Rieccoci ancora per un’altra puntata per la divulgazione scientifica sull’ischemia cerebrale. Questo che vedremo è, in ordine cronologico, l’ultimo capitolo da me scritto ma il primo da me adattato per la pubblicazione di questa serie. Il motivo è che, a parer mio, potrebbe essere più intuitivo per le persone che non si sono mai affacciati ad un discorso scientifico impegnato. Trattasi di circa 15 anni di ricerche in questo campo seguito e presentato per lo più in ordine cronologico con qualche inesattezza o approssimazione in qualche punto per rendere il discorso quanto più scorrevole e divulgativo possibile; Vogliate scusarmi se in qualche caso ho semplificato un po’ troppo quanto si conosce realmente in letteratura.
Preambolo
Per chi non avesse seguito il percorso del nostro misterioso ‘giallo’ sull’ischemia cerebrale forse sarebbe bene leggersi i capitoli precedenti per poter seguire meglio questo ‘racconto’
http://www.molecularlab.it/insideneuroscience/?p=26
http://www.molecularlab.it/insideneuroscience/?p=37
http://www.molecularlab.it/insideneuroscience/?p=41
Siamo nelle vesti di un improbabile investigatore molecolare con il compito di risolvere un misterioso omicidio di cellule neuronali in seguito ad ictus. Fino ad ora abbiamo cercato di ricostruire la vita dei neuroni, le ultime ore delle vittime e come si presentano agli occhi della scena del crimine. In questo capitolo, invece, cercheremo di puntare il dito sul primo imputato eccellente dell’ischemia, ovvero un fattore trascrizionale ‘particolare’. Già la sola appartenenza di una proteina alla categoria “fattore trascrizionale” conferisce quell’alone di mistero ed ambiguità tipico, infatti, è noto che queste proteine frequentano “strane compagnie”, tale che il più amabile difensore della vitalità cellulare può trasformarsi nel peggior nemico da abbattere nelle neoplasie.
Ecco a voi quanto segue.
La prima pista delle indagini
Una delle osservazioni più ovvie che mi sono state fatte nel tempo si basa sul fatto che tutto quello che si avvia durante l’ischemia cerebrale è senza alcun dubbio innescato dalla mancanza di ossigeno e nutrimento… secondo questa ipotesi ci si dovrebbe concentrare sugli eventi che sono attivati dall’ipossia e/o glucopenia per arrivare al vero meccanismo che innesca la morte neuronale ritardata. L’osservazione è ottima, e tantissimi ricercatori si sono concentrati su questa pista per trovare i responsabili.
Sicuramente uno dei target più dibattuti in questo contesto è il fattore trascrizionale che porta il nome di Hypoxia Inducible Factor (HIF), ovvero fattore indotto dall’ipossia. Ce ne sono 3, chiamati HIF-1, HIF-2 e HIF-3; di questi solo il primo è noto alla maggioranza della comunità scientifica, e sembra essere il più importante.
Quale personaggio per HIF-1?
Se dovessi associare questo fattore trascrizionale ad un personaggio di un giallo, potrebbe essere rappresentato senza alcun dubbio da un antipatico ed ambiguo individuo che attira su di sé tutti gli indizi, in modo tale che rappresenti l’assassino nell’immaginario del lettore per buona parte del racconto. In genere queste persone durante il racconto possono trovarsi alternativamente tra i principali sospetti, tra i fiancheggiatori, tra gli innocenti o tra i più improbabili difensori della verità.
Assassino, complice, arma, ancora di salvezza e persino futile perdita di energia… queste sono le definizioni che nel tempo sono state associate a questo strano fattore trascrizionale.
I Primi indizi ed il primo incontro
La pista dell’ipossia ci porta a chiedere se la scena del crimine era frequentata da fattori che sono proprio regolati da questa condizione. Da un elenco di proteine potremmo scorgere un personaggio molto influente definito HIF-1 e già qui giungiamo al primo mistero; dall’analisi della zona ischemica emerge chiaramente che HIF-1 non è presente al momento del ‘delitto neuronale’, un semplice Western Blot per l’analisi delle proteine mostra chiaramente una debolissima banda di HIF-1 ma niente di più di quello che si troverebbe in un qualsiasi tessuto in condizioni normali. Il personaggio quindi sembra non avere indizi a carico, tuttavia ci sono delle stranezze da puntualizzare.
