Prevenzione per l’Alzheimer
Casi clinici 1
Per far capire meglio il tema principale dell’Alzheimer, che è la prevenzione, forse il metodo migliore è quello di presentare dei casi clinici che possano essere presi come paradigmatici.
Per inquadrare il “caso” nel teatro della cosiddetta demenza presenile tipo Alzheimer, ricordiamo i punti fondamentali sui quali è possibile centrare la diagnosi di M.A (malattia di A.). Stiamo parlando di quadri iniziali, proprio perché in quelli conclamati, nei quali la malattia può essere ritenuta vecchia di 4 e più anni, il deterioramento mentale, in tutte le sue specifiche funzioni, e le alterazioni neurodegenerative distribuite in quasi tutte le aree cerebrali (sottocorticali e corticali), prospettare una prevenzione sembrerebbe un vero e proprio desiderio delirante.
§ Il segno principale della malattia allo stato iniziale è la tensione emotiva incontrollabile, definita anche emotività libera che spesso si accompagna a crisi di angoscia. Questo sintomo era stato interpretato come conseguenza delle sensazioni di incapacità che la perdita della memoria era in grado di innescare.
In realtà, l’esperienza porta a riconoscere che l’emotività libera, proprio per le sue caratteristiche, antecede i disturbi mnesici di un qualche rilievo.
§ In un secondo tempo le difficoltà a memorizzare accentuano le tensioni e, soprattutto, portano a interpretazioni deliranti (per es. accuse ingiustificate contro qualcuno che nasconderebbe le chiavi) ed anche a momenti di depressione
§ Inizialmente l’ansia invasiva appare senza motivi validi, quasi istintivamente, ma, con la psicoterapia, si può evidenziare come siano presenti sensazioni di incapacità ad affrontare la realtà, vissuti legati ad un senso d’avere perso un ruolo personale o una qualità capace di distinguere.
§ È molto importante ricordare che i vissuti di incapacità e le sensazioni di aver perso le capacità personali di difendere il proprio Io, si riferiscono a non aver più quella “pelle psichica” che è sempre uno sforzo autodifensivo nei confronti dell’altro e del mondo.
§ Queste problematiche si instaurano su un background particolare, caratterizzato da due fattori determinanti:
a) l’età: la M.A. è una malattia pre-senile e, quindi, comincia a dimostrarsi intorno ai 60 anni, quando tutto il sistema adattivo (psico-affettivo e psico-cognitivo) comincia a perdere qualche colpo, soprattutto in relazione con l’aumento delle difficoltà che la società moderna fa aumentare enormemente con la sua complessità e conflittualità. Si potrebbe dire che l’età sia un fattore che favorisce la malattia e che è reso ipertrofico dalle problematiche sociali, famigliari e personali. Questi fattori facilitanti vengono a loro volta inibiti da un alto livello cognitivo-culturale, da un ambiente coinvolgente e protettivo, da una capacità organizzativa personale che mantiene i livelli di impegno lavorativo, di attività sociale, di ricchezza affettiva.
b) Le caratteristiche personologiche che, come evidenziato da molte osservazioni, sono: tendenza all’ossessività al perfezionismo ed alla pignoleria. Si potrebbe dire che una personalità ossessivo-compulsiva sia quella che favorisce, in qualche modo, la comparsa della situazioni critiche che facilitano la M.A.
Per riassumere: la M.A. si caratterizza per:
§ personalità di base tendenzialmente ossessiva e compulsiva;
§ età superiore ai 55-60 anni;
§ esperienza critica vissuta in maniera traumatica, cioè capace di indurre sensi di inadeguatezza, di perdita delle capacità di autodifesa, di non possedere più le capacità o una particolare situazione personale e/o famigliare sufficiente per sentirsi difesi;
§ incapacità di contenere la tensione emotiva che ha la possibilità di dilagare, come emotività libera, andando a compromettere tutte le funzioni psico-mentali.
Questo è il quadro prodromico della malattia al quale progressivamente, ma in maniera continua, faranno seguito i disturbi conclamati della malattia (perdita della memoria, indifferenza affettiva, perdite funzionali più o meno gravi che riguardano l’orientamento, le funzioni abituali di controllo dell’igiene personale, dell’adeguamento ai bisogni famigliari, sociali e relazionali, perdita progressiva delle capacità cognitivo-intellettive più elevate).
Tracciato il quadro generale della malattia, possiamo affrontare l’osservazione di una situazione clinica paradigmatica.
ROLANDO (nome fittizio)
ha 60 anni quando viene ad un controllo specialistico da lui stesso sollecitato perché disturbato da sensazioni di difficoltà psichica ed attacchi di panico. Questi non sono particolarmente importanti, ma fastidiosi perché inibiscono l’iniziativa e inducono a ridurre l’attività sociale anche della sua coppia.
