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Bioetica e diritto: come regolamentare la scienza?

”The only freedom which deserves the name,
is that of pursuing our own good in our own way,
so long as we do not attempt to deprive others
of theirs, or impede their efforts to obtain it”.
John Stuart Mill, “On Liberty”


Il ventesimo secolo è stato caratterizzato da enormi progressi nella conoscenza scientifica in tutti i campi, dalla fisica alla chimica, dalla biologia alla matematica. Le nuove scoperte, come in una reazione a catena, hanno portato alla nascita di tecnologie innovative, che a loro volta ne hanno fatte sviluppare altre ancora più velocemente.
E’ proprio in questo contesto di boom scientifico che nasce l’esigenza di una seria regolamentazione, in modo da legittimare la scienza stessa definendo ciò che possa o meno essere fatto ed in che situazioni.
Cercherò di riassumere, qui di seguito, quali siano i differenti compiti e limiti dell’etica, della legislazione e della scienza nel trattare questi nuovi argomenti, e quali siano i fattori che possono, in bene o in male, influenzare queste discipline.

Il grande problema, a mio parere, nel tentativo di disciplinare la scienza è il fatto che si debba necessariamente cercare di fondere due concezioni e due tipi di cultura totalmente opposti: da un lato la cultura scientifica, generalmente posizionata su una concezione galileiana dell’universo come libro di cui bisogna capire la scrittura per afferrarne l’essenza e spesso votata ad un forte positivismo, che legittima qualsiasi azione possa portare a nuove conoscenze, e dall’altro quella umanistica, soprattutto quella di stampo religioso, che invece vuole intravedere uno schema superiore ed irraggiungibile del mondo e riconosce dei forti limiti oltre i quali non è giusto che l’uomo si spinga in alcuna situazione.
Ovviamente esistono moltissime posizioni intermedie fra le due, oltre ad altre concezioni di scienza e di morale totalmente estranee a queste, per cui sarebbe riduttivo considerare una totale bipartizione del pensiero in “religioso” e “laico-scientifico”: l’analisi del rapporto tra scienza etica e diritto non potrà dunque prescindere dal considerare la presenza di tutte le diverse forme di pensiero.
Il passo successivo è quindi quello di chiedersi dove stia il giusto e quali siano, sempre che ci siano, i limiti oltre i quali la ricerca non deve spingersi. Credo che queste domande non potranno e non dovranno mai avere vera risposta, in quanto la liceità di un’azione è un concetto soggettivo ed è quindi improponibile dire in assoluto che essa sia o meno giusta: è proprio a questo punto del ragionamento che entra in gioco la bioetica. Innanzitutto credo sia necessario definire quale sia il significato di questo termine e quali obiettivi questa disciplina si proponga.

Come suggerito da Roberta Dameno nel suo libro “Quali regole per la bioetica?”, possiamo distinguere due principali accezioni di bioetica: quella filosofica da una parte e quella direttiva dall’altra (sempre tenendo conto che queste divisioni sono solo “modelli” utili per semplificare una situazione molto più complessa).

La prima può essere vista come facente parte della filosofia morale, e si occupa della riflessione sui problemi morali che concernono l’uso delle tecniche, delle tecnologie e in genere degli interventi relativi alle scienze mediche e biologiche e vadano in qualche modo ad influenzare la vita dell’uomo. Queste riflessioni possono in seguito essere prese in considerazione dagli “addetti ai lavori” sia nel campo scientifico che in quello legislativo, come aiuto nella scelta dell’atteggiamento con cui porsi davanti a queste tematiche. Bisogna tuttavia ribadire nuovamente che tutti questi ragionamenti sarebbero assolutamente soggettivi e potrebbero a loro volta essere analizzati ed interpretati, o anche confutati, da altri e quindi non dovrebbero essere la base su cui costruire le leggi, ma solo dei possibili “progetti” da valutare. In questo caso si tratterebbe quindi di vedere la bioetica come un luogo di incontro in cui esprimere e discutere le proprie opinioni per proporre possibili soluzioni.

