La ricerca sulle cellule staminali adulte e la questione della rilevanza morale delle cellule somatiche
1. Introduzione
Sono passati dieci anni da quando, nel novembre 1998, James Thomson riuscì ad isolare cellule staminali da un embrione umano. Ed è nel 1997 che i ricercatori del Roslin Institute di Edimburgo comunicano di aver clonato Dolly. Da allora le cellule staminali sono state portate sotto le luci dei riflettori, suscitando paure e speranze nell'opinione pubblica, entrambe spesso infondate. Quel che è certo, però, è che la scoperta delle cellule staminali e la ricerca in corso risultano uno dei pilastri della biomedicina del XXI secolo e prospettano scenari avveniristici, ma per nulla fantascientifici, riguardanti molte malattie ora incurabili e quindi la vita di milioni di persone. Quello che molti si chiedono però è se tutto quello che è tecnicamente fattibile è anche eticamente lecito.
L'annuncio del ricercatore Ian Wilmut di aver clonato una pecora con la tecnica del trasferimento nucleare somatico (SCNT) mise in subbuglio l'opinione pubblica, centinaia di giornalisti si precipitarono all'Istituto e il mite muso di Dolly conquistò le copertine dei giornali di tutto il mondo.
In cosa consisteva la metodica utilizzata dall'équipe di Wilmut? Nel prendere un ovocita di pecora, enuclearlo e rimpiazzandone il nucleo con quello di una cellula della ghiandola mammaria di una pecora di sei anni. La cellula uovo, sottoposta a trattamenti particolari, una specie di scossa elettrica, comincia a dividersi e viene poi impiantata nell'utero, nel caso di Dolly di un'altra pecora che ne è stata la madre surrogata.
La clonazione di una pecora dimostrò al mondo la possibilità di clonare mammiferi, cosa che fino ad allora sembrava un'utopia e che rendeva inimmaginabile arrivare all'uomo.
Fu l'embriologo tedesco Hans Driesch che si chiese, ancora negli anni '30, se la differenziazione cellulare è un processo unidirezionale oppure se il programma genetico di una cellula differenziata può essere riprogrammato, e a tal fine ipotizzò un esperimento che per le conoscenze tecniche dell'epoca purtroppo risultava impraticabile: prelevare il patrimonio genetico da una cellula di un embrione in stadio avanzato di sviluppo, o addirittura da una cellula adulta, e trasferirlo in una cellula uovo che era stata privata del suo. Solo così si sarebbe potuto verificare se il nucleo di una cellula differenziata fosse stato in grado di riprogrammare l'informazione espressa e controllare lo sviluppo embrionale. Nel 1952 due ricercatori dell'Institute for Cancer Research verificarono questa possibilità mediante sperimentazione su una rana, ottenendo lo sviluppo dell'embrione fino allo stadio di girino. Per lungo tempo però i tentativi sui mammiferi si rivelarono infruttuosi e questo risultava tutto sommato tranquillizzante per l'opinione pubblica, perché si pensava che la clonazione umana non si sarebbe mai potuta verificare. Dopo Dolly esplosero le polemiche per i possibili scenari che la clonazione prospettava, il filosofo Hans Jonas collocò la clonazione tra i "metodi futuribili" per attuare strategie di tipo eugenetico, i giornali si sbizzarrirono a immaginare un futuro di fotocopie di milionari eccentrici o criminali senza scrupoli, per quanto gli scienziati si affannassero a sottolineare che due cloni non sarebbero più simili di due gemelli, e che in ogni caso il clone di un individuo nascerebbe in un contesto storico e sociale diverso.
Ma il problema principale è che questi cloni, come testimoniano i risultati ottenuti sugli animali, presentano spesso anomalie che rendono il processo altamente inefficiente (ci sono voluti 277 tentativi per ottenere Dolly…). L'effetto è dovuto ad una forte instabilità epigenetica che può risultare compatibile con la vita ma a prezzo di difetti anche in molti dei cloni che riescono a nascere e svilupparsi. Penso che nessun ricercatore sano di mente si avventurerebbe pertanto lungo questa strada con lo scopo di riprodurre esseri umani. In ogni caso questo tipo di clonazione è vietato da tutte le legislazioni e incontra la ferma opposizione dell'opinione pubblica, con l'eccezione di qualche gruppo come i raeliani, famosi per aver preso in giro il mondo con l'annuncio-bufala della nascita di Eva, la prima bimba clonata.
2. Clonazione riproduttiva, clonazione terapeutica
Sullo clonazione riproduttiva si sono perciò via via spenti i riflettori, non è stato così per la clonazione terapeutica, ovvero per la produzione di embrioni in laboratorio da cui estrarre cellule staminali che possano servire per la ricerca su alcune malattie degenerative (ad esempio il Parkinson) nella speranza d'individuare terapie cellulari efficaci. Non si tratta di 'fotocopiare' delle persone che nasceranno, ma di avere a disposizione delle cellule staminali embrionali per la ricerca scientifica e per sviluppare eventualmente terapie specifiche per ogni paziente. Nel '98 poi il caso di Thomson e la sua dimostrazione che queste cellule staminali si possono isolare da embrioni umani e coltivare in vitro, mantenendone inalterate le potenzialità, dà il via a un dibattito vivace circa la liceità dell'utilizzo di queste cellule, seppur a scopo di ricerca.
Finché nel 2004 fece il giro del mondo la notizia che a Seoul Woo Suk Hwang e Shin Yong Moon avevano clonato un embrione umano. I due scienziati sudcoreani ebbero a disposizione 242 ovociti donati (o perlomeno così è sempre stato sostenuto) da sedici donne; da questi, procedendo per tentativi ed errori, con la tecnica del trasferimento nucleare riuscirono ad ottenere 30 blastocisti e solo una linea di staminali embrionali, dimostrando comunque la fattibilità di generare cellule staminali da cellule somatiche. Oltre che per ovvi motivi l'esperimento è stato criticato anche per la mancanza di trasparenza relativa alla provenienza di quegli ovociti. Le donatrici avevano veramente donato quelle cellule? O erano state pagate? Ed erano a conoscenza dei rischi e dell'invasività delle metodiche a cui sarebbero state sottoposte? Ci si chiese se fosse etico sottoporre donne a forti trattamenti ormonali per la stimolazione ovarica e operazioni chirurgiche per prelevare gli ovociti, con pericolo per la loro salute, solo per ricavarne cellule germinali per la ricerca. Oltretutto questo è anche uno dei punti deboli della clonazione terapeutica tramite SCNT che richiede disponibilità di ovociti per ogni potenziale malato sul quale applicarla. Probabilmente si arriverà a derivare cellule uovo da staminali embrionali risolvendo il problema della carenza, altri hanno pensato alla possibilità di usare ovociti che non sono stati fertilizzati nel corso di trattamenti di FIV, altri addirittura a far maturare in vitro gli ovociti primordiali ricavabili da feti femminili abortiti. In ogni caso queste soluzioni sono ancora remote e si rischia di rendere accessibili le cure derivanti dalla clonazione terapeutica, già di per sé molto costose, solo a coloro che potranno permettersi il lusso di pagare questi ovociti. Altro rischio è quello di arrivare allo sfruttamento delle donne soprattutto in paesi dove non c'è legislazione a riguardo, come nei paesi in via di sviluppo, dove si potrebbe giungere ad una vera e propria commercializzazione degli ovociti.
