Uno sguardo ai meccanismi della mente

Inside Neuroscience

15 luglio 2010 - 3:35 pm

Il Coma (II Parte): Le parole che ingannano

Preambolo

Nel post precedente ci siamo occupati delle condizioni vitali che rendono discutibile il prelievo di organi da persone ancora in vita. In quei casi si può parlare di eutanasia o di omicidio a seconda del punto di vista. Oggi vedremo, invece, quando questo prelievo é possibile e soprattutto scopriremo che anche questo è un interessante argomento di neuroscienze.

Quando è possibile il prelievo di un organo?

Senza tanti giri di parole, il prelievo é intuibilmente possibile quando il paziente é morto; tuttavia dopo il collasso cardio-respiratorio la maggior parte degli organi si deteriorano in maniera irreversibile e non possono essere riutilizzati. Si rende necessario, quindi, una particolare condizione di morte che conserva almeno parzialmente la vitalità degli organi; una condizione che é relativamente rara.

Per capire bene di cosa parliamo dobbiamo definire grossolanamente quando un paziente può essere definito ‘morto’.

Tutti sanno, almeno per via intuitiva, che un organo o una persona si possono considerare morti quando non è più possibile ripristinarne la normale attività e c’è un progressivo disfacimento delle strutture biologiche, ma in quale momento si muore effettivamente?

Secondo la più antica tradizione pagana e cattolica, un individuo muore quando cessa di battere il cuore (morte clinica), ma oggi sappiamo che uno shock elettrico può farlo ripartire, anche un trapianto o un sistema di pompe può ridare una vita relativamente normale ad una persona con un cuore morto. Secondo i mussulmani è il respiro ad essere la fonte della vita, la morte sopraggiungerebbe con l’ultima esalazione; ma anche in questo caso esistono delle persone in terapia intensiva che possono respirare grazie a delle macchine di ventilazione forzata.

In conclusione tutti questi casi comprendono solo delle formalità non sostanziali per identificare la morte. Possiamo, infatti, ripetere questa analisi organo per organo e non trovare un metodo certo che identifichi l’effettivo passaggio dalla vita alla morte. Lo stesso Karol Wojtyla, papa Giovanni Paolo II, aggiornò la definizione di morte per la chiesa con la separazione dell’anima dal corpo; un momento condivisibile ma difficilmente identificabile.

Negli anni, il nostro mondo burocratico ha classificato la morte secondo tre diversi criteri:

La morte clinica

La classificazione più nota é la cosiddetta morte clinica, ovvero uno stadio clinico precario dove il cuore non batte spontaneamente, a cui può seguire una vera morte se non si riesce ad intervenire efficacemente. In effetti si tratta solo di una definizione ingannevole il cui uso ed abuso dalla letteratura ha dato origine a miti e leggende di tutti i tipi per storie che colpiscono l’immaginario umano. Una persona ‘clinicamente morta’ è solo una persona che non manifesta dei chiari sintomi di vita come il battito cardiaco, la respirazione spontanea e la risposta a stimoli esterni. Tuttavia è noto che questo stadio non coincide con la vera morte poiché può essere indotto e revertito totalmente entro certi limiti temporali.

Paragonare la morte clinica alla vera morte sarebbe come considerare morta una persona che non riesce a respirare. É ovvio che una persona in queste condizioni é ancora viva e, se si riesce a risolvere il problema in tempo, continua ad essere tale senza dover ‘resuscitare’. D’altra parte se il blocco respiratorio si prolunga troppo sopraggiunge un punto di non ritorno che possiamo considerare la morte effettiva.

La morte effettiva

La morte effettiva è il vero passaggio dalla vita alla morte ed è difficilmente identificabile con un unico istante. L’organismo, infatti, può morire tessuto per tessuto o organo per organo in tempi diversi, come anche il disfacimento delle strutture stesse. E’ noto che un paziente morto anche da diverse ore può donare le cornee, poiché le cellule da cui sono composte sopravvivono bene in assenza di ossigenazione, mentre diverso è il caso dei reni, poiché se non sono sufficientemente ossigenati e conservati, collassano entro pochi minuti.

L’argomento è ricco di riflessioni filosofiche, biologiche e pratiche, tuttavia rimane solo un concetto difficilmente identificabile.

