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È possibile una prevenzione per la prevenzione per l'Alzheimer?

Le più recenti discussioni sviluppate in incontri di studio sulla malattia di Alzheimer ha portato a proporre una elaborazione che, per molti aspetti, è di tipo psicosomatico. Questa idea potrebbe aiutare ad elaborare una teoria della demenza che apra ad un possibile intento preventivo.

NOTA:
Nell’elaborazione delle informazioni raccolte nel 2002 in occasione dello svolgimento, in Argentina, del Progetto Colombo 2000, si è dato molto significato alle esperienze della Dott.ssa Alicia Kavanchik, commentate dal Dott. J. Pecheny.
questi contributi facevano riferimento ad uno studio su molti casi di Alzheimer (AD) nei quali in più del 90% si era trovato nella anamnesi una esperienza traumatica avvenuta 3-4 anni prima della comparsa dei primi segni di deficit della memoria.
Da questi dati si è cominciato a raccogliere riferimenti simili nei vari centri specializzati dove abbiamo lavorato ed è stato possibile ritrovare il fatto traumatico in quasi tutti i soggetti considerati.

Le esperienze traumatiche iniziali che sono state evidenziate sono state:
negli uomini:
- perdita del lavoro spesso per motivi ingiustificati;
- accuse infamanti;
- fatto clinico-patologico debilitante (infarto);
- esperienza particolarmente carica di vergogna;
- furto con scasso nella propria abitazione;
- perdita di un incarico sociale significativo per il soggetto:
nella donna:
- malattia del marito con senso di perdita della sicurezza;
- rientro in casa del marito con il pensionamento;
- esperienza d’aver subito uno scippo.

Nell’esperienza condotta con gli interventi terapeutico-riabilitativi (E.I.T.) effettuati con pazienti dementi “gravi” (malati da più di 3-4 anni) si è potuto rilevare che con il miglioramento si poteva approfittare di periodi di lucidità e di recupero del linguaggio per verificare l’importanza delle esperienze traumatiche iniziali.
Queste, va sottolineato, diventano importanti solo quando minano e/o disarticolano l’organizzazione psico-mentale, inducendo una profonda perdita dell’auto-valorizzazione e del senso di Sé. È la perdita del “senso di valere”, di avere un ruolo specifico e valorizzante nella propria famiglia o società, di inviolabilità personale, di inevitabilità della morte.






L’esperienza traumatica entra nella psiche in una forma tanto pregnante che diventa impossibile controllarla ed espellerla. Si crea, in questo modo, una specie di “grilletto” o di campanello che la fa rivivere ogni qual volta si stabiliscano nessi anche insignificanti.
§ L’esperienza clinico-terapeutica degli attacchi di panico ci chiarisce perfettamente questo meccanismo.
§ L’interpretazione data dal Dott. Pecheny è stata quella di trarre similitudini con le malattie psico-somatiche e, tra queste, l’infarto del miocardio. La tensione emotiva profonda genera circuiti che alterano il flusso sanguigno e, quindi, l’ossigenazione.
§ La discussione sul tema con colleghi francesi ha portato ad evidenziare l’importanza del Nucleo di Meynert (che è parte della sostanza innominata) che è il primo centro sottocorticale ad essere interessato, nella AD, da alterazioni strutturali, seguito dal lobo limbico e poi dalla corteccia frontale.

Su queste considerazioni si è cercato di analizzare il meccanismo di interazione tra le strutture considerate, rilevando che:
a) il N. di Meynert è un importante crocevia di connessioni neuronali nel sistema limbico;
b) è fondamentale per la regolazione del flusso sanguigno e l’ossigenazione dell’area limbica e della corteccia prefrontale.

Di queste due attività, sembra però che sia la seconda quella veramente verificata, per cui si è proposto uno schema funzionale del tipo:
Questa interpretazione pone subito un quesito importante: può una situazione di ipossia cronica essere causa delle alterazioni degenerative che compaiono nel sistema limbico e nella corteccia prefrontale in caso di AD ?
Vista la presenza di un nucleo persecutorio profondo evidenziabile nella malattia conclamata ci si è posti l’interrogativo se fosse possibile evidenziarne la formazione precoce (pre-patologica).
Nella nostra esperienza clinica abbiamo sempre evidenziato come il più importante sintomo della AD sia una incontinenza emotiva. Questo segno precede i disturbi della memoria, è difficilmente contenibile (anche farmacologicamente), risulta molto disturbante.