Ma questi aspetti sono sempre stati tralasciati dall'opinione pubblica e lo sono tuttora come lo furono allora, quando si diede la precedenza alla notizia sensazionale della clonazione riuscita, seguita e breve tempo da un secondo annuncio dei due che sostennero di aver ottenuto con questo sistema diverse linee di staminali, specifiche per i singoli pazienti, che ne avrebbero permesso le cure evitando il rischio di rigetto. Il lavoro pubblicato su Science si rivelò un falso clamoroso, con dati artefatti che una commissione indipendente denunciò al mondo causando il discredito dell'ormai famosissimo Hwang e la delusione di milioni di persone che credevano nelle potenzialità di quella tecnica per avere cellule su misura per ogni paziente, l'editoriale di Science che invalidò i due papers affermò che " ..the claim in Hwang et al., 2005 that 11 patient-specific embryonic stem cells line were derived from cloned blastocystsis based on fabricated data (...) the laboratory does not possess patient-specific stem cell lines or any scientific basis for claiming to have created one."
Siamo ancora lontani quindi dalla possibilità di una terapia personalizzata; le applicazioni teoriche sono svariate ma le cellule staminali sono difficili da mantenere in coltura, tendono a differenziare perdendo la loro pluripotenza, possono dare origine a teratomi o altri tumori e, al momento, risulta estremamente difficile riuscire a indirizzarle affinché differenzino in cellule della tipologia voluta e soprattutto possano organizzarsi a dare organi e tessuti.
3. Applicazioni cliniche e speranze per il futuro
Nonostante tutti gli ostacoli riscontrati dal punto di vista pratico comunque le potenzialità di queste cellule sono molteplici, dalla medicina rigenerativa alla terapia genica al settore dei trapianti. Le HSC (hematopoietic stem cells) sono già utilizzate nella clinica, ad esempio dopo terapia mieloablativa per ricostituire l'emopoiesi nel paziente evitando la graft versus host disease e il rigetto che per lungo tempo hanno impedito il successo dei trapianti aploidentici. Così ora è possibile evitare l'uso di dosi eccessive di farmaci immunosoppressori, mentre in ambito oncologico grazie alle HSC si possono sottoporre i pazienti con leucemie o linfomi a trattamenti radio e chemioterapici ad alte dosi, che riducono al minimo il rischio di recidive ma assicurano la ricostituzione emopoietica in tempi sufficientemente brevi da evitare la sepsi. Anche nel campo della riparazione tissutale in caso di ustioni o patologie come l'epidermolysis bullosa si sono fatti passi da gigante dato che siamo in grado di coltivare i cheratinociti ottenibili dal paziente stesso tramite una biopsia, espanderli in vitro su un substrato di fibroblasti e ritrapiantare il lembo di pelle artificiale nel paziente. Addirittura si possono ottenere delle strutture tridimensionali che rispecchiano pressochè interamente l'organizzazione tissutale della cute normale. Lo stesso successo è stato ottenuto isolando le cellule staminali del limbus, che rigenerano fisiologicamente l'epitelio corneale, in modo da riprodurre in laboratorio cornee trapiantabili senza dover ricorrere necessariamente all'espianto da cadavere. Molte altre strade sono aperte, anche se ancora a livello di sperimentazione, dalla produzione di neuroni dopaminergici per il morbo di Parkinson a quella di staminali in grado di fare homing nel miocardio infartuato e ripararlo; appaiono più distanti invece possibilità di utilizzare le cellule staminali per curare patologie al momento incurabili come la distrofia di Duchenne, la Corea di Huntington o la sclerosi multipla.
Ciononostante spesso e volentieri si pensa a queste cellule come ad una panacea per tutti i mali: a volte sono stati gli stessi ricercatori a rivelarsi o troppo frettolosi nell'esporre i propri risultati o troppo ansiosi di procurarsi un po' di pubblicità (e perché no, di finanziamenti) ma i mass-media hanno sicuramente avuto le loro responsabilità perché se da un lato si tende a demonizzare questa tipologia di ricerca, soprattutto quando si prendono in considerazione le cellule staminali embrionali, dall'altro la confusione tra le potenzialità e le reali applicazioni è grande e solo in casi eccezionali (vedi la truffa di Hwang e Moon) eventuali ritrattazioni giungono all'opinione pubblica. Così il comune cittadino che si mostra a favore della ricerca sulle cellule staminali probabilmente ignora che tutti i benefici annunciati quasi sempre non saranno a disposizione dei pazienti in tempi brevi. Negli ambienti accademici questo viene invece visto dai detrattori come un ulteriore punto a sfavore della ricerca sulle cellule staminali, argomentando che sarebbe più conveniente sovvenzionare ricerche che non siano ancora allo stadio di ricerca di base. La motivazione mi sembra abbastanza risibile dato che come afferma anche Demetrio Neri nel suo articolo La ricerca sulle cellule staminali tra etica e politica come ci si può aspettare risultati clinici da un ambito di ricerca così giovane? Anzi bisognerebbe lodare tutti quelli scienziati che si mostrano così cauti nel passare alla sperimentazione sull'uomo. Pare solo uno dei tanti tentativi che si sono fatti a livello politico di mettere dei paletti alla ricerca scientifica, soprattutto in Europa, viste le controversie legate a un settore così scomodo: obiezioni di carattere utilitaristico potrebbero risultare più forti di argomenti come la liceità morale di questa ricerca, vista la mancanza di una visione condivisa.
4. Lo statuto dell'embrione dal punto di vista ontologico ed etico
Lo status dell'embrione è stato ed è tuttora oggetto di innumerevoli disquisizioni scientifiche, etiche e filosofiche che non sono ancora riuscite a dirimere la questione:
• La prima divergenza si ha relativamente al quando si deve considerare l'embrione rilevante dal punto di vista morale. Sin dalla fecondazione? Quando si può parlare di persona e cosa vuol dire persona? Il termine infatti non è sinonimo di essere umano, di soggetto umano, o di vita umana. L'argomento più ricorrente a difesa del diritto alla vita dell'embrione è basato sul principio di potenzialità a diventare persona: in considerazione di ciò quindi si ha il dovere di tutelare l'embrione fin dalle sue primissime fasi di sviluppo.
