinato e regolato, che dà un vantaggio alla popolazione cellulare circostante durante il ciclo vitale dell’organismo. Si tratta in realtà di un vero e proprio “suicidio cellulare” che necessita di tante proteine dedicate che svolgono un complesso e delicato meccanismo a tappe con un preciso schema prestabilito e con consumo di energia. In condizioni normali, l’apoptosi avviene continuamente perché contribuisce al mantenimento del numero di cellule di un sistema; avviene ad esempio in un seno che si ritira dopo la fase di allattamento dove ci sono migliaia di cellule che si “sacrificano” perché sono di troppo o non più necessarie, lo stesso vale per l’utero dopo una gravidanza etc. Ovviamente la mancata regolazione dell’apoptosi può causare disordini da perdita di cellule, caratteristica di molte patologie neurodegenerative, oppure una crescita cellulare incontrollata che è alla base delle neoplasie (tumori).

L’apoptosi, a differenza della necrosi, non causa infiammazione e la morte delle cellule mediante questo processo provoca la formazione di vescicole con un contenuto prestabilito di sostanze che possono essere riciclate da cellule specializzate. Dato che non c’è la rottura della membrana cellulare e che tutte le cellule del nostro organismo conoscono questo processo, l’apoptosi è un processo silenzioso che non fa danno.

L’infarto cerebrale: La scena del crimine

Seguendo la storia sulla falsa riga del “giallo”, la prima domanda è come sono morte le cellule? Hanno eseguito un suicidio di massa (apoptosi) oppure sono morte per trauma (necrosi)?

I ricercatori con un po’ di esperienza sanno bene che un fenomeno di morte in massa è attribuibile solamente alla necrosi, l’apoptosi, infatti, è un fenomeno prevalentemente sporadico, ciò vuol dire che l’apoptosi in natura colpisce poche cellule alla volta e la loro scomparsa è quasi sempre impercettibile, mentre la necrosi è una morte cellulare a cascata, ogni cellula muore poiché si trova vicino una cellula in decomposizione ed è tipico della gangrena, dove si deve amputare un arto per frenare la morte a cascata che potrebbe propagarsi sul corpo del paziente e causarne la morte.

Possiamo essere sicuri che si tratti di necrosi?

Non esistono saggi specifici per la necrosi, ma per esserne sicuri potremmo usare sul cervello ischemico un anticorpo che riconosca selettivamente dei cartelli che indicano “qui c’è materiale apoptotico riciclabile” (epitopo). Se lo facessimo il risultato sarebbe deludente, il segnale apoptotico è molto scarso, l’apoptosi è avvenuta solamente su una piccola percentuale di cellule. E poi basta guardare come si presenta il materiale ischemico; si tratta di una zona amorfa in cui non è possibile riconoscere strutture macroscopiche e microscopiche, tranne alcune cellule resistenti che sopravvivono, e questo ci indica inevitabilmente che si tratta di una massa in necrosi… omicidio quindi.

Se si fosse trattato di una apoptosi di massa?

Se si fosse trattato di apoptosi (suicidio) ci saremmo aspettati qualche cellula qua e là morta con le classiche vescicolette, epitopo dell’apoptosi, assenza di infiammazione e sarebbe stato difficile identificarlo poiché silente.

Le cellule del nostro cervello

homer cervelloL’investigazione quindi è tutta in salita, non possiamo trarre molte informazioni dal ritrovamento delle vittime se non che siano state uccise da un evento molto traumatico avvenuto diverse ore dopo il ristabilirsi delle condizioni ottimali di circolazione sanguigna (vedi post precedente).

Passiamo quindi alla raccolta delle informazioni sulle vittime nella loro vita quotidiana per poi passare alle indagini vere e proprie sull’assassino. Le vittime di questa storia sono ovviamente le cellule che partecipano alla struttura e funzione del cervello e non stiamo parlando solamente di neuroni. Il cervello, infatti, è costituito da centinaia di tipologie cellulari con ruoli distinti e diversamente collegati a tutte le altre cellule circostanti. Nel cervello abbiamo i neuroni che generano i nostri pensieri, che stimolano i muscoli a contrarsi e che generano anche ormoni che modificano il nostro stato fisico e psitico; poi abbiamo le cellule gliali, una famiglia di cellule nutrici per i neuroni che coccolano, proteggono, danno da mangiare e sostengono le cellule neuronali nel loro faticoso ruolo.

