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Autismo e figura paterna

AUTISMO E FIGURA PATERNA

Romeo Lucioni


Un tema estremamente difficile per quanto riguarda l’autismo è la sua causa: l’eziologia.
Sono state proposte tante soluzioni, nessuna soddisfacente, tanto che si parla di eziologia multifattoriale e questo, più che chiarire, dà l’idea che ne sappiamo ben poco.
Venti anni fa la teoria psicoanalitica aveva messo l’accento su difficoltà relazionali con la madre che così aveva assunto il triste nome di “mamma frigorifero”, ma è stato un madornale errore che ancora non viene perdonato.
Forte è la spiegazione che si fonda in una causa biologica, ma non ci sono dati definitivi, soprattutto perché quando si trovano dei segni non viene chiarito bene il tipo o modello di autismo a cui vengono riferiti.
Le maggiori difficoltà concettuali vengono dal fatto che l’autismo ha per lo più il suo inizio intorno ai due anni, quando la struttura cerebrale (lobo frontale e pre-frontale) si sta maturando (come dice Antonio Damasco) e l’organizzazione psichica continua faticosamente a crescere tra percezioni, reazioni, vissuti, coscienza, pensieri, ecc.

, ecc.
Nel trascorrere delle indagini e delle interpretazioni, due considerazioni, a nostro parere, hanno portato luci nuove, anche se per nulla definitive, ma entrambe hanno interessato la funzione paterna.
Jacques Lacan, per primo, ha parlato di “forclusione del Nome del Padre”, sottolineando come nella relazione familiare il Padre perda di valore, di capacità di guida e di prestarsi come modello identificatorio. Anche in questo caso non è ben chiaro il ruolo dei componenti della triade in quanto potrebbe essere:
· il padre a porsi in una posizione alternativa;
· la madre ad assumere un ruolo dominante che esautora il partner;
· il bambino a cercare di prendere il posto-ruolo del genitore maschio.
Quest’ultima accezione sembra quella che più ha interessato Baron Cohen che ha parlato di un “bambino maschilista” che tende ad esautorare il padre e ad avvicinarsi alla madre che in realtà spesso si sente accettata, quando non eletta centro di un “amore simbiotico” (vedi anche la descrizione della Mahler).
In precedenti lavori, abbiamo sottolineato come nell’autismo non si trovino solo sintomi negativi (il ritiro, l’isolamento, il silenzio, la rinuncia ad ogni iniziativa, ecc.), ma anche sintomi positivi, che dimostrano una vera e propria posizione attiva:
· rifiuto anche violento dei contatti interpersonali;
· imposizione delle proprie scelte (ossessione per determinare costumi comportamentali per l’igiene, per l’assunzione del cibo, per gli spazi occupati, per la disposizione degli oggetti, ecc.);
· ossessività dei comportamenti che viene imposta a tutti (il tentativo di interromperli può portare a crisi di aggressività e di violenza).
Con queste considerazioni si può ben dire che le osservazioni di Lacan e di Baron Cohen non sono per nulla inconsistenti anche perché sostenute, oltre che dall’osservazione clinica, dal fatto che l’autismo è praticamente un disturbo dei maschi (4-5 volte più frequente rispetto alle femmine).
Si potrebbe dire che a partire dai due anni, terminandosi la maturazione del lobo frontale e organizzandosi il “sistema affettivo” (il mondo dei valori) il bambino non solo si apre alla socializzazione, ma comincia a organizzare la sua organizzazione mentale, non più sulle funzioni primitive dell’Io (mondo libidico, narcisismo primario, sistema rappresentazionale personalistico, coscienza e pensiero concreti, ecc.), ma sulle funzioni innovative che rappresentano il funzionamento del Sé (Kohut) e dell’Io-ideale (Lacan).
Proprio per questo possiamo pensare che a partire dai due anni (fino ai 4) il bambino comincia quella trasformazione-identificazione che lo porterà ad essere (con grande fatica) un soggetto e, per di più, un “maschio”.
Da questo punto di vista, è veramente importante sottolineare come le tre forme più importanti di “disturbo dello sviluppo” (autismo di Kanner; ADD-ADHD; disturbo dello sviluppo non artistico) sono quadri psicopatologici che colpiscono con prevalenza i maschi.
Anche la successione temporale è abbastanza netta:
§ Autismo di Kanner: è il più primitivo, iniziando intorno ai due anni, quando ancora non si è formata la coscienza di sé e degli oggetti; il pensiero è di tipo concreto; il funzionamento psico-mentale è dominato dal narcisismo primario, dall’egocentrismo e dall’onnipotenza;
§ Autismo Ipercinetico: ha il suo inizio intorno ai tre anni, quando già si sono formati gli oggetti, il pensiero è di tipo affettivo ed in parte simbolico, già funziona il Nome del Padre, l’egocentrismo onnipotente è sottoposto al vaglio di un senso di realtà rudimentale;
§ Il blocco non autistico: compare dopo i tre anni; gli oggetti interni ed esterni funzionano in un sistema rappresentazionale condivisibile; l’Edipo fa sentire le sue forze conflittive; lo sviluppo razionale contende spazi alle problematiche affettive ed il pensiero è già maggiormente simbolico-deduttivo, anche se non ancora sufficientemente efficace da potersi imporre alle tensioni affettive profonde.