I detrattori di questa teoria sostengono che un simile ragionamento potrebbe per analogia essere esteso anche ai singoli gameti e, come fa notare Balistreri, dopo le ultime innovazioni in ambito scientifico le sfaccettature sono ancora più numerose al punto che chi sostiene questa teoria dovrebbe ritenere illecito non solo l'aborto (e, a maggior ragione, l'uso di embrioni a scopo di ricerca) ma anche la contraccezione.
• Un'altra tesi sostiene che bisogna invece fare un distinguo: solo con la fecondazione si ha lo zigote ed è lo zigote che contiene tutte le informazioni genetiche necessarie allo sviluppo di un individuo. In ogni caso queste posizioni pongono il veto assoluto sulla sperimentazione perché partono dall'assunto che la distruzione di un embrione equivale a un omicidio a prescindere dal fatto che esso si sia originato da fecondazione naturale, in vitro o da trasferimento nucleare.
• Altri invece sostengono una concezione gradualistica della vita: poiché fino al quattordicesimo giorno dividendo la blastocisti non si uccide l'embrione ma se ne originano due (è questo il limite temporale per la formazione dei gemelli omozigoti), il momento più importante non è la fecondazione ma la gastrulazione, cioè il processo che si avvia dal sedicesimo giorno e determina la formazione dei tre foglietti embrionali; oppure si può porre come spartiacque la formazione del tubo neurale, abbozzo del sistema nervoso, o ancora l'annidamento della blastocisti nella parete uterina. In tutti i casi questa tesi considera che lo zigote e il successivo precocissimo sviluppo non determina ancora un individuo completo ma solo un ammasso di cellule non organizzate, un'entità indefinita o un "pre-embrione", che merita comunque rispetto e protezione in quanto forma di vita umana ma non in misura paragonabile a un individuo adulto. Per i sostenitori della concezione gradualista quindi la sperimentazione sugli embrioni, sia pure con dei limiti, è considerata accettabile.
La questione più spinosa tuttavia rimane quella di determinare se l'embrione, ammesso che sia biologicamente un individuo, sia anche persona. E su questo la scienza non può dare risposte.
Neri nel suo La bioetica in laboratorio scrive che "autorizzare o meno l'uso di embrioni a scopo di ricerca non è la solita questione teorica intorno alla quale il dibattito accademico può andare avanti all'infinito senza che la vita reale ne venga minimamente turbata. E' una questione che riguarda la vita di milioni di persone", e aggiunge che nessuna soluzione troverà mai consenso unanime, ma escludendo l'improbabile conversione di tutti a una stessa posizione morale o religiosa non c'è alternativa a questo metodo. Comunque non spetta alla scienza dare queste risposte, come affermano Aaron Fait e Michael Beyo ".. non possiamo impedire che filosofi, intellettuali, uomini di religione, ampie frange della società, definiscano le istanze morali sollevate dalla ricerca scientifica. Possiamo solo sostenere che la scienza non è in grado di dare loro risposta; la scienza è estranea al concetto di bene e male, non possiede metodi per emettere giudizi su simili temi. Lo scienziato non può nulla se non rendere limpida il più possibile la propria attività all'opinione pubblica", ed è vero che spesso annunci sensazionalistici come quello del gruppo sudcoreano o del dottor Huang Hongyun, l'artigiano delle staminali che ricava staminali neuronali da embrioni per curare pazienti con lesioni alla spina dorsale (in lista d'attesa da ogni parte del mondo, nonostante i forti dubbi del mondo scientifico sull'efficacia della terapia) da una parte alimentano speranze, dall'altra circondano la ricerca sulle staminali di un alone di diffidenza e sospetto.
5. Esistono valide alternative all'utilizzo di staminali da embrione?
5.1. Le fonti oggi disponibili e le questioni etiche
Attualmente le fonti di staminali embrionali sono tre:
le linee cellulari derivate negli USA prima del 2001, la cosiddette "presidential lines", le uniche consentite perché già derivate quando cominciarono le polemiche sulla liceità dell'utilizzo di staminali embrionali e quindi le uniche che non comportano ulteriore distruzione di embrioni. Gli scienziati però sono spesso scettici sulla bontà del loro utilizzo dato che molte sono state prodotte mediante co-cultura con stromali murine, quindi incompatibili con i criteri Gmp (Good Manufacturing Practices) per l'applicazione in clinica. Alcune di queste linee risultano poi talmente difficili da mantenere in coltura da renderne altrettanto complicato l'utilizzo. Inoltre l'utilizzo di staminali già derivate impedisce ai ricercatori di acquisire le conoscenze relative ai metodi di derivazione e vengono favorite compagnie biotech come la Geron, dententrici del brevetto sulle linee, che forniscono le linee cellulari staminali ma che si riservano anche i diritti su qualsiasi applicazione terapeutica possa derivarne;
gli embrioni soprannumerari o "orfani", rimasti inutilizzati dopo le procedure di fecondazione in vitro. Questi embrioni costituiscono quasi il 60% di quelli impiegati per questa metodica, scartati perché hanno cessato il proprio sviluppo prima di raggiungere le condizioni per l'impianto ma con cellule ancora funzionanti. La Chiesa è contraria alla fecondazione in vitro in quanto tale, giudicando immorale qualsiasi fecondazione che sostituisca l'atto coniugale, ma tanto più perché comporta come pesante collateralità la distruzione di un alto numero di embrioni (dato che non si può lasciarli nei congelatori per sempre e non si conoscono gli effetti di diversi anni di crioconservazione). In Italia la legge 40/04 proibisce di utilizzare più di tre ovociti fecondati, che devono essere tutti impiantati, proprio per risolvere alla radice il problema degli embrioni soprannumerari. Anche in Italia però il problema sussiste (si stima che nel nostro paese ci siano quasi trentamila embrioni conservati in attesa di deciderne il destino) e in molti considerano che se l'alternativa è la loro distruzione forse è preferibile che vengano utilizzati a scopo di ricerca;
gli embrioni creati appositamente a scopo di ricerca attraverso la metodica del trasferimento nucleare.
Queste due fonti sono quelle che suscitano maggiori contrapposizioni ideologiche ed è questo l'argomento centrale affrontato nella review di Kristina Hug: una delle questioni pone l'interrogativo su una sorta di mancanza di rispetto agli embrioni soprannumerari, dato che se la terapia con le staminali avrà facile applicazione essi verrebbero strumentalizzati e privati di dignità in quanto destinati esclusivamente a fonte di materiale terapeutico.