Le cellule gliali: Profilo di una serie di badanti ideali

Le cellule gliali sono suddivise in centinaia di ruoli distinti, dai più elementari ai più complessi, e sono anche le uniche cellule del cervello in grado di riprodursi, contrariamente ai neuroni. Proprio questa caratteristica è la prima distinzione tra le due popolazioni, mentre le cellule gliali possono moltiplicarsi e quindi invadere le zone morte in seguito ad un trauma, i neuroni possono solo diminuire il loro numero durante la nostra vita e mai aumentare. Pensate che il numero di cellule della glia in un cervello umano normale supera di nove volte quello dei neuroni, e proprio da questo è nato il falso mito che noi utilizziamo solamente il 10% del nostro cervello per pensare.

Alcune cellule della glia agiscono principalmente da supporto ai neuroni, altre regolano l’ambiente interno del cervello in particolare i fluidi che circondano i neuroni e le loro sinapsi provvedendo quindi al nutrimento delle cellule nervose. Alcuni tipi di cellule della glia producono molecole in grado di influenzare la crescita degli assoni. Altre funzioni sono state scoperte solo recentemente come la possibilità di comunicare con altre cellule.

La principale suddivisione della glia del cervello prevede due categorie principali:

Microglia: cellule specializzate nel mangiare e riciclare i rifiuti, come le cellule apoptotiche e gli agenti che disturbano la quiete del cervello. In genere si spostano all’interno del nostro cervello per rimuovere i corpi apoptotici e per controllare che tutto funzioni bene. In condizioni fisiologiche la microglia è presente solo in piccolo numero ma si moltiplicano in caso di danni neuronali.

Macroglia: una serie di cellule diverse, tra cui astrociti, oligodendrociti, cellule ependimali, glia radiale. I ruoli sono i più diversi tra loro e tutti hanno il comune denominatore di aiutare i neuroni a vivere in un ambiente ideale.

Bhé sicuramente se stiamo cercando un assassino non si troverà tra le vittime, tantomeno nella glia deputata a coccolare e proteggere i neuroni.

Neuroni: profilo di una vittima ideale

Anche i neuroni sono suddivisi in centinaia di sottotipi cellulari, ognuna con funzioni diverse e specifiche, ma tutti i neuroni hanno caratteristiche molto simili tra loro, tanto che possiamo accomunarli tutti in una sola descrizione generale.

I neuroni sono delle vittime ideali, poiché a differenza di tutte le cellule delle nostro organismo non si replicano mai, necessitano di molte cure e basta poco per ucciderle. Tutte le cellule del nostro organismo, infatti, possiedono delle riserve energetiche che sono utili in caso di prolungata assenza di nutrimenti, alcune cellule possono anche adattarsi a metabolizzare sostanze di diversa natura per sopravvivere ed altre ancora si adattano anche alla scarsa presenza di ossigeno. Purtroppo i neuroni fanno eccezione, non hanno riserve energetiche e si nutrono solamente di zucchero raffinato. Quel che è peggio è che non sanno adattarsi diversamente e che basta anche una carenza di ossigeno, sangue o alcune stimolazioni per innescarne la morte.

La vita di un neurone, inoltre, non è per niente facile, la sua membrana plasmatica è simile ad una batteria con una differenza di potenziale, espressa in milliVolt, che cambia in funzione dello stato cellulare, canali che fanno entrare ed uscire ioni modificando continuamente lo stato d’ordine cellulare mentre una serie di pompe ioniche cercano continuamente di ripristinare l’ordine con una certa fatica.

Tutti i neuroni sono poi interconnessi tra loro con una fitta rete di cavi elettrici (assoni e dendriti) che propagano o captano variazioni delle differenze di potenziale di membrana che viaggiano lungo un neurone, tra un neurone e l’altro e da un lato del cervello ad un altro.

Questi processi sono continui anche durante il sonno, durante la vita intrauterina e nel coma.