La seconda accezione, invece, è quella della bioetica direttiva. In questo caso la bioetica si proporrebbe essa stessa come strumento legislatore, avendo il compito di fissare le norme ed i principi giuridici necessari a regolamentare il campo biomedico e biotecnologico. Questo tipo di bioetica vorrebbe quindi andare a sostituirsi al diritto in tutte quelle situazioni in cui esso è carente o perché non c’è stato ancora abbastanza tempo per definire una ampia e precisa legislazione in proposito, o perché il legislatore non si è voluto espressamente pronunciare in merito.
E’ chiaro infatti che il sistema legislativo, in Italia ma non solo, è sicuramente molto più lento nelle sue decisioni rispetto all’esplosivo sviluppo di nuove scoperte scientifiche, a causa della sua natura burocratica; questo è sicuramente uno dei motivi per cui ad esempio non esiste ancora una completa e precisa legislazione in merito alle biotecnologie ed alle nuove tecniche del settore biomedico.
Personalmente credo che sia sicuramente da scartare questa seconda accezione, cioè di una bioetica direttiva, in quanto essa presupporrebbe la presenza di un unico pensiero etico, che possa definire ciò che è giusto e morale e ciò che invece non lo è.
Si deve infatti fare una chiara distinzione fra ciò che è morale e ciò che è legale: la moralità di un’azione a mio parere non è in alcun modo imponibile, come può invece essere la legalità. Se ad esempio la legge permette l’aborto ciò non significa che la legge imponga a ciascuno di ritenerlo morale, anche se l’opinione del legislatore, in generale, tiene anche conto di quella che è la “morale diffusa”, cioè l’opinione generale della popolazione sull’argomento e valuta se l’applicazione di questa morale sia vantaggiosa o meno per la società.
Inoltre, la volontà del legislatore di non dare un parere preciso riguardo ad un certo problema, non si può certo attribuire ad una sua negligenza o ad una scarsa considerazione dell’importanza dell’argomento, caso in cui si potrebbe pensare di legittimare l’intervento di un altro organo, ma è invece il riflesso della presenza di un grande numero di considerazioni etiche e di interessi in disaccordo tra loro: è infatti in questo casi molto complesso emanare una legge che sia valida per tutti, perché questo vorrebbe dire schierarsi con uno piuttosto che con l’altro. Per conciliare quindi posizioni fortemente in disaccordo tra di loro, il legislatore sceglie di non pronunciarsi e lasciare l’analisi del caso volta per volta alla magistratura.
Questa situazione, tuttavia, dovrebbe essere solo un’eccezione e non la regola, in quanto la mancata legiferazione su questi argomenti può essere molto dannosa, in quanto non avendo definito dei limiti precisi si permette uno stato di anarchia non accettabile, soprattutto nel campo della medicina: non essendoci una legge, ognuno può infatti agire nel modo che gli sembra più giusto, ma ciò può portare ad una forte perdita di fiducia da parte della popolazione nel momento in cui persone in malafede approfittino di questa mancanza di legge per favorire i propri interessi. Il legislatore dovrebbe invece, ponderate le diverse opinioni, porsi o come mediatore o, alternativamente, adottarne una in particolare; questa scelta deve essere inoltre basata sull’accurata analisi della precedente legislazione, della Costituzione e della già citata morale comune, cercando di conciliare il maggior numero di aspetti possibili.
La divisione fra bioetica filosofica e direttiva che ho appena analizzato può essere, anche se non sempre a ragione, associata a quella fatta inizialmente tra pensiero laico e religioso: una bioetica direttiva, infatti, presupporrebbe la presenza di un unico pensiero morale e darebbe un valore intrinseco di liceità o illegittimità alliteniamo doveroso affermare che e azioni;
un’azione sarebbe quindi giusta o ingiusta a priori, e questa considerazione sarebbe oltremodo supportata dalla presenza di una fonte divina e quindi inconfutabile dei valori stessi. E’ chiaro che questo pensiero oltre a mancare della pluralità necessaria in una società democratica, peccherebbe anche nel fatto di formulare leggi generalizzanti: infatti una legge basata solo su di un unico pensiero, non contemplerà i casi particolari ed i conflitti con altre leggi e altri doveri che inevitabilmente si vengono a formare in queste situazioni.
Questa situazione viene analizzata nel libro “Bioetica: alla ricerca di nuovi modelli” di Giannino Piana: la visione di un’azione buona o cattiva in sé, tipica dei modelli etici del passato, è una visione deontologicache non si preoccupa di analizzare le conseguenze pratiche, o comunque possibili, dell’azione stessa. Come sottolinea Piana, questo modello deontologico rischia di rifiutare “a priori qualsiasi forma di intervento o pretende di definire una volta per tutte il limite assolutamente invalicabile”.
Rifiutando qualsiasi intervento in virtù di questi limiti, si rischia cioè di ricadere nella suddetta situazione della mancanza di leggi, che rischia come già detto di sfociare in situazioni ancora più “pericolose”.