In un modello riassuntivo possiamo scrivere:

L’OGGETTO GENITORIALE NEI QUADRI AUTISTICI

Autismo Autistico
Il Padre è assunto come “fallo” (modello impositivo, aggressivo, violento, distruttivo). La madre di fronte all’indifferenza o al rifiuto del padre da parte del “suo piccolo” lo circonda di maggiori attenzioni, in una atmosfera quasi simbiotica, attivando ancor più quei processi che chiamiamo /risposte controfobiche” che risultano tanto caratteristiche.
La madre assuma un ruolo terrorifico dal quale il bambino non riesce più a liberarsi (blocco dello sviluppo).
Per spiegare meglio, la madre somma su di sé l’onnipotenza del fallo e quella sua propria del seno, per questo diventa una specie di “mostro” che domina il mondo psichico del bambino.
Il bambino autistico:
- cerca ossessivamente comportamenti ripetitivi che attenuano le angosce e le esperienze terrorifiche;
- scaccia violentemente gli altri che provocano, con l’avvicinarsi, reazioni di grande paura;
- dimostra un interesse per il mondo circostante che guarda di sottecchi, del quale non gli sfugge nulla, che provoca con risolini e richiami.
Gli oggetti non hanno molto significato perché il bambino non ha raggiunto una piena coscienza (neppure del proprio sé).

Autismo Ipercinetico
Il Padre è vissuto come figura onnipotente, ma anche svalorizzata e sostituita dal bambino che, con la sua ipercinesia, ne mina il potere, la spavalderia, la capacità di essere del tutto onnipotente (“non mi dominerai mai, neppure se mi uccidi”).
La svalorizzazione del padre non ne limita la pericolosità ed infatti l’ipercinetico ne ha sempre paura.
La madre viene vissuta coma se accettasse l’iperattività del figlio come segno di normalità e/o di superiorità, ma viene anche svalorizzata, spesso derisa, ritenuta insignificante (nel confronto con il padre).
Il bambino, pur vivendo sentimenti di superiorità e onnipotenza per quanto riguarda le sue capacità motorie, dimostra invece:
- scarsissima autostima, timore fobico di sbagliare, per cui rinuncia a tutto ciò che teme di non poter fare o nel quale teme risultare “inferiore” (evita ogni confronto);
- spesso crea un falso sé proiettandosi in figure alternative;
- gli oggetti non hanno valore per lui, tanto che se ne può sbarazzare senza rimpianti;
- si riduce ad essere un soggetto insopportabile per gli altri: invidioso, sfacciato, insolente, incontenibile, aggressivo, incapace di rispettare le cose e le persone;
- tutte le sue marachelle sono per lui delle cose normali e che comunque fa senza pensarci;
tende a perdere ogni modalità di “mentalizzazione”.