Se ne deduce che ognuno dei circa 100 miliardi di neuroni che abbiamo alla nascita è continuamente sull’orlo di un baratro con attività che lo spingono a fare cose eccezionali in frazioni di secondo, e tantissime proteine che devono continuamente ripristinare lo stato d’ordine in altrettanti frazioni di secondo con un poderoso dispendio di energia. Pensate che circa il 20% dell’energia che mangiamo, e che serve per farci stare in uno stato “normale”, serve semplicemente per far funzionare il cervello che rappresenta solo il 2% del peso corporeo; un’altra buona quota serve per mantenere ordine nel resto dell’organismo 98% del peso corporeo e solo una frazione piccola è necessaria per l’attività fisica che facciamo.

Conclusioni

In questo lunghissimo post abbiamo introdotto meglio alcuni concetti fondamentali che ci serviranno nei prossimi capitoli dove, se vorrete, cercheremo di prendere in considerazione alcune teorie su cosa sia avvenuto negli ultimi istanti di vita delle vittime, chi era presente al momento della morte, al momento del ritrovamento e soprattutto chi sia stato l’esecutore materiale di questo misterioso delitto, da dove proviene e come potremmo impedire che questo accada.

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  • Markus - 17 settembre 2008 # 1

    ah ah, mi è piaciuta molto l’immagine della radiografia di Homer Simpson.

    Leggendo questo testo mi è venuta in mente una domanda
    Possibile che le scariche elettriche di cui parli siano simili a quelle dell’epilessia e siano queste a causare la morte delle cellule? Cosa si sa su queste scariche? Sono stati mai utilizzati i farmaci delle epilessie in caso di ictus?

    Davvero complimenti, l’idea dell’investigatore molecolare mi è piaciuta molto, vorrei farlo anche io, magari come neurologo… a quando la prossima puntata?

    Markus

  • Neuroscience - 18 settembre 2008 # 2

    La generazione, la propagazione e gli effetti che danno le scariche epilettiche sono per molti aspetti profondamente diversi da quelle che avvengono nell’ischemia, anche se ci sono dei punti in comune.
    Per pura curiosità ti posso dire che, anche se non so bene l’azione di tutti i farmaci antiepilettici specifici, so che i barbiturici, le benzodiazepine e similari, limitano l’estensione del danno ischemico. Volevo aggiungere qualche informazione del genere in uno dei prossimi capitoli, ma forse è un argomento troppo barboso per essere trattato in un blog per “non addetti al lavoro”.

    Neuroscience

  • lucia - 20 settembre 2008 # 3

    Complimenti è una bell idea!!Lo trovo molto chiaro e semplice da capire visto che sono solo una studentessa alle prime armi!
    aspetto la prossima puntata!
    baci

  • laura - 27 settembre 2008 # 4

    Ogni quanto tempo sono pubblicati questi capitoli e quanti ce ne saranno?
    Vorrei sapere se è la mancanza di ossigeno a causare l’ischemia oppure è la carenza di sangue
    vi ringrazio

    p.s.: trovo carina l’idea dell’investigatore molecolare per insegnare alcune cose difficili come questa in modo semplice

  • Neuroscience - 29 settembre 2008 # 5

    Sinceramente non so quando pubblicherò il terzo capitolo, probabilmente quando sarò un po’ più libero dagli impegni vari.

    Ti ringrazio per lo spunto che mi hai dato, magari in uno dei prossimi capitoli ci occuperemo anche di questo argomento.

    ciao

  • gioby - 19 ottobre 2008 # 6

    Complimenti!!

    Ottimo articolo, scritto in un ottimo italiano e piacevole da leggere.
    L’unica cosa, mi dispiace per i poveri neuroni, che sono così indifesi e costretti a stare sempre in guardia nei confronti di tutti… :)

  • sabrina - 10 novembre 2008 # 7

    eccellente, intanto grazie per la spiegazione attendo il seguito.

  • Marcello Zanna - 10 dicembre 2008 # 8

    molto ben ardhitettato questo giallo a puntate. Una domanda che forse esula dal contesto: Nella SLA (sclerosi laterale amiotrofica) i motoneuroni sono vittime di necrosi o di apoptosi?