Ne deriverebbe inoltre una società meno garante del valore della vita e quindi più disponibile e disinvolta nel ricorrere a pratiche di eutanasia per disabili e anziani. Infine da un punto di vista prettamente filosofico c'è differenza tra atti ed omissioni e quindi un conto è distruggere attivamente gli embrioni un altro non intervenire per fermare la loro distruzione.
A mio avviso questa comunque è una posizione non condivisibile perché è in ogni caso preferibile utilizzare gli embrioni "orfani" per la ricerca per la ricerca se destinati comunque alla distruzione qualora non vengano impiantati né donati una volta terminato il periodo della loro crioconservazione. Condivido anche l'altra contro-argomentazione, è abbastanza improbabile che la distruzione di questi embrioni, da sola, determini il venir meno il rispetto per la vita umana nella società, proprio perché la ricerca scientifica ha come scopo quello di salvare vite umane.
L'altra problematica sollevata riguarda l'equivalenza o meno tra embrioni avanzati dalla FIV ed embrioni creati appositamente per scopo di ricerca, si può considerare la ricerca usando i primi moralmente più accettabile, dato che sono stati creati con lo scopo più "nobile" di generare esseri umani, anziché appositamente per essere distrutti.
Un'argomentazione maggiormente valida per considerare lecita questa opzione sta nel fatto che le linee di cellule staminali da essi prodotti sarebbero compatibili col paziente da cui è stata prelevata la cellula somatica, cancellando i rischi del rigetto.
5.2. Altre fonti di cellule pluripotenti per la ricerca
Negli ultimi anni i dilemmi etici sollevati dall'uso di queste fonti per ottenere cellule staminali embrionali hanno stimolato la ricerca di alternative per ottenere staminali embrionali senza dover distruggere embrioni e poter così anche rientrare nei progetti di ricerca che possono accedere ai fondi pubblici, problema molto sentito soprattutto per i ricercatori statunitensi (in quasi tutta Europa e in Italia, come vedremo, la legislazione attuale è comunque molto più restrittiva). L'articolo di Rao e Condic offre una panoramica dettagliata dei tentativi che si sono fatti finora in questo senso. Innanzitutto per evitare che la tecnica del SCNT dia origine a un embrione si può riprogrammare il nucleo di una cellula somatica adulta ad uno stato di pluripotenza, anziché di zigote, fondendola con una cellula staminale embrionale ottenendo un ibrido tetraploide. Al momento però risulta difficile riuscire ad arrivare ad una linea cellulare con cariotipo normale e lo stesso genotipo del donatore della cellula somatica. Recenti lavori come quello del giapponese Yamanaka hanno dimostrato poi che la riprogrammazione può essere effettuata a prescindere da embrioni ed ovociti, andando semplicemente ad indurre l'espressione mediante retrovirus di quattro fattori di trascrizione (Oct-4, Sox-2, Klf-4 e c-myc). Il gruppo di Yamanaka ha riprogrammato fibroblasti murini adulti in uno stato simile a quello di cellule staminali embrionali. Queste cellule definite iPSCs (induced pluripotent stem cells) consentirebbero di evitare le questioni etiche connesse sia all'uso di embrioni per la ricerca che alla donazione di ovociti, però l'espressione esogena di questi fattori associata alla pluripotenza delle cellule determina una forte probabilità di andare incontro a tumorigenesi, soprattutto per l'espressione dell'oncogene c-myc. Altri dubbi sorgono per l'utilizzo dei retrovirus dato che la storia della terapia genica riporta un decesso e lo sviluppo di una leucemia a cellule T in tre bambini dopo trial clinici che prevedevano l'utilizzo di vettori virali. Comunque nonostante tutti gli ostacoli tecnici questa strada sembra attualmente una delle più promettenti.
Una variazione sul tema è l'ANT (altered nuclear transfer) in cui si va ad alterare il nucleo di una cellula somatica downregolando ad esempio Cdx2, gene richiesto per lo sviluppo precoce embrionale, in modo che la sua combinazione con un oocita enucleato produca una cellula che genera altre cellule pluripotenti ma senza diventare un embrione. Non si hanno i mezzi però per stabilire se questa procedura previene veramente l'embriogenesi o se piuttosto origina degli embrioni con dei deficit, cosa che non risolverebbe le controversie.
Ancora più discutibile è l'idea di produrre embrioni umani non vitali attraverso un trasferimento nucleare che coinvolga una cellula umana e un uovo denucleato appartenente ad un'altra specie, cosa che permetterebbe di ottenere cellule staminali da una blastocisti che non proseguirebbe lo sviluppo. In questo caso ci sono diversi punti a sfavore, oltre a non sapere se ciò è tecnicamente possibile non si sa nemmeno se le staminali ottenute in questo modo sarebbero immunologicamente e funzionalmente uguali a quelle ottenibili da un embrione "tradizionale", inoltre come nel caso degli xenotrapianti c'è il rischio di trasmissione di retrovirus. A mio parere però lo scoglio maggiore sarebbe il giudizio dell'opinione pubblica sulla creazione di questi embrioni subumani che potrebbe essere considerata non il tentativo di evitare l'utilizzo di embrioni umani, ma l'ennesima aberrazione scientifica.
Un'alternativa interessante sarebbe invece sviluppare delle cellule staminali da una singola cellula prelevata dall'embrione allo stadio di morula, come si fa per la diagnosi pre-impianto. In questo modo si eviterebbe di danneggiare l'embrione che continuerebbe a svilupparsi normalmente ottenendo nel contempo staminali embrionali. Sarebbe possibile fornire a bambini nati tramite FIV una scorta di cellule staminali immunocompatibili utilizzabili in future applicazioni terapeutiche. I ricercatori potranno anche evitare di distruggere gli embrioni soprannumerari per ottenere cellule embrionali perché anche da questi basterebbe prelevare una cellula, rimuovendo quindi uno dei maggiori ostacoli etici contro l'utilizzo di staminali embrionali in ricerca. Questa strategia però presenta un forte limite, già dalla diagnosi pre-impianto si è visto che gli embrioni sottoposti a queste biopsie si sviluppano fino alla nascita ma con un'efficienza minore rispetto agli altri. C'è da chiedersi quale madre sarebbe disposta a mettere a rischio la vita del proprio figlio per avere una scorta di staminali con cui poterlo ipoteticamente curare in futuro…Anche l'uso di staminali ottenute tramite partenogenesi, attivando oociti non fertilizzati in modo che comincino a dividersi, è un'idea innovativa e fattibile che permette di ovviare al problema, tanto più che applicandovi metodiche di trasferimento nucleare si è in grado di aumentare notevolmente il loro potenziale differenziativo. Sullo statuto morale dei partenoti si sta ancora discutendo ma diverse evidenze sperimentali supportano la non equivalenza di queste cellule con i veri e propri embrioni.