Blocco Psicomentale
Il Padre è vissuto con paura (oggetto Superegoico ipervalorizzato), ma si struttura anche un senso di opposizione che porta alla negazione degli ordini e delle regole.
L’opposizione può portare il bambino anche a non voler più esprimere il proprio pensiero e creare, così, un quadro di “mutismo elettivo”.
La madre è assunta come oggetto d’amore, ma, nel contempo, su di lei possono scaricarsi le tensioni aggressive sostenute dalla frustrazione per le proprie difficoltà.
La madre, amata e rifiutata, si trova in una situazione difficile in quanto riconosce l’invadenza del padre (temuto anche da lei), sostiene il figlio che però non risponde alle sue sollecitazioni e chiede al padre di aiutarla nella sua impossibilità (non ricevendo che critiche).
Il bambino resta chiuso nella morsa rappresentata da un lato dal padre forte, poderoso e castrante e dall’altra dalla madre che non riesce a dargli sicurezza. Ne deriva una profonda impotenza che porta alla rinuncia a crescere, soprattutto mentalmente e a limitarsi a poche attività nelle quali riesce a “difendersi” e ad ottenere l’approvazione del padre.
Spesso, quando è da solo, il bambino risulta quasi normale: può parlare, esprimere i suoi desideri (cosa che non fa se sono presenti i genitori), prendere iniziative, attivarsi anche in ruoli di leader.


Queste considerazioni fanno pensare che il processo di sviluppo psico-mentale è più complesso nel bambino che nelle femmine, proprio perché nei maschi è più problematico il processo di auto-identificazione e, soprattutto, il poter trovare un equilibrio tra soddisfazione libidica di impulsi egocentrico-onnipotenti e lo scontro con la realtà fallica del padre.
Il doversi affrontare con una realtà Super-Egoica esterna percepita empaticamente e validata dalle sottolineature della madre, sembra ergersi come una problematica devastante se non può essere superata con l’aiuto di un equilibrato rapporto tra il soggetto e l’oggetto genitoriale.
Resta da chiedersi, comunque, quali siano le cause o i meccanismi per i quali un relativamente piccolo numero di bambini non riescano a trovare una soluzione al problema intrapsichico (non dipende dai genitori) e, quindi, cadano nell’autismo (4-5 bambini ogni 10.000 nati, nel caso della malattia di Kanner).

Ultimamente si sta parlando molto dell’aumento dell’incidenza dell’autismo, ma le statistiche non tengono conto delle differenze sindromiche. Dalla nostra esperienza (che si basa purtroppo su un esiguo numero di casi) potremmo dire che il grande aumento riguarda soprattutto il “blocco psico-mentale”, poco l’ipercinesia e quasi per nulla l’autismo di Kanner.
Se potessimo confermare questa osservazione, potremmo dire che l’aumento sia dovuto alle difficoltà socio-relazionali della nostra società, sempre più complessa e conflittiva, che genera situazioni di stress, di disagio, di difficoltà relazionali e di insoddisfazione. A questo proposito, si può sottolineare anche l’incremento dell’incidenza delle “sindromi borderline” e delle “psicopatologie dell’età senile” che sicuramente sono relazionabili con la complessità della società post-industriale ormai immersa nella conflittualità generata dalla globalizzazione.
Per tornare al tema del nostro lavoro, il rapporto tra autismo e figura paterna, dobbiamo anche sottolineare le esperienze terapeutiche fatte con il coinvolgimento attivo del genitore omologo. Seppure non si possa generalizzare questa metodologia si può tuttavia confermare che l’intervento terapeutico richiede anche la presenza del padre (che molto spesso assume un ruolo secondario o defilato), della sua partecipazione attiva per permettere di iniziare delle attività che il bambino può effettuare solo con lui.
Per altro lato, la terapia, attraverso metodiche fortemente spostate nella relazione, deve mirare al ripristino delle funzioni adattive dell’IO, allo sviluppo affettivo (senso di valere), all’organizzazione della funzione “Nome del Padre” e di tutte quelle espressioni relazionate con lo sviluppo cognitivo-intellettivo (attenzione, tenuta, volontà, comprensione, linguaggio, ecc.).
Un tema particolarmente importante è sempre quello del contenimento emotivo che nell’autismo si presenta come crisi di angoscia e di terrore, oltre che come emotività libera.
L’eccesso di emotività è frutto di stress cronico ed è sempre causa di gravi conseguenze.
Recenti ricerche hanno messo in evidenza come alti tassi di cortisolo (l’ormone dello stress) possono produrre anche degenerazioni cellulari e l’impiantarsi di situazioni gravissime come è il caso della insufficienza mentale nella sindrome di Martin-Bell.

Per queste osservazioni si può sottolineare che anche nell’autismo la tensione emotiva cronica può determinare situazioni psico- e neuro-patologiche, ma, con tutto questo, sfugge ancora qualcosa che mantiene l’autismo in un alone di mistero che speriamo possa essere risolto in breve tempo.




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