Lo sviluppo del pensiero
Se consideriamo il modello educativo come “schema relazionale” nel quale strutturare un passaggio di informazioni sostenuto da meccanismi psico-affettivi, dobbiamo prendere in considerazione la funzione euristica attivata dal rapporto interpersonale. In altre parole, l’educazione dei valori è continuamente modulata e condizionata dai meccanismi psico-mentali del bambini che, proprio per azione della relazione, vengono continuamente modificati.
Il primo punto da affrontare riguarda proprio il pensiero che, come abbiamo ripetutamente osservato e descritto, non si organizza, dall’inizio, come funzione astratta e razionale, ma passa attraverso modalità ben precise: pensiero concreto; pensiero affettivo; pensiero simbolico.
PENSIERO CONCRETO
È strettamente legato alla percezione, tanto che, a volte, può essere sovrapponibile al flusso percettivo stesso e, quindi, strettamente ancorato all’affetto o alla realtà esterna.
Questo modello di pensiero domina il primo periodo della vita (sino ai 2 anni) prima dell’entrata in funzione dei “sistemi affettivi”, legati alla maturazione delle strutture cerebrali frontali e prefrontali.
Le osservazioni, sviluppate nella pratica terapeutica dei bambini autistici, hanno portato a sottolineare che:
§ Il pensiero concreto sostiene sensazioni di onnipotenza, di dominio e di “falsa verità” (la verità è una prerogativa affettiva in quanto si organizza, come è stato detto, “nell’occhio dell’altro”). L’onnipotenza e l’egocentrismo sono caratteristiche dell’autismo autistico e supportano la chiusura su se stessi e, quindi, l’isolamento;
§ bisogna fare attenzione perché il pensiero concreto limita la produzione-creazione e la comprensione-lettura, costruendo un modello di approccio conosciuto-concreto-sperimentato che permette al soggetto di non entrare in angoscia e neppure di creare dubbi sulla verità del percepito. Il lavoro terapeutico serve, dunque, a creare, attraverso lo sviluppo del pensiero affettivo, uno spazio nel quale il soggetto non vive con angoscia le esperienze nuove, il differente, il non sperimentato;
§ il pensiero concreto è vincolato alla questione del reale, ma questo è ancorato al desiderio che, non potendo essere proprio, si lega al desiderio del terapeuta espresso come:
- desiderio che appartiene all’analista al quale il soggetto si adegua come atto affettivo;
- desiderio di possedere l’analista che permette al soggetto, immerso nella volontà fusionale, di fare quello che da solo non può;
§ la struttura del desiderio non è ancora sufficientemente organizzata per legarlo al soggetto e, quindi, resta mediata dal terapeuta che non può essere sostituito da un’altra figura di riferimento (per questo quando, per qualche motivo, il bambino perde il suo terapeuta, entra in angoscia e si blocca il processo dello sviluppo);
§ nell’intervento terapeutico, si comincia a notare la formazione di un desiderio (un sorriso; una ironia; un avvicinarsi; un guardare di sottecchi) che non è ancora legame perché non ha raggiunto ancora il livello di creazione che presuppone individualizzazione, separazione, senso di sé e di valore;
§ il desiderio crea un vincolo che si fonda sulla comunicazione, nella quale si organizza una autostima che trova la sua verità su ciò che il soggetto si immagina di ricevere come risposta. La “competenza narcisistica” (io posso) condiziona ed è condizionata dalla relazione (intersoggettiva ed interpersonale) per questo il paziente può “fidarsi” del suo terapeuta e non di altri perché ha sperimentato la mano tesa che il terapeuta gli ha mostrato ( e di-mostrato);
§ il problema dell’angoscia si lega alla “struttura soggettiva” (autocoscienza, autovalorizzazione) che, posta a livello del pensiero concreto, diventa “produzione soggettiva”. Questo spiega perché quando ci trovano di fronte ad un Io-debole, il fare produce angoscia (attacchi di panico) e, solo attraverso la relazione terapeutica, l’angoscia trova una nuova ubicazione perché lo spostamento della responsabilità sostituisce, anche in parte, la colpa nevrotica e/o psicotica.
Nel periodo dello sviluppo psico-mentale, nel quale domina il pensiero concreto, ci troviamo di fronte anche ad una mancanza di coscienza degli oggetti (il meccanismo di introiezione decritto dalla Klein si instaurerà più tardi) e dell’oggetto Sé. I bambini bloccati nello sviluppo tendono a “rubare agli altri”, ad afferrare, a mordere, a strappare i capelli; tutto questo serve al bambino per darsi la possibilità di strutturare un “pensiero concreto fusionale con la realtà” che non può perdere perché sarebbe lui a scomparire.