Come si vede perciò sono state ipotizzate diverse strategie per cercare di risolvere le controversie etiche e morali e queste possibilità nonostante presentino sempre degli aspetti discutibili dovrebbero essere prese in considerazione. Spesso però il dibattito rimane all'interno dell'ambiente accademico o dei comitati bioetici e per i non addetti ai lavori distinzioni di questo tipo appaiono troppo fumose, per cui l'esistenza di queste possibilità viene in linea di massima ignorata e lo scontro verbale si riduce immancabilmente ai due schieramenti contrapposti, staminali embrionali - staminali adulte.
6. Le cellule staminali adulte
Proprio per le polemiche che si sono venute a creare attorno all'utilizzo delle staminali embrionali sono molti gli scienziati che hanno indirizzato i propri sforzi nella ricerca sulle staminali adulte. Balistreri sottolinea giustamente come questo ponga la questione della rilevanza morale delle cellule somatiche, dato che ci troviamo di fronte alla possibilità che le cellule staminali adulte possano essere considerate embrioni. I sostenitori della ricerca su questa tipologia di staminali la difendono affermando che i problemi etici e morali sono irrilevanti rispetto a quelli derivanti dall'uso di ES, che comportano la distruzione dell'embrione. Ma siamo sicuri che sia così? Dipende da cosa si intende per embrione. Fino a Dolly era abbastanza semplice: un embrione è un organismo dato dalla fusione di due gameti. Eventualmente ci si poneva la questione della definizione di embrione dal momento della penetrazione dello spermatozoo nell'ovocita o da quello della fusione dei due codici genetici. Con la clonazione le cose si complicano perché oggi grazie al trasferimento nucleare otteniamo un embrione anche da una cellula somatica o, meglio, dal trasferimento del suo DNA nucleare in una cellula uovo. Balistreri porta due esempi paradigmatici dei paradossi a cui porta la riduzione del concetto di persona a concetti biologici e genetici, per giustificare l'uso o la distruzione di embrioni. Poniamo di avere un embrione con anomalie a livello del DNA mitocondriale, tali da non permettergli lo sviluppo in un individuo adulto; c'è chi dice che sarebbe moralmente doveroso salvare questo embrione malato, che per la Chiesa ha già piena rilevanza morale ed è pertanto un "paziente", anche trasferendone il DNA in un altro ovocita con il DNA mitocondriale sano. In questo modo si assicurerebbe la possibilità di sviluppo all'embrione. Una cellula somatica non è in grado di svilupparsi in un individuo adulto, ma basterebbe trasferire il DNA in un ovocita ed è perciò in una situazione analoga a quella dell'embrione malato, possiamo considerare embrioni entrambi? Se non ci sono differenze rilevanti sembrerebbe sbagliato considerare le due cellule in modo diverso dal punto di vista morale. Chi difende la piena rilevanza morale dell'embrione al momento del concepimento afferma che esso merita lo status di persona perché, nelle giuste condizioni, può dare origine a un individuo adulto, perciò paradossalmente tutte le cellule dell'organismo vi rientrano.
6.1. Argomentazioni a favore della ricerca sulle staminali adulte: uso corretto dei fondi pubblici ed equivalenza scientifica
In ogni caso sono in molti, sia negli Stati Uniti sia in Europa, ad indicare questa fonte come l'unica ad essere moralmente e scientificamente degna da perseguire, e l'unica che si deve sostenere con i finanziamenti pubblici. Questa è la posizione espressa ad esempio da Richard Doerflinger, direttore del sottosegretariato pro-life della Conferenza dei vescovi cattolici americani. In un'audizione del Congresso sottolineò come i fondi pubblici non dovessero essere usati per finanziare ricerche che parte dei cittadini americani troverebbe moralmente riprovevoli, ma questa argomentazione si è rivelata abbastanza debole tanto da non convincere neppure il presidente Bush. L'idea dell'uso "politically correct" dei fondi pubblici, derivanti dalle tasse pagate da tutti i cittadini, mostra secondo Neri due aspetti discutibili, innanzitutto perché si fa coincidere l'appartenenza ad una confessione religiosa (quella cattolica) con determinate idee, ciò non è necessariamente vero, anzi è spesso il contrario. In Italia ad esempio indagini sociologiche hanno dimostrato che una parte consistente dei cattolici non si attiene alle indicazioni del Magistero della Chiesa per quanto riguarda diverse questioni, prima fra tutte la vita sessuale.
Restando negli USA, come scritto da Palmerini e Milano, nel 2004 i "Catholics for Free Choice" hanno fatto un sondaggio su 2239 cattolici americani da cui è emerso che ben il 72% non si mostrava contrario all'uso di embrioni in fasi precoci dello sviluppo per la ricerca su malattie come morbo di Parkinson, Alzheimer o diabete. Inoltre il ragionamento di Doerflinger dovrebbe estendersi ad altri settori della vita pubblica e un cittadino potrebbe pretendere che i soldi derivanti dalle sue tasse non vengano impiegati nell'acquisto di armi, o nella ricerca aerospaziale, e via dicendo. Ammesso anche che una gestione dei fondi pubblici in questo modo sia fattibile, Neri sottolinea come questo sistema difficilmente potrebbe tradursi in un bene per la società, anzi "darebbe la stura agli egoismi individuali e ai particolarismi settoriali e disegnerebbe un tipo di società parcellizzata ed egoista". Un peso ben maggiore ha avuto l'idea espressa da Doerflinger dell'equivalenza scientifica, cioè dell'equivalenza tra staminali embrionali e adulte. In questo caso finanziare la ricerca sulle staminali embrionali vorrebbe dire sprecare soldi pubblici perché gli stessi risultati sarebbero ottenibili utilizzando le staminali adulte, che oltretutto permetterebbero di evitare le controversie morali che accompagnano l'uso delle staminali embrionali. L'argomento è anche al centro della Dichiarazione sulla produzione e sull'uso scientifico e terapeutico delle cellule staminali umane (agosto 2000), documento della Pontificia accademia per la Vita. In questo documento si sostiene che si è in grado di riconoscere queste cellule staminali presenti nei tessuti adulti, selezionarle, espanderle, che sono in grado di differenziare in diversi tipi cellulari sotto il controllo di appositi fattori di crescita e la conclusione riporta che "il dato, ormai accertato, della possibilità di utilizzare cellule staminali adulte per raggiungere le stesse finalità che si intenderebbero raggiungere con le cellule staminali embrionali (…) indica questa come la via più ragionevole e umana da percorrere".
6.2. ...Ma è veramente così?