A questa visione deontologica si contrappone invece quella che si può chiamare visione teleologica (o finalistica) : il giudizio su di un’azione, in questo caso, dipenderà dai suoi effetti; l’azione sarà quindi buona o cattiva a seconda del rapporto tra rischi e benefici che essa comporta.
Bisogna osservare che questo tipo di modello viene spesso applicato nel campo medico-farmaceutico in cui, ad esempio, la valutazione del possibile utilizzo di un determinato farmaco nel trattamento di una patologia è fatta in base all’analisi degli effetti collaterali del farmaco stesso in rapporto ai benefici che esso comporta: per fare un esempio pratico, sarà facilmente accettato un farmaco che provochi forte nausea ma curi una patologia seria, ma non un farmaco con lo stesso effetto collaterale che serva ad esempio per la cura dell’emicrania, poiché in questo caso gli effetti collaterali sarebbero addirittura superiori ai benefici apportati.
Sono d’accordo con Piana nell’affermare che questa concezione della scienza non debba essere vista come puramente utilitaristica in quanto, sebbene la ricerca dell’utile sia sicuramente uno dei “motori” che indirizzano il giudizio etico, essa non è la sola, e sicuramente non basta. Un corretto giudizio etico, a mio parere, deve tenere conto anche del fatto che un’azione, che pur vada a favore di alcuni, potrebbe essere lesiva nei confronti di altri, e di ciò si deve tenere conto anche in campo legislativo.
In alcuni casi, inoltre, credo che il dibattito sul fatto che qualcosa sia morale o immorale, venga fatto in modo assolutamente inutile e irrisolutivo; per fare un esempio pratico, pensiamo alla clonazione: non ha alcun senso dire che la clonazione sia morale o immorale, infatti la clonazione è solo un mezzo e come tale può essere usato in molti modi. Usarla per produrre individui “geneticamente puri” o “superiori” sicuramente è un’azione immorale, ma usarla per avere una fonte di organi per i trapianti è, almeno a parer mio, un fine giusto e morale, soprattutto pensando che ci sono persone che aspettano anni per trovare un donatore compatibile, oltre al fatto che, molto più spesso di quanto si pensi, ci sono criminali che commerciano in organi da trapiantare. C’è, inoltre, anche chi già pensa a scenari fantascientifici, come la clonazione usata “in sostituzione” dell’adozione: credo che questo, a parte le enormi problematiche tecniche attuali, sia oggi come oggi una situazione da non considerare, ma nessuno può escludere che fra trenta o cinquanta anni la situazione sociale, culturale e tecnico-scientifica sia cambiata in modo tale da legittimare questa pratica.
E’ quindi importante, a mio avviso, distinguere fra mezzi (o metodiche) e azioni, in quanto un mezzo, proprio perché tale, non può essere né buono né cattivo, anche se può essere utilizzato per azioni più o meno morali (sempre ricordando che la stessa azione in situazioni differenti può essere considerata in modi anche totalmente opposti). Si noti tuttavia che, una volta definita la liceità di compiere un’azione, la scelta del mezzo con cui portarla a termine deve essere altrettanto oculata: così il medico dovrà, ad esempio, scegliere la terapia meglio adatta a curare il suo paziente, procurandogli il maggiore beneficio, ed il minor disagio. In sostanza direi che la bontà di un mezzo non si possa giudicare di per sé, ma solo quando questo esso è usato per un determinato scopo.
Un altro problema molto importante da considerare, a questo punto, è quello del rapporto tra individuo e società: se è vero che viviamo in una società di massa, è pur vero che ciascun individuo deve avere garantiti i suoi diritti di persona come tale.
Nel momento in cui si pronuncia, il legislatore dovrà sicuramente garantire i diritti dei singoli individui, tenendo però sempre in considerazione quale sia il peso sociale delle proprie scelte. Garantire il bene ed i diritti dell’individuo, infatti, non significa necessariamente emanare leggi in favore del singolo, soprattutto quando non ci sia un effettivo ritorno sociale delle stesse; sarà però necessario emanare leggi che migliorino una situazione “scomoda” per la maggioranza della popolazione, anche quando queste vadano a sfavore di un certo numero di individui.
Il legislatore, quindi, si trova a dover considerare nel suo operato i vantaggi o gli svantaggi per il singolo individuo e per la società intera, sempre nel rispetto delle norme già vigenti (per non incorrere nei già citati conflitti) e, ovviamente, della Costituzione che costituisce l’origine dei principi ispiratori su cui è fondato lo stesso ordinamento giuridico; parlando poi di problemi concernenti la bioetica, si dovranno anche ascoltare i pareri della comunità scientifica.