Osservazione clinica:
si mette in evidenza uno stato di tensione emotiva che si accentua in quadri critici quando il colloquio tocca tematiche specifiche come per es. la morte del figlioletto di un amico, la difficoltà di sopportare la visione televisiva di filmati o di resoconti su fatti di cronica particolarmente forti.
Crisi di angoscia:
sono particolarmente intense e attrae l’attenzione l’intensa partecipazione psico-somatica con arrossamento del viso, gonfiore delle vene del collo, lacrimazione abbondante e rinorrea. Queste crisi si sono accentuate negli ultimi anni ed hanno determinato la richiesta di cambiare tipo di lavoro, all’interno del presidio ospedaliero, dopo più di 30 anni di attività sempre nello stesso reparto il trasferimento avvenne solo due anni prima della maturazione dell’età pensionabile che così venne accolta come una vera e propria liberazione da un incubo: andare a lavorare, ogni mattina, era diventato un rituale insopportabile.
Esami clinici e strumentali:
non hanno mai messo in evidenza il minor segno di patologia.
Inizio della terapia psicologica:
L’osservazione delle crisi di angoscia, l’emotività libera, l’atteggiamento psico-affettivo dominato da una scelta riduttiva e la richiesta d’aiuto sono stati considerati segni sufficienti per iniziare una terapia con il fine di chiarire il movente psico-patologico, eliminare le tensioni emotive, riorganizzare le funzioni psico-mentali.
Sin dalla prima seduta si sono evidenziate situazioni vivenziale particolarmente significative:
1) la prima crisi di angoscia veramente importante si è verificata in occasione di un ricovero dell’unica figlia per accertamenti che hanno portato ad escludere la presenza di un tumore cerebrale. Il padre reagì molto male a questa esperienza, dimostrando una labilità psichica riguardevole.
2) Il quadro si è ripetuto dopo pochi anni in occasione di una malattia della moglie.
3) La terza crisi violenta si è presentata in occasione della morte accidentale del figlioletto di un amico, avvenuta quando già era iniziato il pensionamento ed il paziente passava molte ore settimanali giocando con questo bambino e con dei suoi amichetti. Va notato che il paz. Passa ancora molte ore con l’unico nipotino che lo tratta “come il suo migliore amico”.
4) La quarta crisi in occasione di un attacco di broncopolmonite mentre era andato a fare dell’attività sciistica di fondo alla quale aveva cominciato a pensare per tenersi occupato durante l’inverno quando è difficile mantenere l’attività sportiva di elezione: il ciclismo.
Queste evidenze hanno portato ad evidenziare degli atteggiamenti particolari e personalistici nei confronti dell’attività sportiva.
1) per il paziente non si può competere senza mirare sempre alla vittoria, anche se questo comporta un sacrificio molto intenso per gli allenamenti. Bisogna sempre cercare di vincere perché “… il secondo non è altro che il primo dei perdenti”;
2) la sua attività sportiva era iniziata con il calcio al quale si dedicava in forma quasi professionistica. Improvvisamente abbandonò totalmente questa pratica per un problema disciplinare avuto in conseguenza di un diverbio con un arbitro. Non aveva sopportato una decisione “errata” che precludeva alla sua squadra una importante vittoria e da allora non calzò mai più le scarpette bullonate.
3) Cominciò a dedicarsi al tennis in maniera ossessiva (giocava in medi 6 ore al giorno), ma purtroppo subì uno strappo dei legamenti di un malleolo che lo allontanò dalla terra rossa. Per lui l’incidente fu determinante e non prese mai più in mano una racchetta da tennis.
4) Qualche anno prima aveva abbandonato l’uso della motocicletta dopo aver subito un piccolo incidente.
5) Dopo il tennis è stato il turno del ciclismo che, con allenamenti veramente furibondi, l’ha portato a vincere molte coppe, trofei e medaglie. Attualmente questa passione lo porta a percorrere da 80 a 150 km ogni giorno.
La sua vita è diventata ossessivamente monotona:
la mattina visita alla casa della figlia per accudire ed alimentare il cane; giro in bicicletta sino all’ora di prendere il nipote alla scuola; pranzo e passeggiata pomeridiana spesso con la moglie. Torna a casa prima che imbrunisca perché da qualche tempo:
- non riesce più a stare fuori dopo le 17;
- deve andare a letto presto perché non può vedere la TV dato che tutti i programmi gli inducono crisi di paura e di angoscia;
- ha rinunciato alle gite in montagna perché gli provocano angoscia.
La perdita degli oggetti e delle attività vitali per vivere sembrano il motivo centrale della psicopatologia di Rolando che si allaccia schematicamente all’esperienza. Intorno ai 35 anni, poco dopo il matrimonio, ci fu una discussione con la madre che aveva deciso di donare la sua casa alla figlia in procinto di sposarsi. Per questo ella si riduceva a vivere con il marito in 2 sole stanze seminterrate, senza servizi igienici. Il paziente non accetto questa decisione-sacrificio e ruppe i rapporti con la famiglia per un tempo di ben 20 anni. In parte si riconciliò quando la madre fu ricoverata in ospedale e poco dopo morì.