Un numero sempre maggiore di lavori dimostra effettivamente come queste cellule possiedano una plasticità inaspettata, prime fra tutte le staminali ematopoietiche che hanno dimostrato di poter ripopolare completamente il midollo di topi letalmente irradiati. Oggi anche nella pratica clinica viene effettuata la mobilizzazione di queste cellule dal midollo osseo di pazienti con malattie oncoematologiche prima di radio e chemioterapia, in modo da poter effettuare un successivo trapianto autologo che ristabilisce l'emopoiesi in maniera efficiente e che permette di utilizzare dosi molto più alte nella terapia, il che si traduce in una maggior efficacia.
Il problema è che molti degli esperimenti non sono risultati riproducibili, i dati sono contraddittori, le staminali adulte sono rarissime e non è per niente semplice riuscire ad isolarle nei tessuti, idem differenziarle ad hoc e risultano comunque meno pluripotenti delle staminali embrionali. Inoltre appunto perché cellule adulte possono aver accumulato mutazioni a livello genetico per l'esposizione a svariati fattori ambientali. Si è pensato di mettere a punto la metodica del SCNT per arrivare a riprogrammare direttamente un tessuto adulto in un altro, ma sarebbe probabilmente impossibile arrivarci senza passare attraverso ricerche che coinvolgano embrioni quindi il problema si ripresenta aggiungendo un nuovo dilemma etico: è lecito pensare di utilizzare seppur in maniera limitata degli embrioni a scopo di ricerca, se i dati raccolti potrebbero evitarne l'uso in futuro?
Di fronte a tutto ciò sono gli stessi scienziati, come Margaret Goddell o Angelo Vescovi, ma anche il rev. Richard Harris vescovo di Oxford ad ammettere che le evidenze scientifiche non sono tali da rendere non necessaria la ricerca sulle staminali embrionali. Del resto è impensabile immaginare la ricerca come una serie di compartimenti stagni, le scoperte devono essere libere di circolare perché è su questo che si basa la ricerca giorno d'oggi, su un continuo flusso di informazioni tra i ricercatori. Nel campo così nuovo e affascinante della ricerca sulle staminali, di cui si sa ancora poco ma di cui si intravedono grandi potenzialità, come ha detto CarloAlberto Redi "ogni scoperta è un tassello di un puzzle che si sta componendo" e porre delle barriere di questo tipo significherebbe rallentare l'intera ricerca.
7. Il dibattito dal punto di vista religioso
Se il comitato pro-life statunitense e la Chiesa cattolica sono contrari a linee di ricerca che prevedano la distruzione di embrioni, e spesso non ci sono state aperture neppure all'utilizzo di fonti alternative ( anche sull'uso dei partenoti lo stesso Doerflinger esprime parere contrario, poiché resta da dimostrare che questi embrioni non debbano essere considerati tali), è altrettanto vero che in Paesi democratici è normale che ci possano essere divergenze di opinioni e, in nome del pluralismo etico, meritano tutte di essere rispettate anche se magari non condivise. Le opinioni delle diverse religioni su questa scottante tematica sono disparate, per l'Halachà (compendio di leggi di etica che scaturisce dalla Torah) la vita ha inizio dalla fecondazione ma rimane comunque una vita in potenza fino al momento della nascita, e "fino al quarantesimo giorno [l'embrione] non è nulla", quindi l'ebraismo risulta abbastanza permissivo relativamente all'uso di cellule da embrioni e lo stesso vale per la selezione degli embrioni da impiantare in un ciclo di FIV, perché i benefici che ne potrebbe ricavare la Persona, sia essa la madre o più in generale la popolazione, pesano più della tutela di un embrione che persona (ancora) non è. Tra l'altro questa è anche la motivazione per cui l'ebraismo, così permissivo nei confronti della vita nascente, non lo è altrettanto verso la vita morente: il moribondo o il comatoso conserva a tutto tondo il suo status di Persona e questo rende l'eutanasia impensabile.
L'islam seppur con minore apertura ritiene lecito ricavare cellule staminali da embrioni in fase precoce di sviluppo dato che l'anima immortale viene ricevuta superato il quarto mese di gravidanza e solo da questo momento si può parlare di "persona morale" e non semplicemente "biologica". Questa concezione curiosamente è stata la stessa della Chiesa cattolica per lungo tempo e risale alla tradizione aristotelica: per San Tommaso D'Aquino l'anima viene introdotta da Dio in modo graduale, il feto acquisisce prima quella vegetativa, poi quella sensitiva e infine la razionale, ed è solo da questo momento che il feto può essere considerato un essere umano. E' solo nel 1869 con Pio IX che l'aborto dal momento del concepimento viene comparato all'omicidio.
E' ovvio che la posizione espressa dai rappresentanti della confessione religiosa di un Paese possa influenzare in modo più o meno pesante i governi sulla politica da adottare. Tant'è che il Sud-est asiatico, soprattutto la Cina, sta avviandosi a diventare leader nel settore della ricerca biologica e biotecnologica. Il dibattito etico di fronte all'uso di staminali embrionali è molto poco sentito dato che sia per il buddismo che per il confucianesimo un essere umano acquista valore solo dopo la nascita e i governi stanno appoggiando la ricerca con legislazioni tra le più liberali del mondo in materia, tanto che un terzo dei quattromila scienziati che lavorano a Biopolis, la cittadella della ricerca di Singapore, proviene dall'estero. Nell'area cattolica invece la misura in cui le opinioni religiose influenzano le leggi varia da un paese all'altro, per esempio la popolazione spagnola è cattolica al 99% ma in Spagna è stata comunque votata una legge che consente di utilizzare a scopo di ricerca gli embrioni "orfani" avanzati dalla FIV, mentre in Italia viene rivendicata la protezione assoluta dell'embrione fin dal concepimento. Il problema di fondo però, oltre ai forti condizionamenti della Chiesa, è la mancanza di corretta ed esauriente informazione che circola nel nostro paese quando si trattano queste tematiche, informazione governata da un pressapochismo che finisce per confondere il cittadino medio. Credo che il flop clamoroso del referendum abrogativo della legge 40 sia stato causato, più che da una reale volontà degli italiani di mantenere questa legge, dal fatto che simili problematiche sono viste come astruse e distanti: la maggioranza della popolazione non ha votato per il no, semplicemente non è andata a votare. Dato che nel nostro paese i cattolici praticanti sono molti meno di quelli che si professano tali, ritengo abbastanza improbabile che un simile astensionismo sia stato determinato da appelli come quello del cardinal Ruini a disertare le urne, quanto piuttosto dalla mancata conoscenza della legge e di cosa volesse dire. E' notizia di questo giorni l'annuncio di Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che il nuovo governo respingerà gli aggiornamenti delle linee guida della legge 40 approvati dall'ex ministro della Salute Livia Turco, tra i quali il sì alla diagnosi pre-impianto. Al solito, senza minimamente coinvolgere l'opinione pubblica in decisioni che vanno a toccare nel profondo la vita dei cittadini.