Abbiamo finora visto come etica e legislazione possano entrare in gioco in merito di questioni scientifiche : purtroppo, a complicare ulteriormente la già intricata situazione, concorrono anche altri fattori, come la non corretta informazione dell’opinione pubblica e le scelte politiche. Per quanto concerne la scorretta informazione pubblica, credo che questo sia un problema importantissimo, in quanto oggigiorno siamo quotidianamente sommersi da enormi quantità di notizie che arrivano dalle più svariate, e quindi incontrollate, fonti: giornali, televisioni, Internet, spesso commettono l’errore di voler per forza fare notizia, e quindi cadono nei due eccessi opposti, cioè la demonizzazione della scienza o, dall’altro lato, l’eccessiva promozione di terapie e scoperte innovative che invece hanno bisogno ancora di diversi anni di perfezionamento per essere forse applicabili su larga scala. Come si può facilmente intuire, l’opinione pubblica è la base da cui si sviluppa quella morale comune di cui si è prima accennato e può quindi contribuire più o meno fortemente allo sviluppo della regolamentazione delle materie scientifiche: credo sia utile quindi analizzare brevemente i due casi in cui si può incorrere a causa di una non corretta informazione.

Nel primo caso viene fatta permeare la visione dello “scienziato pazzo” che, per motivi mai ben definiti si divertirebbe, in un misto di follia e cattiveria, a creare mostri in qualche laboratorio sotterraneo segreto e a giocare a fare Dio. Anche in questo caso, e soprattutto in questa ultima espressione, si vede riflessa la volontà di vedere dei limiti invalicabili e prefissati dall’esterno: se Dio ha creato le cose in un certo modo, dicono i fautori di questa teoria, perché dovrebbe l’uomo modificarle a suo piacere? E’ anche da notare l’utilizzo del verbo giocare, come se non esistesse uno scopo nella ricerca, ma fosse solo un divertente passatempo.