Questo distacco contrasta con l’attaccamento filiale dimostrato nei confronti dei suoceri che “… lo trattarono sempre con la tenerezza come se fosse loro figlio e, soprattutto, con la “sottomissione” che ha sempre dimostrato nei confronti della moglie. È questa che prende le decisioni importanti e che controlla il denaro: Rolando non ha mai maneggiato i soldi per paura di sbagliare.
COMMENTO E CONCLUSIONI
La vita psichica del paziente è dominata da un atteggiamento rinunciatario nei confronti delle difficoltà o, comunque, delle perdite. Di fronte ad ogni situazione critica rinuncia a qualche parte di sé per ricominciare da capo. Questo è supportato da una determinazione possente che gli permette di riconquistare una posizione dominante. Tale comportamento sembra ricalcare punto a punto il rapporto con la madre, come se ad ogni “sua” scomparsa debba ricostruire un nuovo legame con un impegno tale da riportarlo a vincere.
La situazione critica e distruttiva è sempre quella riferita ad un pericolo di morte (della figlia, della moglie, di se stesso) che disorganizza la struttura psichica.
La morte del bambino (suo compagno di giochi ed evidentemente il suo IO-emblematico) sembra quasi simboleggiare la sua stessa morte (il figlio della madre-negata) e, per questo, il ricordo fa scatenare crisi emotive veramente importanti.
La tensione della perdita e l’angoscia della morte portano ad una super-eccitabilità emotiva che diventa sempre più forte, ma, soprattutto, cronica, determinando uno stress continuo che, come ben sappiamo, è distruttivo per l’organizzazione psico-mentale.
In queste condizioni, non resta altro al paziente che agire una specie di “rinuncia psichica” che si concretizza nell’abbandonare tutte quelle azioni ed esperienze che comportano o possono attivare le sue reazioni di angoscia.
Sicuramente, queste esperienze sono per lui molto incisive ed insopportabili, proprio perché, non potendo essere elaborate psichicamente, determinano un coinvolgimento di meccanismi fisici ( di corpo) particolarmente forti e disturbanti.
La terapia di sostegno e centrata sul ripristino delle forze adattive e contenitrici dell’ IO, è facilitata dai sentimenti di adesività e di sottomissione (vedi rapporto con la moglie) che però devono esser sostituiti gradatamente da veri e forti sentimenti affettivi (senso di valore).
In questo modo l’intervento mira a controllare e a superare i tre cardini del disturbo psico-mentale:
- l’incontinenza emotiva;
- l’anestesia affettiva;
- la tendenza a generare la perdita di parti della vita psichica e relazionale nell’estremo tentativo di contenere le angosce.
I risultati sono rapidamente importanti:
- la tensione emotiva è ridotta e le crisi di pianto sono determinate da qualche ricordo o da emergenze inconsce;
- l’attività ludico-ricreativa sta tornando più normale perché non si riduce solamente alle quotidiane gite in bicicletta, ma sono state riprese le camminate in compagnia di amici ed anche da gite in montagna che durano vari giorni;
- si è risolta la obbligatorietà di tornare a casa prima dell’imbrunire; si è potuta avviare una collaborazione con una Associazione di volontariato che, all’inizio era quasi rifiutata per il terrore di non essere all’altezza della situazione o di non riuscire a sopportare la vicinanza di bambini disabili;
- si è riattivata la lettura di qualche libro e la visione dei telegiornali quotidiani;
- sono riprese le passeggiate in bicicletta da solo; sono state programmate le vacanze estive (in parte al mare, ma anche in montagna) superando le difficoltà che avevano determinato la loro rinuncia negli ultimi anni.
Sono ancora presenti momenti di sconforto, di tensione e di angoscia, così come pure atteggiamenti di paura per esempio in rapporto all’iniziare una terapia a cavallo.
Esiste ancora una tendenza all’isolamento e a limitare l’attività sociale, però Rolando, in questi ultimi tempi, ha accettato di uscire anche la sera, dimostrando una buona partecipazione (anche con qualche ironia).
Seppure non bisogna cantare vittoria sembra che si debba pensare che sarà possibile superare quelle difficoltà intrapsichiche che hanno determinato la perdita dell’iniziativa, la rinuncia a creare esperienze valide e attivatrici, la menomazione delle attività psico-mentali deputate all’adattamento ed alla vivacizzazione psico-relazionale, tutti segni negativi che avevano fatto temere una continua e infrenabile decadenza psichica, volitiva, affettiva, relazionale e sociale.
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