Il caso della talidomide: dalla tossicità agli attuali usi clinici
E' capitato spesso nell'ambito della farmacologia e della tossicologia che studi di tossicità siano stati utili per scoprire utilizzi alternativi nella terapia e nuove proprietà medicamentose di farmaci ritenuti dannosi.
Il caso della talidomide ha sicuramente fatto parlare di sé in passato.
Questo farmaco venne immesso in commercio nel 1956 come ansiolitico, sedativo-ipnotico, antinausea e antiemetico per le donne in gravidanza.
Il dosaggio orale prescritto era di 50-200 mg al giorno e venne ampiamente pubblicizzato essendo apparentemente privo di effetti tossici sull'uomo (inizialmente gli unici effetti tossici osservati furono rari casi di neurite periferica manifestati in individui che avevano assunto tale medicinale per un periodo superiore ai 18 mesi); addirittura si consentì l'acquisto del farmaco senza obbligo di ricetta medica.
La talidomide venne accolta con grande entusiasmo da ben 47 Paesi nel mondo, primo tra tutti la Germania, e tra questi anche dall'Italia.
Nessuno allora aveva previsto ciò che sarebbe accaduto poco tempo dopo; infatti, già nel 1960 si osservò nella Germania dell'Ovest un ragguardevole aumento di bambini nati con malformazioni degli arti.
In particolare i neonati presentavano assenza degli arti (amelia) o riduzione delle ossa lunghe degli arti (focomelia).; oltre ciò si presentarono anche malformazioni dell'orecchio interno ed esterno, cardiopatie congenite, anomalie renali, intestinali e oculari.
Complessivamente si registrarono nel mondo 5850 casi di questo tipo.
Normalmente questo genere di embriopatia risultava estremamente rara ed insolita; proprio per questo motivo, l'elevata incidenza dei casi (3.1-3.4% su 10000 nati vivi) risultò sospetta e poco dopo (grazie agli studi di Lenz e McBride) la talidomide venne associata alla comparsa delle malformazioni.
Questo ne determinò nel Novembre del 1961 il ritiro dal commercio.
Il meccanismo responsabile di tale tossicità non è tuttora perfettamente noto.
Ciò che si sa con certezza è che il farmaco venne venduto come miscela dei suoi due enantiomeri, dotati ciascuno di una differente attività biologica: uno responsabile dell'attività terapeutica, l'altro degli effetti teratogeni associati all'uso del farmaco.
Diversi studi sono stati condotti su vari ceppi animali per comprendere il meccanismo di tossicità (tra cui studi struttura-attività, che hanno messo in evidenza la presenza di alcuni gruppi funzionali interessanti, come il gruppo ftalimidico o ftalimidinico, senza però fornire informazioni sui meccanismi).
In particolare la talidomide è stata saggiata in almeno 19 specie animali di laboratorio. Questi studi hanno permesso di stabilire che la teratogenicità del farmaco si presentava 20-36 giorni dopo la fertilizzazione; nel periodo sensibile dopo tale intervallo di tempo, i difetti che comparivano più precocemente erano la mancanza di orecchie, pollice con tre falangi e infine malformazioni (generalmente bilaterali) degli arti sia superiori che inferiori.
Fattori rilevanti per quanto riguarda tali effetti teratogeni sono sicuramente la durata dell'esposizione al farmaco, la dose assunta, la costituzione genetica del feto e la possibilità di accesso al feto da parte della sostanza.
Nel corso degli anni sono stati proposte varie ipotesi sul meccanismo di tossicità della talidomide, tra cui:
- effetti sull'angiogenesi;
- inibizione del TNF-alfa;
- effetti sul glutatione;
- danni ossidativi a carico del DNA;
- antagonismo con i fattori di crescita;
- regolazione dell'integrina.
Nel 2004, però, ricerche condotte da Hansen e altri hanno portato ad un'ipotesi molto accreditata, riguardante la disregolazione dell'espressione dei geni twist e FGF-10 indispensabili per la crescita degli arti nell'embrione.
Secondo tale ipotesi, lo stress ossidativo indotto dalla talidomide, ridurrebbe la capacità dell'NF-kB (importante fattore di trascrizione) di legarsi ai siti di legame sul DNA, impedendo l'espressione di questi due geni e, di conseguenza, il normale sviluppo degli arti.