Questa visione, con tutta la simbologia che l’accompagna, sicuramente ha un background letterario molto grande, da “Frankenstein” a “Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde”, per arrivare alle visioni più angoscianti de “Il mondo nuovo” di Huxley e “Cuore di cane” di Bulgakov. Benchè possa sembrare quantomeno assurdo che questi stereotipi continuino a persistere anche oggigiorno, in una situazione culturale profondamente differente da quella in cui sono stati scritti quei libri, c’è da dire che molto spesso scritti di questo tipo vengono fortemente strumentalizzati volendogli dare una eccessiva attualizzazione, come se i loro autori fossero stati dei profeti di quanto sarebbe accaduto un secolo dopo.
Tuttavia tale visione negativa della scienza può anche essere derivata dal precipitoso innalzamento del livello tecnologico che si sta osservando negli ultimi anni, e che risveglia in alcuni l’ancestrale paura di ciò che è nuovo e quindi sconosciuto; questo è, ad esempio, uno dei motivi della tendenza che si sta sviluppando negli ultimi anni, all’utilizzo dei cosiddetti cibi biologici che a dovrebbero essere più sani di quelli in commercio, e della fortissima opposizione agli OGM alimentari, tendenza che non si basa su nessun vero dato scientifico confermato.
Bisogna infatti fare alcune precisazioni a proposito: molto spesso, infatti, i cibi che vengono venduti come biologici non lo sono davvero, derivano invece da coltivazioni in conversione (nei cui terreni sono quindi ancora presenti fertilizzanti, pesticidi etc.) o, situazione ancor più grave riportano sulla confezione marchi simili a quelli dei cibi biologici, ovviamente ingannevoli per il pubblico. Inoltre c’è, almeno in Italia, una grande mancanza di conoscenza sull’argomento (anche per colpa degli scienziati che non fanno una corretta opera di informazione) : pochi sanno cosa sia effettivamente un OGM e quali vantaggi abbia e ancora meno persone conoscono i pericoli di alcune coltivazioni biologiche, come la maggiore probabilità di presenza di aflatossine (potenti cancerogeni prodotti da funghi) sul grano biologico rispetto ad una coltivazione tradizionale o OGM. La soluzione di bloccare totalmente commercio e ricerca sugli OGM alimentari è pazzesca: se il principio di precauzione può essere accettato come motivo della non commercializzazione, esso non giustifica assolutamente il divieto della ricerca in campo aperto; per quanto riguarda la commercializzazione, poi, sarebbe molto più facile segnalare sul prodotto in che modo è stato coltivato, permettendo quindi ad ognuno di scegliere, secondo la propria volontà, cosa comprare, magari specificando che non si è del tutto sicuri dell’ innocuità né della pericolosità degli OGM, esattamente come si fa con altri prodotti, come le sigarette, di cui invece si conoscono esattamente i pericolosissimi rischi.
Quando però si va nel campo farmaceutico e medico, per quanto riguarda la cura delle malattie, spesso la situazione si inverte, e si ha invece la spettacolarizzazione della scienza: facendo una veloce ricerca in Internet si possono infatti trovare senza eccessivi sforzi notizie con titoli come “Nuova cura per l’AIDS”, “Dagli Stati Uniti nuova cura per i tumori” e simili. E’ notevole come in questo caso la figura dello scienziato appaia quasi più come quella di un moderno sciamano che con strane tecniche può curare ogni male, in modo totalmente opposto da quello che succedeva nel caso precedente. Anche una pubblicità di questo tipo, ad ogni modo, non giova all’immagine della ricerca, nel momento in cui poi si viene a scoprire che la nuova cura non è poi così innovativa oppure che comporta effetti collaterali molto pesanti. Basti pensare alle costose cure oggi disponibili per l’AIDS: questi farmaci hanno effetti collaterali devastanti e sono cure in gran parte solo sintomatiche che non risolvono definitivamente i problemi per cui vengono adottate; se a ciò si aggiunge il fatto che essi devono essere assunti in multiterapia per avere il massimo effetto, si può immaginare come la situazione sia ancora più grave e complessa, in quanto gli effetti collaterali vanno a sommarsi (se non a moltiplicarsi) fra di loro.