    Grazie per la risposta

    Marcello

  • Neuroscience - 17 dicembre 2008 # 9

    @Marcello
    Bhé, questa è una domanda non da poco. Se riuscissi a scoprirlo meriterei sicuramente una menzione d’onore.
    La parola amiotrofica significa di per sé diminuzione della trofia dei muscoli, causata dall’indebolimento della neurotrasmissione.
    Tutt’oggi però non si sa niente di questa patologia e tantomeno esistono dei test clinici in grado di determinare questa patologia. La diagnosi si fa per esclusione per tutte le altre patologie che hanno sintomi simili.

    Ci sono delle teorie contrastanti, alcuni pensano possa trattarsi di una malattia autoimmunitaria, quindi necrosi dei motoneuroni. Teoria contrastata dal fatto che il metotrexato non diminuisce la progressione della malattia e soprattutto non ci sono anticorpi circolanti.

    Altri pensano che ci sia un virus non ancora identificato che possa scaturire in persone predisposte questa patologia. Questa teoria si aggancia con la teoria della malattia autoimmune ma aggiunge una insufficienza della risposta immunitaria, quindi è un po’ più solida. Da questa potrebbe verificarsi un’apoptosi per interruzione di alcune comunicazioni tra i neuroni. La teoria tutt’ora è forte ma mancano tutte le prove

    La teoria genetica + ambientale (multifattoriale) è la prevalente al momento ed indica una errata comunicazione tra i neuroni, il che porterebbe ancora una volta la teoria in favore dell’apoptosi dimostrata da alcuni ricercatori. Purtroppo anche questa teoria non è stata mai provata ed ha diverse zone oscure e contrastanti.

    La situazione più probabile potrebbe essere la mancata/disturbata comunicazione tra i neuroni di una determinata zona del nostro organismo che porterebbe i motoneuroni al suicidio (apoptosi), ma bisognerebbe prima capire di quale malattia stiamo parlando poiché io che ho approcciato diverse volte questa ricerca mi imbatto sempre nel solito problema… Si tratta di 1 sola malattia o centinaia con sintomi simili? Questo potrebbe spiegare i diversi risultati dei ricercatori e la diversa longevità di tante persone a cui è stata diagnosticata la SLA.

    Pasquale

  • Marcello Zanna - 28 dicembre 2008 # 10

    Il fatto che la malattia colpisca solo i motoneuroni secondo me limita la teoria autoimmunitaria o infettiva. Deve esserci un meccanismo ben definito e determinato dalle caratteristiche di questi particolari neuroni, che ricordiamo in molti casi hanno assoni lunghi anche oltre 1 metro!
    Interessante secondo me a tal proposito è questo mio caso clinico:

    http://www.amjcaserep.com/abstracted.php?level=5&icid=865124

  • Neuroscience - 31 dicembre 2008 # 11

    Ti ringrazio della segnalazione del tuo interessante articolo.
    Avrei diverse domande da porti sul caso che hai portato all’attenzione, tuttavia forse qui non è il luogo adatto.

    Per quanto riguarda la teoria autoimmunitaria o infettiva… Queste non sono per nulla limitate dal fatto che la patologia colpisca cellule specifiche, anzi ne è un punto fondamentale, poiché la degenerazione di alcune cellule dovrebbe portare anche alla morte celle cellule circostanti, mentre un’infezione tipo Herpes (un retrovirus noto per viaggiare lungo gli assoni fino ai nuclei cellulari e poi verso la periferia) colpisce proprio cellule specifiche, come nel caso della malattia immunitaria che colpisce singoli epitopi.
    Personalmente non sono di questo avviso, ma non mi sento di escluderlo del tutto.

    L’unica domanda ed anche debolezza del tuo articolo è purtroppo la mancata certezza della prognosi… che come saprai è data solo dall’esclusione di altre patologie già note.
    Secondo questa teoria, infatti, Stephen Hawking dovrebbe essere affetto da ASL ma così non è poiché ha convissuto e convive ancora da tanti anni con la sua patologia.
    Hai presente il caso del Parkinson e quei ragazzi che usavano l’MPPP come droga…? Gli effetti e la situazione finale del ‘paziente’ alla fine sembrano uguali, ma c’è un’enorme differenza, i pazienti anziani affetti da Parkinson non hanno assunto MPPP, quindi in realtà trattiamo pazienti che non hanno la stessa malattia, ma solo sintomi simili.
    Detto questo non escludo che il tuo caso clinico sia affetto da ASL, tuttavia non puoi escludere il fatto che la paziente possa avere solo sintomi ASL simili.
    Fino a quando non si troverà una diagnosi differenziale efficace per la ASL sarà difficile paragonare i casi clinici e trarne delle conclusioni efficaci.

