Epigenetica e psicoimmunologia: la chiave per stare bene
Guardatevi la mano: quelle che appaiono in superficie sono cellule dell'epidermide, un tessuto epiteliale. Pensate alla struttura di un neurone, con le sue numerose ramificazioni – i dendriti – ed un prolungamento che trasmette i segnali alla cellula successiva – l'assone.
Oppure immaginate un globulo rosso, con la sua caratteristica forma a disco biconcavo, che trasporta l'ossigeno in giro per il corpo. Che cos'hanno in comune queste cellule, diversissime tra loro? Esse si sono originate tutte a partire da cellule staminali che condividevano lo stesso patrimonio genetico, il DNA.
Il processo del differenziamento è una cosa che mi ha sempre affascinato, e che ci induce a pensare a quanto sia complessa la vita. In realtà, la corretta regolazione dell'espressione genica è cruciale in ogni organismo, specie se pluricellulare, in quanto solo un lavoro concertato di tutti gli individui (cellule) può portare al benessere della comunità (organismo).
Tutto ciò che concerne questa regolazione si chiama epigenetica (dal greco, ciò che sta sopra al gene), e consiste di una miriade di segnali di natura variabile che inducono una cellula a "esprimere" certi geni piuttosto che altri: l'espressione di un gene significa sostanzialmente la sintesi di una proteina.
Nel XX secolo si è imposta in certi ambienti la convinzione che fossero i geni a controllare la biologia, a determinare alla nascita quale sarebbe stato il destino biologico di ciascuno di noi. Una mole sempre più importante di studi scientifici ha però dimostrato il contrario: siamo noi, molto più spesso, a determinare il comportamento delle nostre cellule attraverso lo stile di vita, l'alimentazione, persino i nostri pensieri.
Uno storico esempio di tutto ciò è un esperimento condotto nel 1992 dal Dott. Jirtle, in cui si mostrò quanta potesse essere l'influenza dell'alimentazione per l'espressione genica. Si prese in considerazione una famiglia di topi, detti "Agouti" perché avevano un manto giallo, e si constatò che essi presentavano anche problemi del metabolismo come il diabete e l'obesità. Si scoprì che, somministrando ad una madre Agouti una dieta ricca di "gruppi metilici" (una sostanza chimica) subito prima del concepimento, i figli risultavano con il manto bruno e sani. I gruppi metilici, legandosi al DNA, avevano inibito il gene Agouti e determinato un topo che appariva come se non avesse quel gene.
Ancora più strabiliante è però il potere della mente: risulta con sempre maggiore evidenza che la nostra attitudine verso noi stessi e gli altri, i nostri pensieri e la nostra spiritualità, influenzano in modo notevole la nostra biologia. In particolare, è degno d'attenzione il rapporto che sussiste tra diversi stati mentali e la salute, rapporto che ha determinato il riconoscimento delle "malattie psicosomatiche".
Il rapporto mente-corpo è conosciuto da millenni, ma la medicina contemporanea, forte dei grandiosi sviluppi della chirurgia e dell'industria farmaceutica, l'ha come accantonato, etichettandolo spesso come "non scientifico". Questo è a mio avviso un grave errore, perché ci fa dimenticare che spesso la responsabilità della nostra salute non è da demandare al medico, ma a noi stessi: siamo noi a doverci prendere cura del nostro corpo.
Sarebbe sorprendente scoprire anche l'impatto che l'attività spirituale può avere sul nostro benessere: uno studio del 2006 della Dott.ssa Ironson, ad esempio, ha mostrato che i malati di AIDS che affermavano di essere amati da Dio nonostante la loro malattia, perdevano i linfociti T tre volte più lentamente di chi si sentiva punito. È stato inoltre provato che pratiche come la meditazione aiutano a stare meglio prima nella mente, poi nel corpo: nello stesso anno, alcuni insegnanti scolastici introdotti alle pratiche buddhiste che meditavano meno di mezz'ora al giorno hanno riportato miglioramenti dell'umore come se avessero assunto degli antidepressivi.
Ulteriori effetti benefici derivano da un'attitudine altruistica. Uno studio del 2005, che ha monitorato un gruppo di 2700 uomini americani per 10 anni, ha evidenziato che chi s'impegnava in regolari attività di volontariato presentava un tasso di mortalità per cause naturali inferiore del 50% rispetto agli altri. Gli "effetti collaterali" dell'altruismo comprendevano un miglior funzionamento del sistema immunitario, unito ad un senso di gioia, pace e benessere, e persino ad un alleviamento di sofferenze fisiche ed emotive.
Un'altra conferma del rapporto mente-corpo è rappresentata dal famoso "effetto placebo": esso si manifesta quando una persona presenta miglioramenti fisiologici in seguito all'assunzione di finti farmaci, pillole prive di principi attivi. In quei casi l'effetto terapeutico è causato interamente dalla convinzione che ha il paziente che quel farmaco lo farà stare meglio. Questo è conosciuto da tempo nel mondo medico, ma uno studio del 2002 ha mostrato che l'effetto placebo esiste anche in chirurgia.