In entrambi i casi, il fatto che l’opinione pubblica sia così disinformata ne determina anche la facile manipolabilità e contribuisce a generare una morale comune spesso confusa, e a volte disinteressata, fatto che non giova ad alcuno.
Per quanto riguarda invece le scelte politiche, c’è da dire che troppo spesso si interviene nella regolamentazione di sperimentazione e ricerca senza una vera e propria conoscenza degli argomenti di cui si tratta, ma semplicemente cercando di “tirare l’acqua al proprio mulino”, portando all’emanazione di leggi affrettate e non approfonditamente ragionate rispetto ai problemi di cui si tratta.
Vorrei fare un esempio pratico di come quest’ultima situazione si sia verificata recentemente in relazione ad un problema oggi molto importante, come la fecondazione assistita, analizzando brevemente la nuova legge in materia, emanata il 19 febbraio 2004. Essa infatti, contiene molte contraddizioni sia rispetto alle leggi vigenti ed alla Costituzione che, cosa ancor più grave e incredibile, profonde incongruenze interne, sia dal punto di vista giuridico che morale.
Le prime incongruenze si ritrovano già nel primo articolo, che permette il ricorso alla fecondazione assistita e “[…] assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”; il comma 2 precisa che, tuttavia, “il ricorso alla procreazione assistita è consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità”.
Basterebbero questi due commi per intavolare una discussione: se infatti devono essere rispettati i diritti di tutti i coinvolti, cioè anche (e soprattutto) quelli dei genitori, che sono gli unici da cui dipende effettivamente la scelta di avere o meno un figlio, non viene in alcun modo giustificato il comma 2 : si noti infatti che non si parla di trattamenti più efficaci o parimenteefficaci, ma solo di metodi efficaci. Questo significa innanzitutto non ritenere la fecondazione assistita una normale terapia per la cura di una malattia (visto che più volte l’OMS ha definito tale la sterilità), ma un’ultima spiaggia da usare se proprio non c’è altra speranza e comunque con molte altre limitazioni; si nega inoltre la libertà di scelta del tipo di cura, sia al paziente che al medico, che potrebbe ritenere l’inseminazione artificiale più efficace di altri metodi in determinati casi. Inoltre, l’articolo 4 comma 3 vieta “il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”, escludendo perciò dall’accesso a tali tecniche ad esempio le coppie fertili ma portatrici di patologie geneticamente trasmissibili (che comunque per il suddetto art.1 non potrebbero adottare queste tecniche in quanto fertili): ciò contrasta con l'articolo 32 della Costituzione che prevede l'obbligo della Repubblica di tutelare la salute dei cittadini, tra cui, a questo punto, si dovrebbe annoverare anche il nascituro. E’ inoltre da notare come le grandi restrizioni date da questa legge sul tipo di soggetti che possono accedere a questo tipo di terapia limita la possibilità di ciascuno, sempre sancita dalla Costituzione, di crearsi una famiglia come vuole e nel momento più opportuno, oltre a porre fortissime discriminazioni nei confronti di soggetti non eterosessuali; ciò era stato già affermato, prima che la legge fosse approvata, dall’appello firmato da molti bioeticisti e scienziati (tra cui Rita Levi Montalcini), che affermava : “Riteniamo doveroso affermare che la normativa in discussione al Senato sulla procreazione medicalmente assistita è inaccettabile e immorale: se approvata, violerebbe il diritto della cittadine e dei cittadini di formare una famiglia secondo i loro valori e le loro più profonde convinzioni, nonché il diritto di essere liberi di scegliere se avere o non avere figli, quanti averne, quando averli e come averli, anche ricorrendo all’assistenza medica”; ovviamente, anche in questo caso, l’opinione di illustri scienziati non è stata minimamente presa in considerazione.

