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Le nuove frontiere della ricerca

Articolo scritto per il mio giornalino d'Istituto


Carissimi lettori, bentrovati sulle pagine di questa fervida realtà editoriale che è la Basetta. Oggi scrivo un articolo per parlarvi di un argomento un po’ particolare, di cui non si parla spesso fra giovani: la ricerca per la lotta contro i tumori.
Dovete sapere che il 25 Novembre scorso ho partecipato ad una conferenza così intitolata: “Dai geni del cancro nascono le nuove cure”. Era un sabato mattina, e per parteciparvi ho dovuto saltare una versione in classe. In quell’occasione sono intervenuti tre relatori, fra cui un famoso psichiatra; Daria Bignardi conduceva l’incontro. Non ho mancato neanche quella volta di prendere appunti, ed ora mi accingo a proporvi un sunto di quello che ho imparato quel giorno.
La nostra comprensione dei tumori è cambiata radicalmente dopo che siamo riusciti a decifrare il genoma umano. Si è scoperto che parlare di “tumore al colon” – e questo vale anche per qualsiasi altro organo – non è corretto, in quanto esistono molte differenti forme di questa patologia.

Le cellule tumorali di individui diversi presentano molto spesso profili genetici differenti, e questo spiega perché molti farmaci che hanno effetto su un paziente non lo hanno su altri. È qui che risiede l’aspetto fondamentale delle nuove tecniche per combattere i tumori: la terapia personalizzata.
Grazie a quest’approccio, infatti, dopo la diagnosi di una determinata malattia non sarà prescritta un’indicazione terapeutica “generale”, ma saranno effettuate delle analisi sul paziente per fare chiarezza sulle anomalie delle sue cellule tumorali rispetto a quelle sane. A queste analisi seguirà la somministrazione di un farmaco “intelligente”, progettato appositamente per colpire solo le cellule con un determinato recettore, presente a causa della loro peculiarità genetica.
La branca della medicina che si occupa di confezionare farmaci “su misura” è la farmacogenomica, settore che ha conosciuto un notevole sviluppo negli ultimi anni ed è destinato a diventare sempre più importante. Con quest’innovazione sarà possibile operare una cura individuale, non “di massa”, in cui ciascun caso sarà studiato singolarmente.
Cambiando un attimo argomento, l’intervento dello psichiatra è stato molto interessante perché è stato incentrato sul tema della paura. Essa, in generale, è un meccanismo di difesa che ci fa percepire dei rischi per evitarli e ci porta perciò ad essere più razionali. Senza la paura non esisterebbero né la medicina preventiva né la ricerca, a ben vedere, e questa è un’osservazione che mi ha colpito molto.
Secondo il relatore, non bisogna avere paura di fare i ricercatori; la ricerca è giovane, deve appassionare, è un’avventura in cui lanciarsi con coraggio. Ricercare è bellissimo, è straordinario, bisognerebbe parlare di più della ricerca: queste erano le sue tesi fondamentali.
Ebbene, tutto questo non ha potuto non destare il mio entusiasmo, perché, come taluni sanno, fare il ricercatore è proprio il mio sogno: trovare cure innovative per curare i tumori e combattere il cancro è espressamente la mia aspirazione più grande, ed è in ultima analisi per questo che vengo a scuola con voi da quattro anni a questa parte. Tra due dovrei iscrivermi a Biotecnologie mediche alla Bicocca, poi si vedrà.
Per quanto riguarda la mia etica da scienziato, vi dico questo.
Possiamo dire che negli ultimi due secoli l’Occidente abbia conosciuto una rivoluzione sanitaria di cui pochi parlano: vaccinazioni, trapianti, anestesie ed interventi chirurgici sono oggi all’ordine del giorno, ma nel ‘700 tutte queste cose erano fantascienza. Sebbene io voglia operare per migliorare ancora di più la salute media di una civiltà la cui aspettativa di vita non è mai stata così alta, mi impegno a non trascurare il resto del mondo (Africa, India, Sudamerica e via discorrendo) che tutte queste cose, ancora oggi, se le sognano.
La salute è oggi un’esclusiva per ricchi: io vorrei che un giorno possa essere di tutti.




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