Un gruppo di pazienti che soffrivano di artrite alle ginocchia sono stati preparati per un intervento, nel quale il chirurgo ha praticato delle incisioni ai lati delle ginocchia ma non è intervenuto sul problema. I pazienti, convinti di essere stati realmente operati, hanno riportato gli stessi miglioramenti di coloro che avevano subito un vero intervento.
È stato provato che un altro fattore cruciale per la nostra salute è il livello di stress: gli ormoni dello stress, primo fra tutti il cortisolo, hanno provati effetti distruttivi sulle cellule nervose nonché un effetto di inibizione del sistema immunitario, che ci protegge dalle malattie. Viceversa, bassi livelli di stress favoriscono la sintesi del DHEA, che fa esattamente l'opposto: stimola il rinnovamento cellulare e la difesa immunitaria, garantendoci di rimanere in buona salute.
Perciò, noi abbiamo una grande responsabilità nei confronti del nostro benessere. In ogni momento della nostra vita possiamo scegliere di nutrire pensieri, sentimenti, attitudini che ci facciano stare in pace con noi stessi e con il mondo, trasmettendo così un segnale di felicità e uno stimolo vitale alle nostre cellule. Quando ci lasciamo andare alla depressione e ad un atteggiamento mentale negativo, invece, mandiamo segnali autodistruttivi e autosabotanti: ci facciamo del male da soli.
Il vecchio detto
mens sana in corpore sano andrebbe perciò rivisto e formulato come
corpus sanum e mente sana (un corpo sano grazie ad una mente sana)!
A volte l'insorgere di un problema fisico rappresenta l'ultima carta che il corpo può giocare per allontanarsi da situazioni estremamente stressanti per una persona: un dottore racconta ad esempio di alcune visite a pazienti colpiti da infarto che, interrogati riguardo al motivo della loro degenza, non rispondevano citando la propria storia medica, ma con frasi del tipo "non potevo sopportare di vedere un giorno di più il mio capo". Sarebbe perciò opportuno mantenere una certa attenzione alla qualità della propria vita, per evitare di produrre sintomi estremi capaci di catalizzare un cambiamento nella propria esistenza, come l'allontanamento dal proprio posto di lavoro.
Tutto ciò che è stato esposto sin qui trova spunto da un libro che ho letto di recente,
Medicina epigenetica di D. Church: nel libro si citano centinaia di studi scientifici e si fa riferimento a moltissimi altri argomenti, troppo numerosi per essere trattati in questa sede, come la psicologia energetica – guarire riattivando i corretti flussi energetici nel corpo e risolvendo antichi traumi psicologici – e il rapporto tra la medicina e la fisica quantistica – pare che alcune guarigioni che appaiono "miracolose" o certi fenomeni fisiologici possano essere spiegati solo in tale ottica.
Un altro libro che ho visitato di recente è Amore, medicina e miracoli di B. S. Siegel. Costui è un chirurgo che, dopo aver esercitato per anni la sua professione in modo "convenzionale", si è accorto che gli mancava qualcosa. Ha capito dunque che era necessario lasciarsi coinvolgere emotivamente dai suoi pazienti, farsi raccontare i loro problemi e le loro paure, per determinare un notevole miglioramento delle speranze di guarigione, insieme ad un'aumentata fiducia del paziente nei confronti della terapia. Come scrive, "si è sentito un fallito fino a quando ha capito che la medicina non è fatta solo di pillole e incisioni". Quella che secondo lui è la chiave di volta è l'amore: prendersi cura amorevolmente dei propri pazienti, facendo in modo che parimenti essi amino se stessi e gli altri, è per l'autore il modo migliore per elevare al massimo le probabilità di successo della cura. Egli è convinto che l'amore incondizionato sia "il più forte stimolante del sistema immunitario". Il Dott. Siegel ha a che fare soprattutto con pazienti oncologici, malati di tumore, ed ha più volte accertato come la sua attitudine produca risultati evidenti anche con patologie tanto gravi.
Per questi motivi l'autore indica più volte la necessità di immaginare un nuovo tipo di dottore, che non abbia una visione meccanicistica della sua professione: i pazienti non sono macchine da riparare, ma persone da curare. Un dottore dovrebbe essere non solo un tecnico, ma una persona affettuosa e comprensiva; per il Dott. Siegel, il "distacco professionale" che viene insegnato ai medici è un'assurdità. È bensì necessario imparare a lavorare con una professionalità razionale che lasci spazio all'espressione dei sentimenti senza pregiudicare la capacità di prendere decisioni.