Tiriamo fuori il nostro asso nella manica, ovvero la ricostruzione dell’avvenimento in un modello di ischemia su animale ed analizziamo la quantità di HIF-1 in diverse aree cerebrali a diversi tempi dopo l’occlusione dell’arteria cerebrale media. Dai risultati ci renderemo conto che HIF-1 non era presente prima dell’occlusione e neanche all’inizio dell’occlusione stessa, mentre è presente per pochissimo tempo durante l’ipossia neuronale per poi sparire di nuovo improvvisamente subito dopo il ripristino del circolo sanguigno.
HIF-1 dovrebbe spiegarci molte cose al riguardo sul perché c’era, cosa ha fatto e come ha fatto ad apparire e scomparire velocemente in circostanze quantomeno sospette.
Il mago Houdinì – Apparizioni e Sparizioni
HIF-1 è un fattore trascrizionale composto da due sub-unità definite HIF-1alfa e HIF-1beta, prodotti da due geni diversi molto conservati nell’evoluzione dei mammiferi. La trascrizione e la formazione di queste due proteine sono costanti ed ubiquitari in tutto l’organismo, tuttavia con un banale western blot non è possibile vedere una buona dose di proteina nei tessuti.
Il perché è subito chiarito dal suo scopritore Gregg Semenza, che ha dimostrato come in condizioni di ossigenazione ‘normale’ HIF-1alfa è idrossilato attraverso un enzima e poi processato per la degradazione… in poche parole HIF-1alfa è continuamente prodotto ma è anche degradato subito dopo in presenza di ossigeno molecolare. Infatti, quando l’ossigeno comincia a mancare HIF-1alfa non si può più degradare e si accumula legandosi al suo cofattore HIF-1beta formando il fattore trascrizionale completo HIF-1 che va ad attivare una serie di geni target. In seguito alla riossigenazione HIF-1alfa è nuovamente degradato ed il complesso HIF-1 non si forma più.
Ecco così spiegato il mistero della sparizione ed apparizione di HIF-1 durante l’ischemia cerebrale.
Conosci gli amici che frequenti e saprai chi sei
La domanda più interessante a questo punto è “quali geni target attiva HIF-1?”. Bhé ce ne sono centinaia, e sono divisi in classi secondo il meccanismo globale a cui afferiscono.
Troviamo geni del metabolismo anaerobico del glucosio, ovvero quegli enzimi che servono per ottenere energia dal glucosio senza la necessità di ossigeno, troviamo anche geni che servono per aumentare l’ossigenazione in una certa regione del tessuto come ad esempio VEGF il fattore che induce la vascolarizzazione in loco per apportare più ossigeno e nutrienti. Tra i target c’è anche l’eritropoietina che aumenta la produzione di globuli rossi che portano l’ossigeno in tutto l’organismo.
Poi ci sono geni un po’ più strani che mirano comunque alla sopravvivenza della cellula in condizioni anaerobiche e geni di cui non si sa bene la funzione nell’ipossia.
Tutto sommato è un ‘buono’ e serve alle cellule per ‘adattarsi’ alle scarse riserve di ossigeno e soprattutto promuovere il rimodellamento dell’organismo per avere più ossigeno.
Buono?
C’è anche l’altra faccia della medaglia, come per ogni fattore trascrizionale. L’altra faccia della ‘Janus Face’ HIF-1 è che se passa ‘dall’altra parte’ favorisce la vascolarizzazione di neoplasie (tumori) rendendolo più maligno e più resistente alle terapie antineoplastiche. Non a caso le mutazioni dei geni che servono per degradare HIF-1 in presenza di ossigeno siano dei noti oncogeni, ovvero geni cruciali che favoriscono la formazione e l’accrescimento dei tumori quando non funzionano a dovere.
Cosa ci faceva HIF-1 durante l’ischemia?
Bene dopo questa velocissima presentazione di questo angelo o diavolo è ora di chiedersi cosa stava facendo subito dopo l’occlusione dell’arteria cerebrale e proprio in quei neuroni che moriranno diverse ore dopo… Stava avvelenando il loro futuro o stava costituendo un disperato tentativo di salvataggio?