Questo meccanismo arcaico è l’unico che il bambino bloccato può mettere in atto per costituire uno “statuto di spazio immaginario” che, come processo primordiale gli permette di riconoscere un sé che parte dall’altro depositario dell’oggetto aggredito e/o rubato.
Il processo terapeutico (vicinanza del terapeuta-Io-ausiliario) permette di attenuare l’angoscia di perdere l’oggetto primordiale (il seno) e di costituire, nella simbiosi, una immagine di Altro-di-Sé-stesso che sarà l’inizio della identificazione e della soggettivazione.
Queste funzioni psichiche primitive (che supportano un senso di onnipotenza e l’impossibilità di sentirsi separati dagli Altri) conferiscono una certa consapevolezza soggettiva che funge da autoconsolazione nell’ambito delle esperienze pre-rappresentazionali.
Sono i vissuti affettivi che si sviluppano per es. nella terapia e che danno valore alla relazione, a permettere di strutturare quelle possibilità dinamiche che facilitano l’interazione con la realtà esterna. La relazione permette di raggiungere un equilibrio omeostatica nel quale i vissuti affettivi vengono accettati e diventano capaci di attivare dinamicamente l’ IO verso la convivenza, l’altruismo, la riconoscenza, la reciprocità e l’amore.
PENSIERO AFFETTIVO.
Nella relazione, non solo gli oggetti acquistano valore e verità, ma anche il pensiero proprio perché tensioni e distensioni, coscienza, cose, sguardi e presenze, si intrecciano e diventano un linguaggio.
I cambiamenti venivano interpretati come causa di vissuti di momenti di perdita e, quindi, di lutto, ma nuove osservazioni ci hanno indotto ad abbandonare questa interpretazione per accettare l’idea di un “continuo rinascere” e, quindi, vederli legati al percepirsi, al sentirsi, al proiettarsi e, finalmente, al pensarsi ed al crearsi come oggetto.
Un altro aspetto del pensiero affettivo è l’arricchimento semantico dell’engramma con particolari e specifiche componenti emotivo-affettive che permettono una memorizzazione non legata ad aloni analogico-deduttivi, ma ai vissuti.
In questo modo il soggetto esce dall’immobilismo ed accetta la spinta per il proprio cambiamento che é “crearsi come oggetto del proprio desiderio”. Il cambiamento diventa sviluppo che è legato alla “storia del desiderio” che segue le tappe di:
§ desiderio di corpo = legato alle percezioni ed al riconoscersi come soggetto-oggetto centrato su di sé in un atteggiamento egocentrico ed onnipotente;
§ desiderio di essere con = in una relazione ed in un dialogo empatico di segni e di riconoscimenti;
§ desiderio di immaginarsi proiettati nella propria ed altrui idealizzazione;
§ desiderio di pensarsi come soggetto di sapere e di conoscere; essere capace di pensare il proprio pensiero.
Il passaggio da un desiderio all’altro non è per salti e/o per scalini, ma rispetta un procedimento spiraliforme che permette crescite e retrocessi senza subire contraccolpi, anche se il crescere rispecchia l’intervento di “gratificazioni” e/o di “frustrazioni”.
La tendenza a idealizzare se stesso, i propri oggetti, i compagni, i propri “progetti” porta a gratificazioni che supportano i cambiamenti e con-tengono le ansie legate alle perdite ed al lasciare il già conosciuto per l’insicuro divenire.
Quando però intervengono delle “frustrazioni” il soggetto tende ad inibirsi, ad isolarsi, a vivere sentimenti di impotenza e/o inadeguatezza. È qui che si strutturano quei fenomeni di irritabilità, di inibizione intellettiva, di chiusura affettiva, di condotta rischiose e problematica, di distacco e/o di rifiuto.
Queste manifestazioni, sottese quindi a particolari meccanismi mentali (adattivi e/o evolutivi), devono essere affrontate e superate dal soggetto, attraverso un lungo e delicato processo di recupero delle proprie valenze e qualità funzionali, che richiede non solo tempo cronologico, ma anche “tempo psichico”, al termine del quale risulterà un quadro di “maggiore e migliore auto-valorizzazione” o, al contrario, uno stato di disequilibrio dominati da sentimenti contraddittori che sono proprio quelli che il terapeuta deve saper scegliere e sublimare, dando al bambino la possibilità di “creare se stesso”.
Le caratteristiche di un pensiero affettivo riguardano anche le capacità di modulare il Sé tra gli impulsi dell’auto-soddisfazione libidica ed un più freddo e ragionato meccanismo utilitaristico. Proprio questo spazio timologico della mente è in grado di plasmare gli eroi, di supportare le grandi imprese, di forgiare quei soggetti che saranno in tutto e per tutto le figure da porre come modelli, da utilizzare come indiscussi esempi per l’umanità.