8. Il dibattito dal punto di vista politico
8.1. La situazione negli USA
Dato che, come sappiamo, negli Stati Uniti l'assistenza sanitaria è quasi totalmente privatizzata il governo federale è abbastanza favorevole a incoraggiare la ricerca, visto che è uno dei pochi modi in cui può occuparsi della salute dei cittadini. Dagli anni '70 cioè dall'avvento dell'ingegneria genetica e del DNA ricombinante, le aziende farmaceutiche hanno iniziato ad investire in maniera consistente in questo ambito e gli scienziati a rivolgersi sempre al settore privato. Questo perché le compagnie garantiscono sia migliori condizioni di lavoro che una maggior libertà per quanto riguarda ricerche anche controverse dato che negli USA, diversamente che in Europa, le società private non sono vincolate alle direttive emanate dal Congresso. Dopo la notizia dell'isolamento di cellule staminali embrionali ad opera del gruppo di Thomson, finanziato dalla Geron Corporation, molti scienziati nonché le associazioni in difesa dei pazienti cominciarono a premere sul governo federale e sul presidente Clinton affinché riformulasse la legge finanziaria del 1999, eliminando il divieto di erogazione di fondi pubblici a ricerche che comportassero danneggiamento o distruzione di embrioni. L'argomento era spinoso ma se i ricercatori non avessero potuto accedere ai fondi pubblici si rischiava il monopolio del settore da parte di aziende come la Geron. Se la ricerca fosse proseguita su entrambi i fronti invece ci sarebbero state più garanzie di trasparenza ed eticità.
Il DHHS (Department of Health and Human Services) nel gennaio '99 stabilì che le cellule staminali embrionali una volta derivate non possono essere considerate embrioni e quindi la ricerca che le coinvolgeva aveva diritto ai finanziamenti pubblici, erogati attraverso il NIH. Questo a condizione che le linee fossero derivate da embrioni soprannumerari, escludendo quindi la creazione di embrioni a scopo di ricerca e ricerche volte a derivare cellule direttamente da embrioni: accedono ai finanziamenti solo ricerche che utilizzino cellule staminali già derivate in precedenza da altri (il che presenta diversi svantaggi per i ricercatori, come detto precedentemente). Gli USA in ogni caso sono riusciti a trovare un compromesso che non ha scontentato né i ricercatori e le associazioni scientifiche né le associazioni contrarie alla ricerca sugli embrioni, cosa che dovrebbe fare ogni governo democratico quando si trattano queste tematiche, mirando il più possibile al coinvolgimento del cittadino in modo da arrivare ad una decisione che rispecchi o quantomeno si avvicini alla posizione di una buona parte della popolazione.
8.2. Le posizioni espresse in Europa
Nel vecchio continente è stata la Gran Bretagna il primo governo a confrontarsi con le cellule staminali, sull'onda del clamore derivato dalla nascita di Louise Brown, prima bambina in provetta. Già nel 1982 venne istituita una commissione con lo scopo di raccogliere proposte finalizzate a regolamentare le tecniche di fecondazione assistita, proposte che confluiranno in una legge (lo Human Fertilisation and Embriology Act) che permette la sperimentazione sugli embrioni soprannumerari entro il quattordicesimo giorno di vita, a patto che siano ben chiare le finalità della sperimentazione e che vengano approvate da un organo istituito appositamente. Nel 2001 è stata istituita una nuova commissione per esaminare un aspetto che era stato tralasciato in precedenza cioè la possibilità di usare questi embrioni per derivarne linee cellulari. Il cosiddetto rapporto Donaldson che ne derivò propose al Parlamento inglese di dare il via libera anche a questo tipo di sperimentazione e valutare le potenzialità del trasferimento nucleare somatico, autorizzando così la ricerca sugli embrioni per aumentare le conoscenza sui meccanismi di sviluppo, sull'origine e decorso di malattie e per giungere all'applicazione terapeutica di queste conoscenze. Restava ben chiara la proibizione della clonazione riproduttiva, comunque il Parlamento approvò la proposta e al momento la Gran Bretagna risulta assieme al Belgio uno dei Paesi più liberali d' Europa in materia. Nel resto d'Europa invece la situazione è molto più varia: la Spagna ha detto sì all'uso di staminali ricavate dagli embrioni in esubero, se i genitori decidono di donarli alla ricerca, così è anche per la Svezia e la Finlandia e da qualche anno anche la Francia mostra qualche apertura in questo senso, mentre è vietata in Austria e Germania. Cercando di tener conto delle differenti posizioni nel 1997 è stata firmata la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, meglio nota come Convenzione di Oviedo, che vieta la clonazione umana e la creazione di embrioni a scopo di ricerca ma consente ai vari paesi di darsi leggi che, pur ammettendo la ricerca sugli embrioni, vi pongano dei limiti. Di per sé quindi non è particolarmente restrittiva, lasciando sostanzialmente libero ogni paese di promulgare le proprie leggi in materia. Da noi cosa è accaduto? Dato che la Convenzione vieta la sperimentazione non regolamentata, in Italia, dopo la ratifica, non esistendo nessuna legge in proposito automaticamente non è consentita nessuna ricerca. La cosa più interessante è che l'iter di ratifica è iniziato mentre erano ancora in corso i lavori del CNB e della commissione Dulbecco, che finirono così per cadere nel dimenticatoio.