Un punto focale del discorso è rappresentato da quelli che lui chiama i "pazienti eccezionali": essi sono i più combattivi, quelli che vogliono essere coinvolti nella scelta della terapia, che non si arrendono, che vogliono vivere con tutte le loro forze. Purtroppo non rappresentano la totalità: per l'autore, essi sono solo il 15-20% dei suoi pazienti, poiché ci vuole coraggio per essere eccezionali. Questi pazienti sanno che la vita non dà garanzie, e ne accettano volentieri rischi e sfide: sono però determinati a guarire, e quasi sempre ci riescono; grazie all'alleanza terapeutica che si instaura con il medico, riescono a mobilitare le proprie energie per sconfiggere il tumore.
Il libro è pieno di guarigioni del genere, che l'autore precisa non essere "spontanee" ma "autoindotte": sono il risultato di un duro lavoro da parte del malato che capisce di essere responsabile della propria salute, e s'impegna a fondo per ritrovarla. Per l'autore, il problema delle statistiche sul cancro è che esse non tengono conto dei casi di autoguarigione, considerandoli troppo "mistici" per essere divulgati oppure archiviandoli come "diagnosi errate". Il paziente eccezionale invece si sbarazza delle statistiche, dicendo: io posso farcela. Per questo motivo l'autore ritiene sbagliato comunicare al malato quanto gli resta da vivere "secondo le statistiche", come se fosse una condanna contro cui non si può ricorrere, poiché queste a volte possono essere disattese.
Ciò che catalizza la guarigione, in questi casi, è spesso un cambiamento psicologico e spirituale: si diventa più pronti ad amare e a mobilitarsi per gli altri, e questo traduce anche un rinnovato amore per se stessi. Il corpo interpreta questo amore come desiderio di vita e mobilita tutte le sue forze per ripristinare una condizione di salute. La soluzione dei conflitti, l'autentica realizzazione di se stessi e l'amore sprigionano un'immensa quantità di energia che favorisce la biochimica della guarigione.
Tutti questi cambiamenti positivi sono stati riscontrati in pazienti che sono perfettamente guariti nonostante le previsioni contrarie: i pazienti eccezionali rappresentano le eccezioni alle statistiche.
A questo punto appare evidente che l'attitudine mentale gioca un ruolo decisivo per la nostra salute: può condurci alla guarigione oppure confermare tristi previsioni. Ovviamente questo discorso vale anche come prevenzione: una persona che goda della serenità mentale di cui abbiamo parlato ha probabilità molto inferiori di ammalarsi.
Tutto ciò potrebbe sembrare solo una questione di fede: puoi crederci oppure no.
Una nuovissima branca della scienza, invece, dimostra ogni giorno di più che il rapporto tra la mente e il corpo non è solo qualcosa di astratto, ma è fisiologicamente fondato. Questa scienza è la psicoimmunologia, che assume la sigla PNEI se si introducono i prefissi -neuro- ed -endocrino-. Essa studia come la nostra capacità di fronteggiare le malattie (immunologia) dipenda in ultima istanza dal nostro stato mentale (psico) e come ciò sia mediato dalle cellule nervose (neuro) e da mediatori chimici come gli ormoni (endocrino). Alla luce di questa nuova scienza, il corpo umano non viene più visto come un insieme di apparati indipendenti, ma come un sistema interconnesso in cui le parti dialogano tra di loro in una rete psicosomatica. Con la PNEI si afferma, pertanto, una visione olistica, scientificamente fondata, della medicina, che consente il recupero di tradizioni mediche antiche e non convenzionali che si prestano alla verifica scientifica, nel quadro di una medicina integrata e di una nuova, superiore, sintesi medica.
Grazie alla psicoimmunologia potremmo imparare a combattere la malattia utilizzando le risorse interiori, e agendo a livello della coscienza per potenziare la nostra capacità di difesa.
Alla luce della PNEI, ciò che appariva inspiegabile e sbalorditivo appare invece come razionale e scientificamente dimostrabile: la nostra attitudine mentale ed i nostri pensieri influenzano la nostra biologia e modulano la nostra espressione genica, ad esempio tramite l’induzione o l’inibizione della proliferazione delle cellule staminali immunitarie.
Cito un paragrafo dal testo scientifico di riferimento, Psychoneuroimmunology di R. Ader:
«La PNEI ingigantisce la complessità di aree di studio già in sé complesse. Tuttavia questo piccolo prezzo da pagare ci consentirà di comprendere meglio i processi biologici che sono alla base della salute e della malattia. Man mano che comprendiamo come il comportamento e le condizioni di squilibrio ormonale possano influenzare malattie del sistema immunitario e viceversa, potrebbe essere necessario ridefinire la natura di alcune malattie così come le strategie terapeutiche d’intervento».
Gli psicologi e quelli che sono intimamente convinti del rapporto mente-corpo non hanno molto bisogno della PNEI: essa serve invece a portare alla ribalta della scienza occidentale un assioma che la stessa ha eccessivamente trascurato.
Se siete interessati ad approfondire il discorso relativo alla psicoimmunologia, vi consiglio, fra le numerose fonti possibili, questi due siti web:
Societa italiana di PsicoNeuroEndocrinoImmulogia
La Psiconeuroendocrinoimmunologia - PNEI
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