Se provate a chiedere a HIF-1 cosa stesse facendo la risposta è ovvia, stava promovendo la sintesi di geni del metabolismo anaerobico per consentire ai neuroni di far fronte all’immediata assenza di ossigeno.
Facendo una Cromatin Immunoprecipitation (ChIP), ovvero una tecnica che ci permette di determinare se un fattore trascrizionale è legato o no ad una determinata regione genomica, c’è un primo riscontro positivo, effettivamente HIF-1 si trovava nelle posizioni di attivazione dei geni che servono per il metabolismo anaerobico.
Però c’è un’incongruenza, il tempo necessario ad HIF-1 per attivare i geni del metabolismo è costituito almeno da diverse ore; ovvero il tempo necessario per aumentare la sintesi di mRNA e di proteine. HIF-1, invece, rimane legato ai geni descritti per pochissimo tempo, al massimo un’ora o anche molto meno, un tempo che non basterebbe neanche a reclutare tutti i cofattori necessari per l’attivazione della trascrizione genica… come mai?
HIF-1 si difende esponendo i propri fatti… ovvero si trovava lì al momento dell’ipossia, aveva visto che ‘la nave stava affondando nell’ipossia’ e quindi si è attivato quanto prima come da suo dovere, poi è subentrata la riossigenazione dell’area cerebrale che lui non poteva prevedere ed è stato degradato dall’ossigeno prima che potesse fare effettivamente qualcosa. Per cui in realtà si tratterebbe di un tentativo andato a vuoto.
Dall’analisi per RT-PCR, tecnica che permette di determinare l’aumento o la diminuzione dell’espressione di determinati geni, c’è una prima conferma dell’alibi di HIF-1. Effettivamente stavano aumentando, seppur di poco, la sintesi dei geni implicati nel metabolismo anaerobico, del tutto sovrapponibile con quello che ci si aspetterebbe dall’azione esplicata da HIF-1.
Innocente allora?
Prima di prosciogliere l’imputato io suggerirei di analizzare anche chi ha frequentato HIF-1 in quella notte misteriosa dove è avvenuta l’ipossia. C’erano altri geni che ha indotto HIF-1?
Un gene molto importante è VEGF come già accennato, implicato nell’induzione della vascolarizzazione a lungo termine, ma che ha anche un’azione neuroprotettiva acuta nei confronti dell’ischemia cerebrale. Poi ci sono l’eritropoietina, che serve per aumentare i globuli rossi nel sangue, anch’esso neuroprotettivo in fase acuta, e tanti altri geni più o meno noti per avere un’azione neuroprotettiva. Un eroe dunque.
Il lato oscuro di HIF-1
C’è però anche chi fa notare che i fattori trascrizionali in condizioni non fisiologiche come l’ischemia cerebrale possono frequentare anche ‘compagnie diverse’ ed insolite da quelle catalogate. Infatti, da alcuni esperimenti di Microarray, tecnica che permette di vedere l’aumento o la diminuzione dell’espressione di un ampio numero di geni in condizioni fisiologiche rispetto a quelle patologiche, è emerso che HIF-1 ha scarsamente indotto geni neuroprotettivi, come già descritto, però durante la sua attivazione sono aumentati enormemente anche tanti geni di ‘malaffare’.
Insomma tanto basta per iniziare il processo contro questo ‘strano individuo’
Che il processo abbia inizio… entri il primo imputato HIF-1
La parola all’accusa
Quei pochi minuti che bastano
Sebbene siano necessarie diverse ore per attivare i geni del metabolismo anaerobico, per HIF-1 sono stati necessari pochi minuti per attivare alcuni dei geni più distruttivi dell’ischemia. E non si tratta di una piccolo aumento di espressione. Il gene in questione è la nitrossido sintetasi inducibile che produce radicali liberi sottoforma di gas nitrossido con un’azione neurotossica letale per i neuroni. Da un’analisi con Decoy, ovvero la somministrazione di piccoli tratti di DNA a doppio filamento che simulano il sito di legame di HIF-1 e lo sequestrano lontano dai geni bersaglio, è stato possibile determinare con certezza che HIF-1 è il principale responsabile dell’aumento della trascrizione della iNOS. Quando ad una cellula ipossica si dà il Decoy, HIF-1 lo lega e non riesce a raggiungere il gene bersaglio, un effetto simile ad un knock-out genico. La iNOS è nota per causare la morte cellulare dei neuroni, una questione indubbia.