La morte legale

Se da un lato è difficile identificare quando avviene il passaggio dalla vita alla morte effettiva, perché gli organi del nostro corpo muoiono in tempi diversi, credo sia anche intuitivo che l’unico organo effettivamente importante per la nostra identità, la nostra memoria e la nostra coscienza sia il cervello. Morto un cuore, lo si può sostituire, così come anche i polmoni, i reni etc etc senza alterare la personalità dell’individuo; è evidente invece che quando muore il nostro cervello l’identità è irrimediabilmente persa. In queste condizioni, tutti i misteri, i ricordi e quello che può essere contenuto in ognuno di noi si disperde in una diffusa necrosi cerebrale, anche se il resto dell’organismo continua a vivere per un po’. Sottolineo che non si tratta solo di pura filosofia sull’identità della persona perché il cervello sovraintende anche una serie di funzioni fisiologiche come il controllo termico, pressorio, ormonale, metabolico, di crescita, di risposta immune etc etc. Senza la ‘sala comandi’ l’organismo per quanto curato in maniera intensiva morirà di lì a breve, poco a poco.

Per queste ragioni si definisce un individuo morto dal punto di vista legale, quando muore il suo cervello, anche se il suo corpo continua a vivere. A differenza della morte effettiva che è solo una definizione concettuale difficilmente identificabile, la morte legale, invece, è un concetto chiaro ed obiettivo. Le informazioni e le tecniche di indagine sulla morte cerebrale appartengono ad un importante campo neuroscientifico fatto di un intenso lavoro.

Le parole che ingannano

Una volta chiarita per sommi capi la definizione di morte, può essere più chiara la definizione di coma irreversibile che si presenta con la morte cerebrale a cui segue la morte dell’organismo per le ragioni sopra descritte. In effetti il coma irreversibile è sommariamente sovrapponibile alla morte legale, le minime differenze possono essere tralasciate in questo post divulgativo.

Bisogna sottolineare che purtroppo il termine ‘coma irreversibile’ é alquanto ingannevole per i non addetti ai lavori, poiché contiene la parola coma che ricorda qualcuno ancora in vita, e la parola irreversibile che potrebbe indurre a pensare ad un coma molto lungo (vedi coma persistente).

A mettere benzina sul fuoco sono le centinaia, se non migliaia, di casi ‘miracolosi’ in cui il paziente é improvvisamente uscito da un lunghissimo coma di decine di anni. Le storie sono poi condite dalla mancanza di speranze dei medici seguita dallo stupore, preghiere, sogni premonitori ed ovviamente la mancanza di spiegazioni scientifiche. Quanta ignoranza in questa confusione. Nessuno sottolinea abbastanza, e ancor di meno, nessuno ricorda mai che tutti questi pazienti menzionati erano in coma persistente, già citato nel post precedente, ed il risveglio o l’evoluzione allo stato vegetativo sono il suo normale sviluppo.

Ovviamente il passaggio da un coma persistente ad un risveglio è un caso molto raro, per cui i medici non danno mai troppe illusioni ai parenti dei pazienti in questo stato. Quando questo succede c’è lo stupore di vedere un caso su un milione e la mancanza di spiegazione scientifica per il risveglio è data dalla mancanza di informazione su cosa tiene in coma una persona e cosa la può svegliare; nulla di miracoloso.

In definitiva mentre un coma persistente è una persona in stato di incoscienza a cui basterebbe un qualcosa, per ora ignoto, per tornare a rivivere una vita ‘normale’, il coma irreversibile é di fatto una tipologia morte. Basti pensare che per quanto intensamente curato, un coma irreversibile, non può mai arrivare ad anni di simil-vita, nella maggioranza dei casi l’organismo muore nel giro di ore, o giorni. Inutile rimarcare che nessun paziente si é mai svegliato da un coma irreversibile.

Il compito del medico è quello di identificare il coma e distinguerlo dal coma irreversibile (o morte legale) e comportarsi di conseguenza. Nel primo caso si assiste il paziente per quelle che sono le attuali conoscenze mediche, nel secondo caso si attiva la procedura della donazione degli organi.

Conclusione

In questo breve post abbiamo introdotto alcuni concetti di morte e li abbiamo distinti dal coma. Abbiamo anche visto che tutte le forme di coma, insieme alla morte clinica, non sono compatibili con la donazione degli organi poiché il donatore è ancora vivo. L’unica condizione che rende possibile la donazione degli organi è rappresentato dalla morte legale, o coma irreversibile, di un paziente che conserva ancora la vitalità degli organi. Questo è ovviamente un campo neuroscientifico di notevole interesse sotto molti aspetti (bioetico, medico, legale, scientifico, filosofico, etc)

Nel prossimo post, se vi farà piacere di leggerlo, vedremo a che punto è la ricerca neuroscientifica in questo campo e soprattutto cosa ci si aspetta dal futuro.

Alla prossima

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  • Riccardo - 15 luglio 2010 # 1

    Molto interessante: è importante fare chiarezza con i termini, grazie Neuroscience ;-)

  • Neuroscience - 16 luglio 2010 # 2

    Ti ringrazio