Nella terapia dei disturbi dello sviluppo assumono una posizione importante i casi di X-fragile perché questi bambini presentano una incontinenza emotiva molto importante e in frenabile. Non si tratta solo di tensione o di angoscia perché è evidente un coinvolgimento di processi somatici con rinorrea, scialorrea e lacrimazione (spesso vengono presi come segni di improvvise crisi di raffreddore).
Questo sintomo è particolarmente invasivo ed è considerato la causa del blocco psico-mentale e dell’insufficienza mentale grave che si vanno configurando per esprimersi definitivamente nella pubertà.
Le crisi emotive sono di difficile contenimento forse proprio perché hanno una causa biologica che potrebbe essere riferita a:
§ iperattività del sistema limbico (amigdala e ipotalamo);
§ deficienza dei sistemi di contenimento, probabilmente a punto di partenza dal sistema corticale frontale e pre-frontale.

Non si hanno dati sul funzionamento del sistema limbico ed in particolare del Nucleo di Meynert in relazione con l’iperattività emotiva, per cui è difficile avere delle conferme sull’efficacia degli interventi terapeutici sia farmacologici che psichico e/o riabilitativi.
Dalla nostra esperienza possiamo trarre che l’emotività libera richiede interventi multidisciplinare e molta esperienza, perché insieme a metodi di stimolazione globale vanno anche usate pratiche cognitive, interventi gruppali e inserimento in attività sportive sia individuali che di equipe.

Per tornare all’Alzheimer, sono di particolare rilievo i pochi casi di pazienti che potremmo definire pre-Alzheimer.
È quasi abusiva una simile definizione, ma la usiamo tenendo conto di soggetti che non dimostrano segni di disturbo della memoria e neppure di deficit cognitivo, ma si caratterizzano per una debolezza emotivo-affettiva.
Questa viene riferita a:
- facili crisi di pianto in risposta a stimoli poco significativi;
- segni di personalità ossessiva (tendenza alla pignoleria e a dover sempre essere i migliori);
- tendenza a ridurre il proprio ambito vitale in risposta alle crisi emotive (continua rinuncia);
- spinte all’isolamento e/o a limitare i rapporti solo con persone ben conosciute;
- tendenza a comportamenti abitudinari;
- facilità a perdere propri ambiti di attività come autodifesa che non suscita particolari sensazioni di disagio.
La continua perdita di attività psico-fisiche (attività sportiva) e/o psico-mentali (guardare la TV; leggere libri e giornali; mantenere conversazioni) si accompagnano anche a rinunce nel piano lavorativo, quando emergono sensazioni di disagio.
Insieme a questi segni, si osservano:
- tendenza ad appiattirsi su una persona di riferimento (per es. la moglie);
- facile rinuncia a ruoli decisionali (controllo del denaro);
- segni di debolezza dell’ IO.
Queste evidenze hanno giustificato la presa in carico e l’avvio di una psicoterapia mirata.
Il test di Rorschach ha evidenziato:
- presenza di uno stato emotivo caratterizzato da ansia ed insicurezza;
- scarsa capacità autoidentificatorie;
- tendenza alla risposta ossessiva;
- difficoltà nell’organizzazione delle figure di riferimento.
- Nei pochi casi seguiti è stato possibile fare emergere l’esperienza critica originaria che è stata causa della strutturazione di un “oggetto mnesico persecutorio profondo” riferibile a perdita dell’oggetto ed abbandono da parte della madre.

Come elemento caratteristico va sottolineato:
- tendenza alla rinuncia; a dimenticare (scotomizzazione) tutte le esperienze che possono portare a sensi di fastidio, dolore psichico, angoscia;
- anestesia affettiva utilizzata come difesa di fronte alla perdita;
- scelte sempre più abitudinarie e quasi rituali;
- limitazione dello spazio e del tempo nelle attività per cui si tende a rimanere in casa o a tornarvi il più presto possibile, evitando di restare fuori già a partire dall’imbrunire;
- tendenza ad evitare esperienze emotive, anche quelle legate a programmi televisivi o anche solo telegiornali;
- comparsa di preferenza per rapporti con i bambini.

Questo tipo di intervento è stato letto come preventivo, anche se sarà sempre difficile poter assicurare che sarà servito per inibire o annullare il processo bio-psicologico (psico-somatico) sotteso alla malattia di Alzheimer.
Le osservazioni riportate ci hanno fatto pensare ad uno studio sulla funzionalità di base e sotto stress emotivo del Nucleo di Meynert e in tal senso stiamo cercando di trovare qualche centro disposto a collaborare per chiarire i nostri dubbi, ma soprattutto per trovare una risposta utile a frenare un vero flagello sanitario che ha portato in pochi anni ad una presenza di casi in Italia da 500.000 agli attuali 800.000.



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