Genitori, ruoli e sviluppo psico mentale.
La quasi paradossale situazione di Luca e Giulia ci mette di fronte a problematiche che potrebbero diventare normalità negli anni futuri e, pertanto, impongono quesiti che ancora aspettano delle risposte valide.
Questi bambini sono il frutto di una inseminazione artificiale che ha portato l’ovulo (fecondato artificialmente) di una donante ad essere impiantato nell’utero di una seconda donna che ha portato a termine la gestazione dopo che si è stabilita una “relazione familiare” di convivenza.
I due bambini hanno quindi due madri biologiche che sicuramente li alleveranno con cure premurose anche se ci si chiede come verranno gestiti i ruoli, paterno e materno, che tutti gli specialisti ritengono indispensabili per un sviluppo psico-mentale adeguato e modulato nelle sue parti emotive, affettive e cognitive.
Jose Eduardo Abadi, psicoanalista argentino, sostiene che le funzioni di padre e di madre possono essere espletate da qualsiasi persona, prescindendo dal sesso.
Per altro, Andrés Mega, presidente della Fundaciòn Psiquiàtrica Millenium, sostiene che in una famiglia dove padre e madre sono dello stesso sesso, bisognerebbe provvedere a definire i ruoli.
Si dice anche che ruoli definiti facilitano l’adattamento, ma ciò che è veramente importante è la qualità del vincolo; in altre parole, non bisognerebbe mettere un accento sulla identità sessuale dei genitori quanto invece sulla qualità dell’amore che viene elargito o circola nell’ambito.
Ancora Abadi sostiene che bisognerebbe dare un aiuto psicologico ai membri di queste “nuove famiglie”, proponendo quindi una specie di supervisione professionale capace di regolare e modulare le tensioni per convogliarle in un alveo di crescita.
Di fronte a questo quadro per molti aspetti sconcertante, Hector Basile, neuropsichiatra infantile, pone l’accento sulle condizioni speciali nelle quali crescono questi bambini che si trovano in uno stato di svantaggio sociale.
Eva Spingler critica questa definizione proprio perché, come altri hanno riferito, non si tratta di un problema sociale (in questi nuovi nuclei familiari non si trovano problemi di funzionamento, ma invece talora situazioni dolorose di emarginazione).
Ci si chiede se molti pregiudizi non siano solamente morali, visto che non sono sociali, ma naturalmente non possono sfuggire alla pressione di domande che riguardano lo sviluppo psico-mentale e l’organizzazione emotivo-affettiva che questi bambini dimostreranno di aver raggiunto.
È assurdo pensare di sostituire una mancanza con un intervento “paternalistico” come sarebbe quello psicoterapeutico globale o familiare, ma sicuramente sarà necessario chiarire il che fare per permettere a questi bambini di superare l’orrore (come lo definisce Eva Sigstad) di dover affrontare un mondo pieno di pregiudizi.
Il modello di analisi deve partire dai ruoli e dalla necessità di questi per uno sviluppo modulato (o, se vogliamo, “normale”).
La psicologia dello sviluppo e lo studio psichiatrico-psicoanlitico dei disturbi dei primi anni di vita, hanno ben definito l’importanza dei ruoli di madre e di padre che, per altro, fanno capo, nella teoria degli oggetti interni, a quello che è stato chiamato “oggetto genitoriale”.
Sempre è stata riconosciuta l’importanza della figura del padre e, naturalmente, della madre per la vita psichica dei bambini, ma, negli ultimi anni, questa influenza è stata riposta nella strutturazione di una triade nella quale il bambino diventa protagonista in quanto, vivendo l’interagire tra padre e madre (il fallo ed il seno), deve trovare le idiosincrasie e le dinamiche che gli permettano una precisa identificazione ed anche una auto-identificazione.
Il bambino si dimostra sensibile ed anche condizionabile da una situazione di predominanza (il fallo sul seno o viceversa), mentre la condizione favorevole sarebbe quella nella quale i due ruoli si integrano e si equilibrano vicendevolmente. Non bisogna pensare che il bambino viva passivamente queste problematiche proprio perché diventa un attore indipendente che è capace di reagire sempre secondo il suo livello di sviluppo emotivo-affettivo e socio-relazionale.
Sebbene ci sia ancora molto da studiare per arrivare ad una comprensione totale delle interferenze, si è potuto mettere in evidenza che nei casi di Asperger-Borderline il soggetto si trova nella condizione di non poter scegliere il proprio modello identificativo e, quindi, sembra vivere in una costante condizione di dubbio.
È come se avesse sempre davanti a sé due porte o come se ci fosse per lui poca differenza tra bene e male, con la conseguente caduta nell’indecisione, nel dubbio costante e, di conseguenza, nella paralisi.
In altre forme psicopatologiche, il predominio del ♂ sul ♀ (fallo – seno) o l’esatto contrario, portano il bambino a dover vivere situazioni affettive tanto contrastanti che provocano il blocco dello sviluppo o ne alterano profondamente l’equilibrio (come succede nell’autismo e nelle forme psicotiche e schizofreniche).