Continuando ad analizzare il comma 1, troviamo un punto centrale di questa legge: la tutela dell’embrione; proseguendo la lettura del testo, infatti, vediamo come sia più volte riproposta questa volontà di protezione del nascituro, tanto che il capo IV della legge è intitolato “Misure di tutela dell’embrione” : spesso però questa volontà di protezione nei confronti dell’embrione si trasforma in una lesione dei diritti degli stessi genitori. Un chiaro esempio di questa situazione si ritrova agli articoli 6 (comma 3) e 14 (commi 1-2-3): in essi viene vietata la creazione di un numero di embrioni superiore a tre e la crioconservazione degli embrioni stessi, che è permessa solo temporaneamente ed esclusivamente per cause di forza maggiore di ordine medico, che impediscano l’impianto, a patto che questo venga effettuato “non appena possibile”; inoltre, l’articolo 6 dispone che i genitori possano revocare il proprio consenso a proseguire nell’impianto “fino al momento della fecondazione dell’ovulo”.

Se è sicuramente positivo voler tutelare in qualche modo l’embrione, mi sembra eccessivo, quasi pazzesco, voler mettere i diritti dell’embrione al di sopra di quelli dei genitori come accade in questo caso, in cui la madre è obbligata a farsi impiantare gli embrioni dopo la fecondazione in qualsiasi caso, rendendo la fecondazione assistita quasi pari ad un trattamento sanitario obbligatorio. Una legge che imponga alla madre di impiantare in ogni caso l’embrione, anche, ad esempio, sapendo che questo è portatore di gravi malattie, viola i più basilari diritti dell’uomo.

Inoltre, la limitazione del numero di embrioni a tre, in caso di insuccesso, costringe la donna a sottoporsi più volte a questo trattamento, provocando sicuramente uno stress psicologico e fisico elevatissimo, soprattutto vista l’alta possibilità di fallimento. Questi insuccessi, tra l’altro, potrebbero essere diminuiti fortemente grazie alla ricerca scientifica, che - ovviamente - la legge proibisce in più punti.

Credo che la questione centrale che doveva essere considerata a questo punto, cioè se l’embrione sia o meno una persona e che diritti abbia, non sia stata correttamente analizzata; senza addentrarmi infatti in questo dibattito, vorrei solo sottolineare che anche considerando l’embrione una persona esattamente pari alla madre, non si giustificherebbe un comportamento tanto lesivo per una delle due parti a favore dell’altra, in quanto tutte le persone dovrebbero godere degli stessi diritti.

Quale è stato quindi l’ intervento della politica in questo caso? Cosa si è voluto ottenere con questa legge? Essenzialmente il così grande interesse nel proteggere l’embrione, va in conflitto sia con il Codice Civile, per cui “la capacità giuridica si acquista al momento della nascita”, sia con la legge 194 sull’aborto, che è stata il target principale di questa manovra politica. La legge 40, infatti, mira a legalizzare una serie di dogmi che stabiliscano come debba essere fatta la famiglia e sanciscano il fatto che l’embrione sia un essere vivente dal momento stesso della fecondazione, cercando così di delegittimare la 194: l’imposizione a tutti di questi dogmi sotto forma di legge, un perfetto esempio di quella visione dogmatica della scienza già precedentemente nominata, è sicuramente la peggior situazione che si poteva auspicare in una legge che tratta di argomenti così importanti; una legge che dovrebbe infatti favorire il desiderio di avere figli, grande problema attuale, non fa altro che sfavorire questo desiderio, andando anzi a creare paura e costringendo coloro che se lo possono permettere ad andare all’estero per avere un figlio.

Concludendo, credo che la situazione più auspicabile nel trattare gli argomenti che riguardano la sfera delle biotecnologie e della medicina, sia quella di avere un potere legislativo ben separato dai comitati di bioetica, che però ponderi esattamente le sue decisioni in funzione del bene comune e delle proposte di questi ultimi, senza spingersi ad incredibili decisioni legislative come quella appena descritta, per favorire interessi politici e morali di una piccola parte della popolazione, che non si rispecchia per nulla nella volontà popolare, senza il rispetto della quale non ha senso parlare di repubblica.


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