Recentemente vari studi condotti sull'alterazione dei processi di angiogenesi e sulla funzione immunitaria, hanno permesso di delineare nuovi utilizzi terapeutici della talidomide.
In realtà si potrebbe affermare che, anche dopo il ritiro dal commercio, l'uso del farmaco non è mai stato completamente abbandonato.
Già negli anni '60 vennero avviate in Israele delle ricerche riguardanti il trattamento di alcune forme dermatologiche della lebbra e negli anni '90 venne approvato dalla FDA l'utilizzo della talidomide per il trattamento di ulcere orali associate all'AIDS e per l'eritema nodoso leporoso (complicanza infiammatoria della lebbra riscontrata in alcuni malati), chiaramente con l'obbligo di seguire dei protocolli di risk management da parte di medici, farmacisti e pazienti. Uno di questi è rappresentato dal programma STEPS (System of Thalydomide Education and Prescribing Safety), che rende circoscritto solo ad alcune circostanze l'uso della talidomide, con l'obbligo per le pazienti in età fertile di utilizzare metodi contraccettivi e di effettuare periodicamente test di gravidanza.
Attualmente le Agenzie Regolatorie di alcuni Stati (tra cui Stati Uniti, Israele, Francia, Turchia e Australia) hanno autorizzato l'utilizzo della talidomide in caso di particolari condizioni patologiche, primo tra tutte il mieloma multiplo. Quest'ultima è una grave patologia neoplastica ematologica, in alcuni casi resistente ai trattamenti standard. In queste situazioni è possibile intervenire appunto con la talidomide, che si è rivelata efficace anche in associazione a cicli periodici di desametasone.
Il meccanismo d'azione antineoplastico è, molto probabilmente, riconducibile ad un'azione di inibizione del processo di angiogenesi (formazione di nuovi vasi) tumorale, indispensabile per lo sviluppo e l'accrescimento del tumore. Infatti, questo processo risulta essere fondamentale per l'apporto di ossigeno e nutrienti alle cellule neoplastiche, che, private della loro fonte di nutrimento, non possono permettere l'accrescimento della massa tumorale.
Le stesse proprietà anti-angiogenetiche sono efficaci anche nel trattamento di altri tipi di tumori, tra cui il glioma, il melanoma, il tumore della mammella, il carcinoma ovarico, prostatico, renale, la crioglobulinemia, varie forme di linfoma cutaneo e il sarcoma di Kaposi.
Oltre questo, il farmaco sarebbe in grado di migliorare il sonno e contrastare la cachessia dei pazienti affetti da tumore.
La talidomide mostrerebbe anche dei buoni risultati nel trattamento di altre patologie grazie a proprietà antiinfiammatorie e immunomodulatorie, tra cui ulcerazioni orofaringee in pazienti sieropositivi, lupus eritematoso sistemico, nevralgia post-erpetica, eritema polimorfo ricorrente ed eritema nodoso leporoso (nel trattamento di quest'ultima patologia sembrerebbe molto efficace).
Generalmente i risultati si presentano abbastanza rapidamente, in media nell'arco di 8-12 settimane.
La dose somministrata è molto bassa nelle fasi iniziali della terapia, 50-100 mg al giorno, e viene aumentata progressivamente fino alla dose massima di 300-400 mg al giorno.
Oltre questa dose, possono comparire effetti collaterali, come, ad esempio sonnolenza, stipsi, fatica, disturbi dell'equilibrio, tremori, leucopenia, neuropatie a carico di mani e piedi, rush, secchezza cutanea e della lingua, rigonfiamento alle caviglie.
Effetti collaterali più rari, che si presentano specialmente se il farmaco viene assunto in associazione al desametasone, comprendono, invece, trombosi venose agli arti inferiori e aritmie cardiache.
Gli effetti collaterali più comuni sono facilmente contrastabili e, ad ogni modo, si manifestano se vengono superate le dosi massime di farmaco consigliate.
Visti i risultati positivi della talidomide in numerose condizioni patologiche, attualmente il farmaco è oggetto di numerosi studi e trials clinici, che si spera portino a risultati soddisfacenti e che permettano di utilizzare questo medicinale con una maggiore sicurezza ed efficacia.
Carmen C. Piras
BIBLIOGRAFIA:
- Casarett & Doull's, "Tossicologia", EMSI;
- Adler T. "The return of thalidomide", Sci News, 1994.
- www.medinews.it;
- www.farmaci.uvef.it;
- www.myeloma.it.
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