Ma come è possibile che ad HIF-1 bastino pochi minuti per l’attivazione di iNOS mentre sono necessarie ore per i geni neuroprotettivi? Greeg Semenza è riuscito a chiarire anche questo altro aspetto. HIF-1, infatti, è prodotto continuamente dalla cellula, ed è anche degradato continuamente, ma una piccola quota di HIF-1 è presente nelle cellule, visibile per western blot, e basta per legare ed indurre determinati geni insoliti. Talvolta li lega anche quando non c’è ipossia ed attende la mancanza di ossigeno così per trovarsi già in loco quando serve.
Insomma HIF-1 è stato visto aumentare e fomentare geni per la degenerazione neuronale, mentre i geni neuroprotettivi non erano stati trattati allo stesso modo, dando solo un’apparenza di eroe salvatore.
A carico di HIF-1 c’è anche la precisione di espressione proprio nei neuroni e nei luoghi dove ci sarà, diverse ore la sua scomparsa, la maggior percentuale di neuroni morti. Una coincidenza forse?
Insomma, la situazione si è messa male per HIF-1, le prove vanno decisamente contro; il legame degli enzimi metabolici e neuroprotettivi potrebbe essere solo una copertura per il vero scopo, ovvero la degenerazione dei neuroni?
La parola alla difesa
La difesa tira fuori il dogma scientifico
Il Dogma scientifico
Per chi non lo sapesse, esiste un dogma per ogni disciplina culturale umana e la biologia non ne è immune. Il Dogma dei biologi è che niente succede a caso, poiché per ogni gene o proteina ci sono milioni di anni di evoluzione che raffina tutti i meccanismi a quelli fondamentali per la sopravvivenza e per l’evoluzione. Se ci fosse qualcosa di inutile o peggiorativo sarebbe eliminato automaticamente dall’evoluzione stessa. Per cui la selezione e la conservazione di un fattore indotto dall’ipossia che causi morte nei neuroni non è credibile poiché non darebbe un vantaggio per la sopravvivenza.
Dopotutto quello che si vede è una sommatoria di tantissimi meccanismi che interagiscono tra di loro e quello che si osserva è solo la summa del tutto da cui è difficile estrapolare un singolo messaggio. Meglio ricorrere all’incidente probatorio…
Ovvero spegniamo HIF-1 con un knock-out genico ed induciamo l’ischemia, verifichiamo in questo caso se l’animale che manca di questo fattore è più o meno esposto al danno neuronale rispetto agli animali wild-type.
L’incidente probatorio o la prova del nove
La prova più importante seguita da quella definitiva molto spesso è la generazione di un topo knock-out per il gene di interesse. Ci sono stati tantissimi esempi di questo tipo, vale sia come inizio di una ricerca per capire grossolanamente un gene di cosa sia responsabile e vale anche come prova raffinata per avere la prova definitiva che un determinato gene sia coinvolto in un certo meccanismo.
Purtroppo nonostante intensi sforzi per ottenere topi knock-out per HIF-1alfa, è emerso che un animale privato di questo gene non riesce a svilupparsi ed a sopravvivere ai primi stadi embrionali, anche se è esposto ad un normale livello di ossigenazione. Ovviamente questo è stato il motivo dei ritardi nel fare un topo transgenico e quindi definire una prova evidente del suo ruolo in tanti processi fisiologici e patologici.
Tuttavia, recentemente è stato possibile generare un topo con un knock-out tessuto specifico di HIF-1alfa per i neuroni, il risultato è stato quantomeno sorprendente… l’assenza di HIF-1alfa durante l’ischemia cerebrale ha enormemente potenziato i danni neuronali.
Un fulmine a ciel sereno per tutti… L’imputato è senza dubbio da scagionare e da mettere tra i difensori cellulari.