8.3. La politica della ricerca in Italia
In Italia è evidente la presa di posizione del Governo su questa questione, visto che la ricerca sulle staminali adulte è sostenuta dalla più consistente quota dei pur scarsi finanziamenti pubblici. Emblematica la vicenda riguardante il CNB e la Commissione Dulbecco: nell'aprile 2000 il Comitato Nazionale per la bioetica decise di occuparsi delle problematiche riguardanti l'impiego terapeutico delle cellule staminali e nello stesso anno l'allora ministro della Sanità Veronesi, dopo la pubblicazione del rapporto Donaldson, decise di istituire una commissione presieduta dal Premio Nobel Renato Dulbecco affinché desse il proprio parere relativamente alle potenzialità delle staminali nella terapia, stabilire quale tra le fonti possibili potesse essere preferibili ai fini terapeutici e come si potessero risolvere i problemi etici legati a questa tipologia di ricerca. Il CNB e la commissione Dulbecco diedero pareri sostanzialmente simili, con alcune eccezioni come la liceità dell'utilizzo di embrioni soprannumerari, su cui le posizioni all'interno delle stesse commissioni sono molteplici, essendoci sia sostenitori che detrattori, essenzialmente per la diversa posizione assunta dai vari esperti nei confronti dello statuto dell'embrione. Il documento firmato dalla commissione Dulbecco sottolineò maggiormente l'importanza della tecnica del SCNT, auspicando di arrivare ad effettuare la metodica su "citoplasti artificiali umani e/o animali"in modo da evitare lo sviluppo di embrioni ma ottenere dei corpi embriodi che si potrebbe indurre a differenziare, risolvendo in modo definitivo la controversia (anche se, quasi sicuramente, le prima fasi della ricerca comporterebbero l'utilizzo di embrioni). Le posizioni di cauta apertura espresse in questi documenti non furono né discussi né rigettati dal Parlamento italiano ma semplicemente ignorati: mentre erano in corso i lavori oltre alla ratifica della Convenzione di Oviedo il governo approvò anche un emendamento della finanziaria che stanziava cinque miliardi di euro per la ricerca sulle staminali, rigorosamente adulte o da cordone. A cosa è servito il lavoro delle due commissioni? E come se non bastasse nel 2003 il Ministro Moratti in vista del semestre di presidenza UE italiana interpellò il CNB relativamente alla liceità della ricerca utilizzando embrioni anche soprannumerari, su cellule staminali da embrioni prodotte in data successiva all'avvio del VI programma-quadro e su cellule derivate dagli embrioni soprannumerari. Il CNB espresse le diverse posizioni dei suoi membri formulando tre diversi documenti, l'ultimo dei quali esprimeva un parere positivo su tutti e tre i quesiti. Questa si rivelò essere anche la posizione espressa dal Parlamento europeo dopo la votazione ma la presidenza italiana decise semplicemente di non decidere, rimandando la decisione all'Irlanda, a cui toccava la presidenza del semestre successivo. A questo punto penso si possa affermare che in Italia né la bioetica è presa particolarmente sul serio dal Governo per orientare la politica della ricerca né che il Belpaese si distingua per aperture a questa tematica.
9. Conclusioni
Nonostante siano passati solo dieci anni da quando le cellule staminali sono state isolate per la prima volta da un embrione umano le nostre conoscenze hanno fatto passi da gigante, eppure ancora troppo poco si sa riguardo a come "imbrigliare" l'enorme potenziale che queste cellule hanno dimostrato. E nonostante gli annunci sensazionalistici o le effettive grandi scoperte effettuate è necessaria ancora molta ricerca di base prima di pensare alle applicazioni cliniche di queste cellule. Certo, in alcuni casi il futuro è già realtà, come nel trattamento di patologie oncoematologiche, i trapianti di pelle nelle ustioni, la rigenerazione della cornea, ma per la stragrande maggioranza delle malattie non si può ancora pensare seriamente all'utilizzo delle staminali, siano esse embrionali o adulte. Visti i risultati estremamente incoraggianti comunque sarebbe miope da parte dei governi porre delle barriere a un tipo di ricerca che potrebbe migliorare o salvare la vita a milioni di persone, soprattutto perché in nome non di valori condivisi ma di pregiudizi ideologici e religiosi. Sarebbe auspicabile che la ricerca sulle cellule staminali continui a tutto campo, con le debite regolamentazioni, ma evitando la disinformazione e di "mettere il lucchetto al cervello" dei ricercatori, parafrasando una caustica frase di Rita Levi Montalcini. L'applicazione integralista del principio di precauzione, che soprattutto in Italia limita diverse branche delle scienze più innovative (un esempio fra tutti, gli ogm) non penso possa tradursi in una maggior sicurezza per la popolazione quanto in un freno eccessivo allo sviluppo e diffusione di nuove tecnologie, in una stagnazione anziché rilancio della ricerca nel nostro Paese e in un'ulteriore fuga di cervelli all'estero. E mentre il resto del mondo va avanti nella ricerca noi restiamo indietro, essendo già fanalino di coda per i finanziamenti rispetto agli altri paesi UE. Tornando all'argomento delle cellule staminali, proibire in qualsivoglia forma linee di ricerca che si servano di staminali embrionali, in favore delle staminali da cordone e tessuti adulti è una visione scientificamente assurda perché embrionali e adulte non sono tra loro alternative ma complementari, com'è già stato detto e come è stato dimostrato da numerosissimi lavori. Oltretutto il divieto di ricerca sugli embrioni, come previsto dalla Legge 40, non significa una preclusione legale alla possibilità di condurre ricerche su linee cellulari embrionali create in altri Paesi, il che francamente mi pare un atteggiamento abbastanza incoerente, come dire "lasciamo il lavoro sporco agli altri ma poi ne usufruiamo anche noi". L'Italia non può sottovalutare le opportunità offerte da questo nuovo settore solo per compiacere le gerarchie ecclesiastiche quando quasi due terzi degli italiani si mostrano favorevoli all'utilizzo di cellule staminali ricavate da embrioni per la ricerca medica. Senza che la ricerca diventi un far-west e senza pretendere di raggiungere l'unanimità bisognerebbe perlomeno promuovere un dibattito a livello nazionale in modo che le politiche adottate rispecchino la decisione più condivisa dalla pluralità di concezioni morali e religiose della popolazione.
10. Bibliografia
http://archiviostorico.corriere.it/2008/maggio/16/Fecondazione_governo_cambiera_regole_co_9_080516053.shtml
www.corriere.it/Rubriche/Salute/Medicina/2005/12_Dicembre/23/hwang.shtml
http://fait-site.blogspot.com/search/label/bioetica
www.molecularlab.it/news/view.asp?n=3871
www.sciencemag.org/cgi/content/full/311/5759/335b
http://staminali.aduc.it/php_newsshow_0_5502.html
T. Hikichi, S. Wakayama et al., Differentiation potential of parthenogenetic embryonic stem cells is improved by nuclear transfer. Stem Cells 25:46-53 (2007).
K. Hug, Sources of human embryos for stem cell research: ethical problems and their possible solutions. Medicina (Kaunas) 41(12) 2005.
G. Milano, C. Palmerini, La rivoluzione delle cellule staminali. Feltrinelli, Milano 2005
D. Neri, La bioetica in laboratorio. Laterza, Roma-Bari 2001.
D. Neri, La ricerca sulle cellule staminali tra etica e politica. in "Bioetica", XI, 1, 2003, pp. 50-66.
M. Rao, ML. Condic, Alternative sources of pluripotent stem cells: scientific solutions to an ethical dilemma. Stem Cells Dev 17:1-10, 2008.
CT. Scott, Stem cells: new frontiers of ethics, law and policy. Neurosurg Focus 24 (3&4): E23, 2008.
K. Takahashi, S. Yamanaka, Induction of pluripotent stem cells from mouse embryonic and adult fibroblast cultures by defined factors. Cell 126: 663-676, 2008.
Inoltra:
|
Vota:
|
|