PENSIERO SIMBOLICO
Non bisogna credere che i tre modelli di pensiero siano stratificati o susseguenti; al contrario, a seconda delle circostanze, si possono incrociare e, quindi, a volte si osservano processi di pensiero concreto anche quando il soggetto è ormai capace di elaborare simbolicamente le esperienze.
Questo è legato al fatto che le valenze concrete danno una soddisfazione libidica forte, capace di aumentare una onnipotenza che, seppure falsa, scioglie le angosce della frustrazione (conscia o inconscia).
Lo sviluppo più elevato del pensiero è comunque quello simbolico, razionale, fondato su meccanismi analitico-deduttivi, espressione di una mentalizzazione che permette l’interazione che significa generalizzazione.
Nel pensiero simbolico l’oggetto perde le sue caratteristiche individuali per trasformarsi in una “rappresentazione” che contiene, si potrebbe dire, schematicamente tutte le possibili variazioni dell’oggetto. Questo processo permette di dedurre, da una immagine complessa, tutte le parti che la compongono, l’uso che se ne può fare, le trasformazioni indotte dalle variazioni di spazio e tempo.
Presuppone anche la capacità di sviluppare un ambito sereno e tranquillo accanto a Sé, oltre che di contenere le spinte affettive che possono generare tensioni per sensi di colpa o per esaltazioni ingiustificate.
Le capacità razionali sono imprescindibili per dare al soggetto una organizzazione psico-mentale del tutto integrata, globale oltre che olistica, in grado, quindi, di programmarsi per sviluppare il massimo livello di conoscenza, ma anche per organizzare quelle dinamiche sempre più automatizzate che utilizzano la memoria, l’analisi, le deduzioni, le correlazioni, l’immaginazione, la concretezza.
Queste caratteristiche non possono essere viste in maniera riduttiva, come puri e semplici meccanismi mentali, perché, al contrario,riverberano e arricchiscono le funzioni timico-affettive dando, quindi, maggior spessore alla volontà, alla costanza, all’autosoddisfazione, al desiderio di una più intima ricerca di un ruolo, di una posizione sociale, di uno sviluppo relazionale di alto spessore e significato che riguarda anche il potere sociale, le valenze di dominio, di guida e di comando, quelle soddisfazioni personali che fanno di un soggetto una guida, un capo, un leader, un trascinatore.
CONCLUSIONI
Lo studio delle caratteristiche evolutive di quello che chiamiamo pensiero ha portato a sviluppare in maniera logica e organica da un lato la pedagogia (anche quella speciale), ma soprattutto le basi fondanti per affrontare le problematiche che intervengono nei processi terapeutici ed in quelli riabilitativi.
Per esempio:
§ l’ E.I.T. che, come metodica terapeutica si basa sui principi della psicoanalisi e, quindi si impegna nella lettura del transfert che si pone come lettura di quanto il bambino “dice” con il corpo. Va sottolineato che in questo caso è anche importante controllare il controtransfert proprio perché, lavorando con il corpo, il terapeuta è impegnato in prima persona;
§ la TyLA che, nel suo carattere di intervento riabilitativo globale ed olistico, necessita di un controllo costante, non tanto delle espressioni e/o dei miglioramenti, ma dei cambiamenti che il bambino dimostra nelle sue modalità psico-mentali;
§ l’IPPOTERAPIA: in questo caso, l’uso del cavallo permette al terapeuta di osservare i cambiamenti nelle modalità di approccio del paziente, delle reazioni dell’animale, dei meccanismi che il bambino usa come adattamento e, infine, di quanto questi “dice” al terapeuta. Non ultimo, in questa dialogo-lettura, anche il bambino si fa vedere ed utilizza la capacità di farsi vedere dal terapeuta che sono, comunque, modi di esprimere i percorsi del linguaggio interno.
Su queste basi i modelli terapeutico-riabilitativi si sono adeguati al livello di sviluppo e, soprattutto, alle caratteristiche del pensiero dei propri pazienti-alunni, arrivando così a modulare le richieste ad articolare le programmazioni, in tal maniera da non caricare esageratamente le difficoltà e, soprattutto, di non determinare reazioni di frustrazione e di angoscia che portano solamente a rallentamenti se non a veri e propri blocchi.
Un processo terapeutici e di recupero funzionale o globale deve sempre essere espressione di una analisi approfondita delle capacità del soggetto che includono quelle di base, ma anche le valenze affettive (che necessitano essere potenziate) ed anche quelle razionali che richiedono un ambito, correlazioni, soddisfazioni personali oltre che uno sviluppo adeguato per poter raggiungere il livello precipuo di ogni soggetto, legato, quindi, alle potenzialità personali che sono determinate da specifiche strutture anche genetiche.
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