Conclusioni
In questo capitolo abbiamo visto un esempio di imputato eccellente dell’ischemia cerebrale che ancora oggi per alcuni gruppi di ricerca rappresenta ancora il centro dell’attenzione. Gli studi andranno sicuramente avanti, anche se non ci si aspetterebbe ancora molto da quanto descritto, HIF-1alfa nel processo dell’ischemia cerebrale si potrebbe definire almeno non pericoloso tanto quanto altri imputati eccellenti che vedremo nelle prossime puntate. Per questi motivi l’attenzione su questo fattore trascrizionale si è concentrato soprattutto sulle neoplasie, ed ha tralasciato progressivamente l’ischemia cerebrale, renale e cardiaca. Vedremo se qualcuno in futuro troverà qualche prova rilevante per riaprire nuovamente il processo. In attesa di tale data ci rivedremo nella prossima puntata dove vedremo un altro imputato importante.
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Complimenti Pasquale,
un’ottima serie di post veramente interessanti e spiegati con estrema semplicità, ma sempre in maniera chiara e puntuale!
Devo ammettere che conoscevo proprio poco a riguardo e la storia sembra davvero molto intrigante!
Keep ‘em coming!
nico
ottima serie di post…non c’è nulla di più affascinante delle neuroscienze.
questo investigatore me lo immagino un pò come il Tenente Colombo…. uno scienziato in impermeabile terribilmente invadente e trasandato, ma mooolto abile!
Complimenti neuroscience!
Davvero un post molto interessante e fatto bene: con immagini e formattazione: Bravo!!
Fa piacere che sia diventato parte di MolecularLab e che abbia partecipato al progetto Inside Neuroscience
Grazie a tutti
Ho letto attentamente la bella relazione nelle sue quattro parti. Devo dire che mi ha affascinato il metodo di esposizione ed, essendo io fuori disciplina, mi chiedevo se le funzioni alle quali erano delegate le cellule “defunte” possano essere poi delegate ad altre parti del cervello e se, con il tempo, esse possano essere sostituite? Sostituite grazie a meccanismi di migrazione di nuove cellule ancora da specializzare.
Caro Valeriano,
Le funzioni delegate alle cellule “defunte” possono essere delegate ad altre parti del cervello con il tempo e molto esercizio. Certo però che se si perde una parte del cervello che è delegata alla comprensione della vista, gusto, odore etc… è molto difficile che il soggetto possa recuperare queste funzioni con altre aree del cervello.
In ogni caso non si tratta mai, almeno a quanto è stato visto fino ad ora, alla migrazione di cellule ancora da specializzare, ma semplicemente alla plasticità cerebrale, ovvero alla capacità dei neuroni di cambiare i percorsi di eccitazione reciproca, collegamenti ed adattamenti vari che possono sopperire ad eventuali mancanze. Un po’ come una squadra di calcio che si adatta a giocare in 10, poi in 9 etc etc in seguito all’espulsione di un loro compagno. Il numero purtroppo non può mai aumentare, e sono i giocatori rimasti a cercare di giocare per coprire certe aree.
Esistono 2 aree in cui sono state trovare delle cellule totipotenti capaci di diventare neuroni ed anche di migrare, ma si tratta di pochissime cellule in aree molto limitate, difficile pensare che possano dare un importante contributo ai meccanismi della mente e soprattutto partecipare alla ristrutturazione di aree cerebrali danneggiate.
Ad ogni modo con il tempo sicuramente si scopriranno nuove cose, il cervello ha ancora un 90% di cose da scoprire, speriamo di scoprire nuove cose buone.
Ti ringrazio per l’intervento: Magari in una delle prossime puntate inserirò anche l’uso di precursori neuronali nel trattamento post-ischemico, un discorso che potrebbe risultare molto interessante ai non addetti ai lavori in cui si discutono proprio le risposte alle domande che hai appena fatto.
grazie ancora
Pasquale
Grazie mille!!!!! ho letto con estremo interesse tutto e mi è ritornato molto utile per la stesura della mia tesi intitolata Meccanismi molecolari dell’angiogenesi tumorale:la fibronectina come marker e target di terapia…
Complimenti davvero!