Queste considerazioni fanno ricordare quanto scritto da Duane Schultz sui primi anni della vita di C.G. Jung durante i quali il padre aveva comportamenti quasi materni (oltre che dimostrare profondi sensi di debolezza) e la madre si dimostrava a volte dominante, altre abbandonica, ma, per lo più, poco affidabile.
Anche le loro continue liti non lasciavano al giovane la possibilità di trovare degli equilibri solidi e così Jung cominciò a presentare segni di “ambivalenza emotiva” e poi di “ambivalenza intellettiva” che culminarono in “… una crisi di fiducia che non fu mai del tutto superata”.
Da questo ne è segno una ricerca quasi ossessiva di un “padre buono” (visto, in un determinato momento, in Sigmund Freud), ma anche una costante situazione di sfiducia e, soprattutto, una spiccata facilità a interrompere relazioni anche se questi comportamenti possono essere giustificati da modalità ossessive di mentalizzazione raziocinante.
Anche Freud ha avuto una infanzia invischiata in un complesso di rapporti confusi che gli hanno procurato delusioni, formando così l’humus per le sue nevrosi. I suoi ricordi lo portarono a sentirsi sempre deluso dagli altri, abbandonato, ingannato. Le tre generazioni che coabitarono in casa Freud portarono a rivalità e ostilità familiari che lo segnarono duramente.
Questi esempi, tanto paradigmatici, ci fanno pensare allo sviluppo psico-mentale di un bambino (soprattutto quando sia maschio) come un processo estremamente complesso e delicato, un evento quasi … poco probabile.
Se la situazione di normalità emotiva, affettiva e cognitiva dipende dall’intreccio di fattori personali (il bambino con la sua organizzazione determinata da fattori genetici, funzionali, familiari, sociali, ecc.), di concomitanze paterne e materne, di vissuti che emergono da situazioni relazionali, dobbiamo veramente chiederci quanto possa essere pregiudiziale una situazione particolare e specifica, determinata da figure genitoriale omogenee (omosessuali).
Da questo punto di vista, acquistano un valore propedeutico e pedagogico le dichiarazioni di Andrés Mega che, come abbiamo ricordato, preconizza una sorta di educazione alla paternità ed alla maternità per le coppie omosessuali.
Potrebbe essere una proposta interessante e, soprattutto, con alto valore etico-morale nei confronti dei “figli” che, pur dovendo affrontare una situazione non solo particolare, ma decisamente difficile, hanno il diritto ad uno sviluppo normale ed a pari opportunità.
Sarebbe anche necessario stabilire con precisione e sulla base di dati scientificamente provati, quali dovrebbero esser le linee guida per un intervento di questo tipo.
Il tema non è per nulla facile anche perché non sono definibili i termini per delimitare il significato profondo e strutturante del ruolo paterno e di quello materno.
Anche possedendo questo modello schematico sarebbe ancora più complicato stabilire quale soggetto della coppia omosessuale debba fare “il padre” e quale “la madre”.
La definizione per la quale basterebbero delle “scelte d’amore” appare troppo semplicistica perché da un lato è evidente che nessuno può pensare che dietro al desiderio di avere un figlio si possano nascondere sentimenti di odio e poi perché troppo spesso si riscontrano, nella quotidianità di famiglie “normali”, comportamenti genitoriale che, nel desiderio di fare del bene, portano a conseguenze veramente disastrose.
Anche la definizione di Abadi, per la quale ognuno dei due soggetti della coppia omo può essere indifferentemente padre o madre, è troppo “buonistica” o semplicistica e forse rispecchia la difficoltà, anche per uno psicoanalista di fama, di delimitare o definire il ruolo paterno e la differenza con quello materno.
Se consideriamo lo sviluppo psico-mentale di un bambino, troviamo tantissimi riferimenti che ci parlano, anche in termini di semplici intenzioni, dell’importanza del ruolo di entrambi i genitori.
Prendendo in esame i rilievi scientifici, troviamo anche che entrambi i genitori sono essenziali per lo sviluppo psico-affettivo e psico cognitivo armonico, valido ed efficace.
Anche l’integrazione tra i due elementi padre-padre (fallo-seno o capacità di comandare e capacità di nutrire) e possiamo anche dire che se uno dei due prevarica l’altro, il bambino non riesce più a trovare quell’equilibrio che è indispensabile per poter raggiungere una sua identificazione, un valido senso di sé ed una capacità di accettarsi come persona e come individuo che sceglie la propria dimensione di crescere, di divenire e di poter gestire la propria capacità creativa.
Per capire l’importanza che riveste l’oggetto genitoriale (così si chiama nel linguaggio professionale) nello sviluppo del bambino, possiamo ricordare che sono proprio i disequilibri tra “fallo e seno” i responsabili di tanti disordini dello sviluppo che occupano l’attenzione degli studiosi, perché ormai è una epidemia in continuo aumento quella che riguarda bambini e giovani disadattati, in stato di disagio o anche, ormai, in situazione psicopatologica.
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