    Per quanto conti, personalmente penso che l’ASL sia una serie di patologie con alcuni sintomi/effetti più o meno simili, ma senza un’identità univoca proprio perché manca la discriminante della patologia.
    Siamo solo all’inizio del percorso, tra qualche anno ne potremmo discutere con tanti altri dettagli.

    Pasquale

  • Marcello Zanna - 2 gennaio 2009 # 12

    Per quanto riguarda il caso clinico segnalato purtroppo ormai non ci sono dubbi che si trattasse di SLA essendo la paziente deceduta dopo aver rifiutato l’intubazione per insufficienza respiratoria da SLA bulbare (diagnosi del centro SLA dell’ospedale Bellaria di Bologna). Si trattava di una mia zia. Partendo da questo caso ho poi notato che l’eccitotossicità è molto importante per l’insorgenza di tale patologia. Anche il fatto che la SLA abbia un’ampia prevalenza tra i personaggi che praticano particolari sport (porta anche il nome del noto giocatore di baseball Lou Gerig) potrebbe essere correlato allo stress dei neuroni motori da superlavoro (pensiamo a quanto mediatore venga rilasciato in una partita di calcio, sport che non prevede movimenti ripetitivi come la marcia e che sono regolati in gran parte dal cervelletto ma fatto di continui scatti e cambi di direzione)e da sostanze eccitotossiche usate dalle squadre professioniste (penso anche agli aminoacidi ramificati ricchi di glutamina, alla fosfocreatina usata a dosi massicce). Il fatto che i neuroni motori abbiano assoni tanto lungo potrebbe far pensare che anche gli assoni e le placche neuromuscolari possano subire effetti eccitotossici poiché non protetti da membrana ematoencefalica che poi trasmetterebbero al corpo cellulare. Una volta innescato il processo necrotico poi autoalimenterebbe la morte dei neuroni circostanti. Recentemente M Kukley dell’università di Bonn ha rilevato che vi sono siti di rilascio dei neurotrasmettitori anche lungo gli assoni del nervo ottico, con la funzione plastica verso le cellule gliali. Attualmente sta cercando di dimostrare che analogo rilascio di neurotrasmettitori avvenga anche a livello degli assoni motori. Molte cose si devono ancora scoprire, ma ritengo sempre più plausibile un’origine non infettiva ma tossica ed eccitotossica di tale patologia.

    Saluti
    Marcello Zanna

  • simona - 9 giugno 2009 # 13

    ogni crisi epilettica muore un neurone?

  • gae - 14 agosto 2009 # 14

    E’ possibile che da un trauma procurato da qualche pugno possa provocare dopo pochi giorni una ischemia celebrale ad una persona già affetta da cirrosi epatica?

  • Neuroscience - 15 agosto 2009 # 15

    @ simona
    Non è detto che ad una crisi epilettica segua la morte neuronale. Tuttavia bisognerebbe valutare caso per caso, le ‘crisi epilettiche’ sono un’esternazione diverse patologie. Voglio dire che diverse malattie o anomalie diverse possono dare ‘epilessia’ con conseguenze e caratteristiche diverse. Solitamente l’epilessia in sè non fa morire i neuroni, tuttavia l’ipereccitabilità può causare in alcune condizioni la morte di intere regioni cerebrali o addirittura di una popolazione neuronale locale.

    @ gae
    Non so se la cirrosi epatica in sé possa predisporre ad ischemia cerebrale, di certo aggrava il danno che ne consegue.
    Non è possibile escludere ciò che dici, anche se si tratterebbe di un caso raro e molto sfortunato. Se il trauma del pugno è molto grave si possono avere delle anomalie nella ristrutturazione ossea che può mandare in circolo dei trombi, e quindi ischemia cerebrale.
    Però è un caso difficilmente riscontrabile